giovedì, Aprile 25, 2024
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Mafie a Bologna: chi non le vede, chi le combatte

In una delle regioni più civili d’Italia la ma­fia ormai ha ben più che delle semplici te­ste di pon­te. Le istitu­zioni reagi­scono? An­cora troppo poco. Ma soprattutto reagiscono poco i citta­dini, cullati nell’illusio­ne di “altro­ve ma non qui”

Mentre a Parma nel carcere di mas­sima sicurezza Provenzano inscenava un ten­tativo di suicidio, il TAR della stessa cit­tà respingeva il ricorso di due ditte edili che erano state escluse da appalti pubbli­ci perché sospettate di infiltrazioni ma­fiose. La Prefettura della città ave­va emesso la con­testata interdittiva, con­fermata ora dai giudi­ci: rapporti familiari e rapporti socie­tari con persone malavi­tose con prece­denti per associazione a delinque­re, estorsione, usura, riciclag­gio.

Notizie attuali, assolutamente non ec­cezionali: anche in una regione conside­rata avanzata e civile (e pure di sini­stra) roba ormai di ordinaria ammini­strazione.

Sembra non entrarci molto, ma credo che ci siamo persi l’occasione di rifare l’educazione collettiva rivedendo politi­camente i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Se pensiamo che 150 anni fa per anda­re da Bologna a Modena ci voleva il pas­saporto (i bolognesi erano soggetti alle leggi del Legato pontificio diverse da quelle dei modenesi sudditi del Duca) e un mer­cante alla frontiera dava certa­mente un aiutino al gabelliere del dazio perché chiudesse un occhio, ci rendiamo conto che quelli che realmente interpre­tano i diritti di cittadinanza sono gli eredi delle minoranze illuministe, patriote, so­cialiste e, poi, antifasciste e resistenti. Ancora minoranza.

Senso dello Stato generalizzato? trop­po poco. Ovunque. Siamo, infatti, molto meno lontani fra di noi di quanto non sia lunga la catena degli Appennini.

Se il Nord fosse “migliore” o anche solo del tutto diverso, avrebbe opposto alla penetrazione mafiosa quella resisten­za morale che si manifesta storicamente solo nei tempi, poi chiamati “eroici”, in cui va a rischio, oltre alla convivenza, la sopravvivenza. Tuttavia dovrebbe essere sempre possibile “prevenire” i guai, quando si sentono arrivare.

I Siciliani giovani sanno già molto del­la nostra realtà e hanno ricevuto parec­chia informazione da Bologna, dove non solo le istituzioni democratiche “reggo­no”, ma è presente “Libera” e an­che all’Università il problema viene stu­diato e a Giurisprudenza funziona un labora­torio, animato dalla prof. Stefania Pelle­grini, che mette a fuoco le infiltra­zioni nel settore edile, negli esercizi pub­blici (pizzerie, bar, baretti e barettini), nei gio­chi e, soprattutto, il fenomeno del decen­tramento nella nostra regione dei sorve­gliati speciali.

La stessa Procura regionale registra i delitti di specie, come l’usura, le estorsio­ni, la ripulitura di capitali illeciti, l’acqui­sizione di quote societarie nelle imprese.

Tuttavia è vero che siamo diventati un paese ben strano: mi è stato detto che a Scampia c’è chi si sentirebbe rassicurato dalla ripresa degli ammazzamenti (“se ri­comincia la faida e si fanno guerra fra di loro, almeno noi possiamo stare tranquil­li”); a Bologna, dove un 5% dei commer­cianti paga il pizzo, la gente continua a far conto di niente e il Presidente di Con­findustria ha candidamente dichiarato di non aver mai sentito parlare di mafie.

Eppure la Regione ha disposto inter­venti importanti (forse meno tempestivi del dovuto: il giornalista Bombonato dice che “la politica ha dormicchiato”) e il Prefetto non ha nascosto le sue preoccu­pazioni.

A Modena Giovanni Tizian – un giova­ne giornalista precario che tutti dovreb­bero conoscere – dal 22 dicembre è stato posto sotto scorta, ultimo segnale di brut­te storie, purtroppo non recenti. E’ un precario che rischiava la vita per 4 euro al pezzo. Qualcuno potrebbe chiedersi perché: perché ha il senso corretto della professione giornalistica: non intervista­va vittime, ma “informava”. Deve essere perché pochi sono come lui se Réporters Sans Frontières declassa i media italiani, mentre i cittadini non si rendono conto di essere diventati meno liberi (Telejato do­cet).

A Modena, infatti, succedevano cose strane, come incendi dolosi (contro igno­ti?), seminagione di bossoli nei cantieri, un Zagaria latitante intercettato sul treno Modena-Napoli e non catturato (ed era uno venuto a controllare i suoi affari). A Parma Saviano ha denunciato l’ “aria ra­refatta”, irrespirabile perché sa di mafia. A Castelfranco, dice una magistrata, “nel viale principale si parla casalese”.

Più o meno la stessa aria attorno a sant’Agata, a Granarolo, a Novellara, a Nonantola, sulla costiera romagnola (di­ciamo un simbolo per tutti, “viale Cecca­rini” di Riccione). Senza contare San Marino, ormai paradiso fiscale e centrale del riciclaggio. Accade così che per la ricostruzione dell’Aquila le mafie siano partite da Reggio Emilia, non da Reggio Calabria.

Di fatto le organizzazioni interessate a infiltrare un territorio ricco di quel be­nessere che rende insensibili e vulnerabi­li sono state attente a non creare traumi con omicidi e violenze dirette: i reati per­seguibili senza particolare rilevanza sono droga, sfruttamento della prostituzione, asservimento.

Anche per gli appalti la partecipazione malavitosa si indirizza alla miriade dei subappalti e al bisogno dell’imprenditoria di contare su servizi a basso costo, come possono essere i trasporti (e i relativi pa­droncini complici dei mercanti di droga), le forniture di calcestruzzo, i rifiuti.

Giova lavorare nel sommerso e nel nero, inserire propri fiduciari per acquisi­re il controllo delle assicurazioni e negli enti pubblici, impegnarsi nell’usura.

I mafiosi hanno bisogno del silenzio per poter lavorare nell’indifferenza; per que­sto rappresentava una minaccia gra­vissima per la magistratura la volontà del pas­sato governo di limitare le intercetta­zioni o il rifiuto del ministro Maroni della Di­rezione distrettuale inve­stigativa antima­fia.

Le finestre di vulnerabilità sono state aperte tutte, a partire dalla scelta del Nord per il soggiorno obbligato dei ma­lavitosi, che ha consentito il radicamento delle famiglie.

Ormai il collegamento Sud-Nord è di­ventato tramite, attraverso l’Emi­lia-Romagna e la Lombardia colle­gate, con l’Europa.

La crisi, in questo contesto, diventa cruciale e rafforza i pericoli. Mentre cre­sce lo spread e l’euro ondeggia, le banche fanno poco credito, le aziende e gli eser­cizi commerciali hanno bisogno di liqui­dità, la speculazione immobiliare e perfi­no i mutui sono alla resa dei conti, cresce la disoccupazione.

Si tratta di condizioni che per il potere occulto che fattura 70 miliardi diventano opportunità di acquisire maggior potere.

Solo per alto senso del dovere ci dicia­mo ottimisti. Tuttavia le normative degli Enti locali, i sequestri di proprietà e di beni delle mafie o i grandi sforzi di don Ciotti e del volontariato non sono diven­tati oc­casione di condivisione collettiva e di so­lidarietà comune.

Sarebbe una buona cosa se anche i Si­ciliani allargassero il loro indirizzario ed entrassero nel nostro territorio con una controinfiltrazione au­siliaria…

2 pensieri riguardo “Mafie a Bologna: chi non le vede, chi le combatte

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