sabato, Aprile 20, 2024
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Come ti sfrutto il pubblicista

L’iscrizione all’albo pubblicisti spesso co­stringe l’aspirante gior­nalista ai soprusi di editori senza scrupoli. Tante testate dichiara­no il falso, fingendo di pagare gli articoli, altre fanno addirittura sbor­sare agli aspiranti pub­blicisti le ritenute d’acconto

È il sogno nel cassetto di tanti giova­ni: curiosare, chiedere, capire il più possibile per poi raccontare agli altri ciò che si è compreso. Quella del gior­nalista è una professione cui molti aspi­rano. Ma come lo si diventa?

La legge n. 69/1963, istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, prevede l’iscri­zione in appositi Albi. I giornalisti vengo­no suddivisi in due elenchi: professionisti e pubblicisti e quest’ultima rappresente­rebbe in teoria la strada più semplice.

Ma chi è il “pubblicista” e in cosa si differenzia dal “professionista”?

«Sono pubblicisti – dice la legge 69 – coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se eser­citano altre professioni o impieghi».

Molto spesso però, questo desiderio si tramuta in sfruttamento da parte delle te­state, illudendo chi scrive con la storiella dell’iscrizione all’Albo dei pubblicisti, essendo oggi abbastanza difficile trovare in Italia una testata che retribuisca un ragazzo senza esperienza per una collaborazione.

Succede così che l’aspirante pubblicista risponda ad offerte di collaborazioni a ti­tolo gratuito, con testate telematiche e/o cartacee, per l’attribuzione del tesserino”, un controsenso, considerato che docu­mentare l’avvenuta retribuzione per il la­voro giornalistico svolto, costituisce re­quisito indispensabile per conseguirlo.

Sono così frequenti i casi in cui l’aspi­rante lavora gratuitamente e si paga di ta­sca propria i contributi, falsificando la do­cumentazione fiscale pur di dimostrare una collaborazione retribuita con una te­stata.

Ma ci sono in giro anche millantatori e strani personaggi che cercano di attrarre giovani aspiranti giornalisti, promettendo loro l’iscrizione all’albo in cambio di de­naro, dietro la partecipazione a fantomati­ci corsi non riconosciuti dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione della Stam­pa.

Basta googlare un po’ per leggere centi­naia di testimonianze. Nel 2010 è stata an­che pubblicata un’inchiesta sul fenomeno dello sfruttamento degli aspiranti pubbli­cisti sulla testata online Repubblica degli stagisti, che ha raccolto le testimonianze di due giovani costretti a falsificare le ri­cevute fiscali pur di ottenere il tesserino “rosso”.

«La mia storia non è molto diversa da quella di tanti altri», racconta “Carlo” (un nome di fantasia attribuito dalla redazio­ne).

«Pezzi scritti e non pagati, in barba alla legge. Retribuzione certi­ficata da parte dell’editore, dichiarando il falso».

«Ho accettato di pagarmi da sola i con­tributi scrivendo per un blog online – ag­giunge Franca (altro nome di fantasia, al­tro racconto di vita reale) – . Il direttore mi rilascia le ritenute d’acconto e io gli restituisco i soldi in contanti. Ovviamente non ho nessuna retribuzione: di fatto, pago in tasse circa 160 euro ogni sei mesi e in più lavoro gratuitamente».

Maria Ausilia Boemi, segretaria provin­ciale di Assostampa Catania, nella relazio­ne annuale 2012 parla di «aspiranti pub­blicisti – quindi non ancora in possesso del tesserino – che leggono i telegiornali, colleghi o aspiranti tali che non vengono pagati e che firmano buste paga false. E ci sono anche aspiranti colleghi che si paga­no da soli le ritenute d’acconto per potere poi conquistare il tesserino (questo peral­tro, non avviene solo nelle televisioni)».

Franco Zanghì, giornalista di Patti nel messinese, raccontando il mese scorso sul suo TG6 una confusa – per le contraddit­torie dichiarazione dei protagonisti – sto­ria di «vertenze di natura economica» tra il rappresentante del comitato di redazio­ne di una piccola testata locale online e il suo editore/direttore responsabile ha com­mentato: «Del fatto abbiamo ritenuto do­veroso chiedere un parere all’Ordine dei Giornalisti della Sicilia […]. Ma purtroppo molti editori – anche di grandi giornali – sfruttano giovani e meno giovani aspiranti giornalisti con miraggio del “Tesserino da Giornalista”».

“Comprare” il tesserino pur essendo di­ventata una cosa “normale”, è illegale e prevede serie conseguenze per chi fal­sifica i documenti fiscali necessari all’iscri­zione all’albo dei pubblicisti.

Secondo l’avvocato Gianfranco Garan­cini, esperto di diritto giornalistico, infat­ti: «Un atto del genere costituisce truffa e falso ideologico a un ente pubblico, ai sensi degli articoli 640 e seguenti e 479 e seguenti del codice penale».

Le testate, usufruendo di un vantaggio economico diretto dallo sfruttamento dei collaboratori, commettono un complesso di reati che può spaziare dalla truffa all’evasione fiscale.

Ma anche gli aspiranti giornalisti sono «correi» e, in quanto tali, teoricamente an­drebbero incontro a pene di tipo eco­nomico e detentivo, anche se in pratica è diffi­cile si finisca in galera per reati del gene­re, ma si può comunque arrivare a sanzio­ni pecuniarie molto elevate.

Ovviamente la domanda di iscrizione all’albo dei pub­blicisti è destinata ad es­sere respinta man­dando in fumo due anni di lavoro non re­tribuito.

Il reato di truffa è perseguibile dietro querela di parte. Gli Ordini, in quanto pubblici ufficiali, avrebbero l’obbligo di fare esposto in tal senso.

È difficile, però, trovare le prove con­crete di questo fenomeno, salvo nei raris­simi casi in cui vi sia una denuncia speci­fica.

Impossibile, di fatto, un’azione preven­tiva perché gli stessi Ordini non conosco­no la situazione degli aspiranti fino al mo­mento della presentazione della do­manda.

Gli unici controlli vengono effettuati solo sulla documentazione fiscale e sul piano teorico è possibile costruire una do­cumentazione fittizia per una iscrizio­ne all’albo dei pubblicisti.

Vittorio Roidi, sostenendo nel suo libro Cattive notizie che «Come tutte le cose che invecchiano (l’Odg) non va buttato, ma sostituito con un organismo moder­no» ne auspicava una profonda riforma. Con il dpr di riforma delle professioni il governo Monti ci aveva pure provato ma in pratica non è cambiato nulla.

Nella maggior parte dei Paesi europei non esiste un Ordine dei Giornalisti. Ad esempio, in Gran Bretagna non è mai sta­to istituito alcun organismo di natura pub­blica in rappresentanza dei giornali­sti, e la formazione universitaria specifi­ca non è richiesta per l’esercizio della professione. Così come in Irlanda, Ger­mania, Austria, Norvegia, Olanda, Gre­cia, Svezia, Francia e Finlandia. Per esse­re considerati giorna­listi è necessario, semplicemente, essere assunti e scrivere per una testata.

Storie, queste e tante altre ancora sco­nosciute, che evidenziano come il vero problema per un giovane che vorrebbe av­vicinarsi al giornalismo, l’attività teo­ricamente “retribuita” in pratica si tradu­ce in sfruttamento intellettuale, alimenta­to dal miraggio del raggiungimento dell’agogna­to tesserino che comunque non rappresen­ta una certificazione di qualità, né un rico­noscimento di tipo me­ritocratico.

C’è spesso ignoranza e presunzione fra coloro che per grazia ricevuta e immeri­tatamente hanno ottenuto l’iscrizione all’Albo dei pubblicisti e non conoscono, né rispettano l’etica professionale.

Per diventare pubblicisti: i requisiti

In Sicilia tra spese di segreteria, costi per marche da bollo, tasse per conces­sione governativa e altri pagamenti si arriva a sborsare 582,62 euro per pre­sentare le domande di iscrizione all’albo dei pubblicisti.

Il calcolo si basa su quanto riportato nella modulistica ufficiale e nelle istru­zioni reperibili nel sito dell’Ordine.

Per dimostrare la non occasionalità della collaborazione vengono richiesti almeno 90 articoli scritti e pubblicati nell’arco dell’ultimo biennio, se questi vengono pubblicati su quotidiani (60 su periodici), emittenti televisive, radiofo­niche o siti internet regolarmente regi­strati presso la cancelleria del Tribunale competente come testate giornalistiche, dovranno presentare almeno 90 servizi o articoli effettivamente andati in onda o pubblicati on line. Una retribuzione minima nel biennio di non meno di1000 euro da attestare con modelli F24 rilasciati al massimo per ogni anno di attività e non cumulativi.

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