sabato, Aprile 20, 2024
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Nel Campo di Mineo dove noi bianchi rinchiudiamo i neri

L’identikit del CARA di Mineo rico­struito da associazioni siciliane è ben riassunto dall’Arci di Catania, che in un dossier firmato dal legale Francesco Au­ricchiella, del Comitato territoriale area integrazione, mette a fuoco aspetti buro­cratici, e soprattutto ombre di un’istitu­zione che è piombata a Mineo in pochi mesi.

“Non è stato elaborato un piano inte­grato per la programmazione e realizza­zione dei servizi connessi fra il centro ed il territorio, con il coinvolgimento ed il concerto delle amministrazioni locali, piano che avrebbe dovuto definire i tem­pi di attuazione.- si legge nel dossier- Non è stato programmato il potenzia­mento del sistema scolastico al fine di consentire l’inserimento della nuova utenza in relazione all’obbligo – previsto dalla legge – di garantire l’accesso ai ser­vizi scolastici a parità di condizione con la popolazione residente. Non è stato previsto un piano di risorse aggiuntive per l’Azienda Sanitaria Locale rendendo ancora più difficile l’efficienza di una tu­tela sanitaria per tutta la popolazione pre­sente sul territorio”.

C’è poi un altro problema drammatico, sebbene non collegato alla gestione del CARA.

“La sezione della Commissione territo­riale per il riconoscimento della protezio­ne Internazionale di Siracusa si è insedia­ta a Mineo solamente il 19.5.2011, e cioè due mesi dopo l’apertu­ra del centro (cioè il 18.3.2011). Gli esor­di burocratici della Commissione per l’esame delle domande sono stati molto lunghi, circa 15-20 casi a settimana, con conseguenti disagi e tensioni fra gli ospi­ti del centro- si legge nel dossier – la Commissione non si è av­valsa, per le au­dizioni, di interpreti com­petenti, né è sta­ta garantita trasparenza alle procedure per la loro selezione e no­mina. Non è stata garantita la presenza, nel corso del­le interviste, di interpreti delle lingue di alcuni richiedenti asilo.

Alcuni provvedi­menti di rigetto della domanda di asilo (peraltro, resi in italia­no e non tradotti) non hanno specificato il foro competen­te, ma hanno erronea­mente indicato, qua­le Tribunale ove ri­correre, quello del luo­go di provenienza, quando, invece, nel caso di ospitalità nel CARA, è compe­tente il Tribunale ove in­siste il CARA – nel caso in ispecie, Cata­nia – . Con grave pregiudizio del diritto di difesa ed il con­creto rischio che molti richiedenti, che non possano impugnare tempestivamente i provvedimenti, siano espulsi dal territo­rio dello Stato senza il previsto accerta­mento giurisdizionale della fondatezza della loro richiesta”.

Ad oggi, risulta che la Commissione di Mineo prosegua i propri lavori con la stessa lentezza degli inizi. Anche se il di­rettore del CARA, Sebastiano Maccarro­ne, assicura che sono circa 250, al mo­mento, gli ospiti in attesa di un pronun­ciamento.

Eppure molti ospiti del Centro conti­nuano a lamentare che la Commissione non rispetti, a parità di status e di condi­zioni di fatto, alcun criterio logico e cro­nologico nella disamina delle istanze e nella convocazione per l’audizione.I ri­tardi nelle procedure di esame delle do­mande da parte delle commissioni terri­toriali e l’assoluta incertezza sul futuro delle persone rischiano di alimentare una spirale di rivolte e di conseguenti dure repressioni nonché di aumentare lo stato di disagio dei soggetti vulnerabili e trau­matizzati tuttora presenti al centro.

Ma chi sceglie i professionisti che la­vorano al Centro? Al momento sono cir­ca 200 gli addetti che si occupano dei ri­chiedenti asilo a tutti i livelli e il pensiero malizioso che il CARA diventi un bacino elettorale trapela forte.

Altro quesito. Quanto sono tutelate le donne, soprattutto quelle sole? Le voci su abusi all’interno del centro sono sempre più insistenti, e non è un caso se gli abor­ti si moltiplicano. Su questi aspetti sta in­dagando anche la Procura di Caltagirone

Insomma, pasti sicuri e corsi d’italiano a parte, il CARA di Mineo prospetta tanti di quegli aspetti inquietanti che sarebbe ridicolo pensare di risolverli con una gara d’appalto, o una gestione ordinaria.

C’è sempre l’altra possibilità. Chiuder­lo. La Rete Antirazzista catanese ha nei mesi scorsi lanciato una campagna nazio­nale per la chiusura del Cara di Mi­neo. In più di un anno (e anche prima che il CARA aprisse) si sono susseguite tutta una serie di proteste. Ma cosa succederà a questo migliaio e rotti di persone nei messi che verranno, proprio non è dato sapere.

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