giovedì, Aprile 25, 2024
-mensile-Interviste

“Servizi e boss insieme a Capaci”

Sul luogo della strage di Capaci non ci sareb­be stata solo Cosa no­stra. Ma anche due agenti dei servizi segre­ti, un uomo e una don­na, che avrebbero avu­to un ruolo nella pre­parazione dell’attentato al giu­dice Falcone

Nell’aula bunker di Rebibbia, al pro­cesso Capaci bis, è il pentito di ‘Ndran­gheta Consolato Villani a raccontarlo.

Picciotto, camorrista, poi santista e quindi vangelista della cosca Lo Giudice (cugino del capobastone Antonino, ndr) Villani nel 2002-2003, appena ricevuta la santa, è stato il depositario di alcune con­fidenze da parte del cugino: “Mi parlò di ex esponenti delle forze dell’ordine, ap­partenenti ai servizi segreti deviati: un uomo deformato in volto e a una donna avevano avuto un ruolo nelle stragi di Fal­cone e Borsellino. Per la strage di Capaci erano tutti e due sul posto, insieme a uo­mini di Cosa nostra. Avevano parteci­pato alla commissione della strage. L’uomo, mi disse Lo Giudi­ce, era brutto, malvagio, un mercenario, ma la donna non era da meno. Mi disse che questi per­sonaggi era­no vicini alla cosca Laudani ed alla cosca catanese di Cosa nostra. L’uomo era coin­volto anche nell’omicidio di un poliziotto in Sicilia”.

Il pentito sostiene poi di aver visto i due personaggi nel corso di un incontro, risa­lente al 2007-2008, al quale doveva parte­cipare Lo Giudice: “Non sapevo con chi mio cugino si incontrasse e decisi di anda­re a vedere. C’erano lui, il fratello Lucia­no Lo Giudice e un uomo e una donna. L’uomo era particolarmente brutto, sfre­giato o deformato sul lato destro all’altez­za della mandibola, come se avesse subito un intervento. Aveva i capelli neri brizzo­lati, più lunghi del normale, mentre la donna li aveva alle spalle, lisci. Quando sono entrato si sono fermati, c’è stato uno scambio di sguardi poi sono andato via. Nino non mi ha mai detto niente ma io ho dedotto che si trattasse degli stessi sogget­ti di cui mi parlava per la descrizione che mi fece dell’uomo”.

La regia della strage

Da lui, però, non sep­pe altro: “Non era­vamo di pari grado” precisa Villani.

Sulla regia occulta della strage di Capa­ci, continua il collaborante, “Lo Giudice mi disse che la strage di Capaci era voluta dai servizi segreti deviati e da appartenen­ti allo Stato deviati. Che Cosa nostra è stata usata come manovalanza. L’obiettivo era dare un avvertimento allo Stato perchè al suo interno era contrapposta una cor­rente di personaggi legati a Cosa nostra, per non far uscire fuori fatti di corruzione e collusione di esponenti politici. Si è de­ciso di eliminare persone che stavano dan­do disturbo in quel momento per varie in­dagini. In accordo con questi personaggi romani è stato deciso di commettere le stragi. Lo Giudice aggiunse che dietro la strage di via D’Amelio c’era la stessa mo­tivazione”.

“Un favore a Cosa Nostra”

Secondo quanto detto da Villani tutti nella ‘Ndrangheta sapevano che erano sta­te le cosche calabresi a fornire l‘esplosivo per l’attentato a Falcone: “Tutti sapevano che proveniva da Saline Joniche, control­lata dalla cosca Iamonte, molto vicina ai Santapaola. Era contenuto dalla Laura C, una nave affondata ai tempi della guerra. Lì c’erano diverse tonnellate di esplosivo, gli uomini delle cosche lo recuperavano sott’acqua. Potrebbero dirlo anche altri collaboratori come Paolo Iannò, Antonino Fiume, Giuseppe Lombardo. La ‘Ndran­gheta – sempre stando alle confidenze ri­cevute da Lo Giudice – su determinate si­tuazioni (come le stragi, ndr) non si vole­va esporre dopo l’omicidio del giudice Scopelliti”.

Anche nel recupero dell’esplosivo, so­stiene Villani, i due sog­getti menzionati da Lo Giudice avrebbero avuto un ruolo: “Avevano il duplice ruolo nell’organizza­zione della strage e nel re­cupero dell’esplosivo, nel senso di inte­ressarsi su dove trovarlo. Per questo han­no mediato”.

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