giovedì, Aprile 25, 2024
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Mafia e politica in tempo d’elezioni

Le candidature di Ingroia e Grasso alle “politiche” hanno scatenato infuocate discussioni. Fra i due magistrati ci sono differenze abissali. Grasso si è ritagliato una “nicchia” in un partito che gli garantisce un’elezione sicura. Ingroia per contro ha scelto di dar vita ad un nuovo movimento per una “rivoluzione civile”, affrontando un’avventura densa di incognite e rischi. Ma la candidatura dei due ha soprattutto rinfocolato polemiche mai sopite sulla conduzione delle inchieste antimafia, in special modo sul versante dei rapporti mafia/politica.

Ovviamente hanno diritto di cittadinanza le opinioni più diverse, purché non si dimentichi mai che questi rapporti sono nel DNA della mafia e che non li hanno certamente inventati inquirenti “creativi”. E purché le opinioni siano fondate su fatti e non su ipotesi di fantasia, al limite dell’onirico. Come nel caso di coloro che citano Giovanni Falcone come grandinasse, per sostenere che certe inchieste lui non le avrebbe mai cominciate o sviluppate perché se non ci sono le prove è fatica sprecata.

A parte che si tratta di banalità per le quali scomodare Falcone non ha senso, il punto decisivo è un altro: nessuno al mondo può arrogarsi il diritto di millantare che l’orientamento di Falcone dopo le stragi del 1992 sarebbe stato questo o quello.

Se non altro perché dopo le stragi tutto ontologicamente cambia. Basti pensare che Tommaso Buscetta a Falcone non disse niente dei rapporti mafia/politica, perché temeva che lui e lo stesso Falcone sarebbero stati presi per folli. Soltanto dopo le stragi (obbedendo ad una specie di comandamento morale) Buscetta decise di rivelare quel che sapeva ai Pm di Palermo. Che pertanto si trovarono di fronte ad un dovere imperioso: affrontare il tema cruciale dei rapporti mafia/politica senza sconti, applicando la legge anche agli imputati “eccellenti”, con determinazione ed incisività assolutamente nuove, posto che in passato l’esistenza di tali rapporti di solito veniva solennemente proclamata sul piano teorico, per negarla sistematicamente nel perimetro delle prassi investigativo-giudiziarie.

I magistrati delle Procura di Palermo del dopo stragi hanno semplicemente assolto il loro compito istituzionale, traducendo la scritta che campeggia in tutte le aule di tribunale (la legge è uguale per tutti) in realtà operativa. Differenziandosi da coloro che non vogliono vedere, o se vedono preferiscono “distrarsi”, magari accampando la scusa che è troppo difficile trovare le prove.

Le prove prima si cercano, senza timidezze; e se risultano sufficienti per affrontare il giudizio si va avanti, anche quando l’esito non é scontato. Senza preoccuparsi di coloro che privilegiano normalizzazione e quieto vivere; e perciò preferiscono le opzioni investigativo-giudiziarie meno scomode. Magari tirando indebitamente per la giacca anche i defunti ( meglio se illustri come Falcone) attribuendo loro – con colpevole arroganza – linee di ipotetico intervento prospettate come se fosse possibile applicare al “dopo stragi” parametri e criteri che a tutto concedere si riferiscono ad ere “geologiche” tutt’affatto diverse, perché ante 1992.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

Un pensiero su “Mafia e politica in tempo d’elezioni

  • Biagio Favarò

    Il ritornello dei “magistrati persecutori” vorrebbe far dimenticare l’obbligatorietà dell’azione penale ogni qual volta ne sussistono i motivi.
    E, purtoppo spesso, questi realmente sussistono nell’attività dei nostri cosiddetti uomini politici.

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