giovedì, Aprile 25, 2024
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Omertà di stampa

Chiamatela pure disattenzione. Dimenticanza. Svista. O indifferenza. O anche sottovalutazione del fatto. Ma il silenzio mediatico che ha “accompagnato” la notizia del nuovo allarme rosso scattato per Nino Di Matteo, magistrato ad alto rischio, sa tanto di omertà. Omertà di stampa.   
Qualche articolo sui giornali. Quasi zero nei telegiornali (tranne qualche eccezione). Alle prese di questi tempi con lunghi servizi su quanto fa caldo, su quanto costano i lettini da spiaggia…e con la grande questione internazionale del royal baby di Londra, che ha tenuto impegnati cronisti e  inviati per una buona quindicina/ventina di giorni, in spasmodica attesa.
Spazio per raccontare la vicenda umana e “politica” di un magistrato costretto, in un paese dell’occidente, in tempo di pace, ad una scorta armata e blindata senza precedenti, non ce n’è.
Tempo per parlare delle nuove minacce che corrono sotto la pelle della nostra fragile democrazia, nemmeno.
Nell’abc del giornalismo ci hanno insegnato che la notizia è quando l’uomo morde il cane, non viceversa. E allora: già il fatto che ci sia un gruppetto di magistrati della repubblica italiana che indaga sui rapporti tra mafia e stato, che ha portato a processo gli intrighi tra boss e istituzioni, dovrebbe essere stranotizia in sè.
Che poi questi magistrati vengano fatti bersaglio di una serie ripetuta di attenzioni criminali, di minacce goccia a goccia, di furti in casa, di strani avvertimenti…

Che addirittura del titolare del processo che ha portato alla sbarra politici e mafiosi insieme, qualcuno dica che “per lui sarebbe pronto il tritolo”; e che questa segnalazione sia stata presa molto sul serio..tutto questo dovrebbe far scattare le antenne, l’attenzione e la preoccupazione della stampa, i riflettori dell’informazione tutta. I titoli nei grandi tg. Gli ospiti in studio. Non solo per capire e raccontare, come da compito primario del giornalismo. Non solo.
È un caso, questo, in cui l’informazione dovrebbe e potrebbe svolgere anche un compito civile, un’azione di “cura” preventiva. Contribuendo, con la divulgazione della notizia, ad allontanare l’eventuale pericolo, ad  impedire che le minacce possano avverarsi. Che la tragedia accada.
L’Italia è il paese europeo che, dal dopoguerra, ha il primato delle stragi e delle bombe. Dei magistrati e giudici morti ammazzati.
La storia insegna che le “forze oscure del male” colpiscono quando il bersaglio è isolato.
E allora chi, meglio della stampa, potrebbe fungere da scorta, da scudo protettivo? Altro che auto blindate e mitra. Una buona informazione potrebbe rompere qualsiasi isolamento.
Eppure, sull’odissea di Nino Di Matteo, moderno cacciatore (forse suo malgrado) di verità ingombranti: zero titoli, zero servizi. Nessun ospite e nessuno studio.
Come se qualcuno, in una qualche occulta cabina di regia, avesse deciso che non se ne debba parlare. “Shhh”… Meglio tacere. E, di redazione in redazione, fosse passato, bisbigliato, l’ordine: meglio tacere. Tutti zittì.
Per questo il silenzio dei mass media (rotto da qualche eccezione) sa tanto di omertà.
Strano che dopo tante battaglie contro i bavagli e le censure,  per la libertà di informazione e di espressione, non si alzino voci contro questo concentrico silenzio. Che, da indifferente o inetto, potrebbe rischiare di diventare complice.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

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