giovedì, Aprile 25, 2024
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Italia in Libia ha trattato con boss che torturano

Che ci faceva un capo degli scafisti a un convegno organizzato dal nostro governo, due anni fa?

Bija, un nome che alla quasi totalità degli italiani è completamente sconosciuto. Eppure quelle quattro lettere appartengono ad un personaggio cruciale degli snodi internazionali degli ultimi anni. Italiani e di tutta l’Unione Europea. Snodi taciuti e negati.

Una recente inchiesta di Nello Scavo su Avvenire ha nuovamente illuminato questa storia che gli ultimi governi, e il chiacchiericcio dei grandi media, vorrebbe tenere oscuro. Abd al-Rahaman al-Milad detto Bija è uno dei boss libici che detengono le redini delle rotte migratorie. L’inchiesta di Nello Scavo ha documentato che nel maggio 2017 è stato tra i partecipanti ad un incontro internazionale, organizzato e ospitato in Sicilia dal governo italiano, che aveva l’obiettivo di concordare strategie comuni tra Italia e Libia su come bloccare le partenze dei migranti dall’Africa. E, dopo la fine dell’incontro Bija ha visitato alcuni centri per migranti in Italia e la sede della Guardia Costiera a Roma. Onori che si riservano ad alleati e grandi amici.

Eppure Bija era già considerato uno dei trafficanti che lucravano e dominavano lo sfruttamento dell’immigrazione. E non uno qualsiasi ma, grazie alla Guardia Costiera libica tante volte in questi anni decantata e foraggiata dall’Italia, tra i più forti. E inumani. Durante la visita di Bija al Cara di Mineo – ha raccontato Scavo – un migrante per errore finisce quasi a contatto con lui. Quando vede Bija e chi lo accompagna il migrante scappa ed urla spaventato “Mafia Libia”. Le Nazioni Unite l’anno scorso lanciarono precise e durissime accuse contro di lui. E ne disposero nel luglio 2018 il blocco dei beni e il divieto di viaggiare. La stessa Guardia Costiera libica l’avrebbe sospeso ufficialmente. Ma, in realtà, è ancora presente e attivo nel traffico di esseri umani. E le prime accuse contro di lui sono precedenti all’incontro in Sicilia documentato da Avvenire.

Un’inchiesta di Nancy Porsia (collaboratrice del Guardiandi The Post Internazionale e della Radio Televisione Svizzera) nel febbraio 2017 evidenziò la figura chiave nel traffico di esseri umani di Bija, allora capo della guardia costiera a Zawiya. Accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. Accuse ribadite 2 mesi dopo anche dall’OIM. Il porto della città è lo snodo centrale di tutta la costa occidentale libica per i traffici di esseri umani e di petrolio. Mentre le forze militari europee schierate in mare, denuncia la Porsia, “stanno chiudendo un occhio” solo il traffico di carburanti vale 10 milioni di euro. E “negli ultimi due anni – leggiamo nell’inchiesta – le milizie hanno infiltrato l’amministrazione della raffineria qui, e anche della guardia costiera”. Un video amatoriale pubblicato dal Times pochi giorni prima documentò le violenze sui migranti intercettati in mare e riportati in Libia. Nel video si vede un trafficante, che viene considerato  Bija, frustare  alcuni migranti con una corda. I trafficanti che non gli pagavano una quota venivano fermati dalla Guardia Costiera e le loro barche requisite.

In un rapporto depositato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’8 maggio scorso dalla Procura della Corte penale dell’Aja, il trattamento dei migranti nei centri del feudo di Bija viene definito “crudele, inumano e degradante”. Documenti sia della Corte penale che delle Nazioni Unite riportano testimonianze di migranti catturati in mare dalle sue milizie, mentre cercavano di fuggire verso l’Europa, sono stati detenuti in un centro di detenzione dove hanno subito torture.

La vicenda di Bija è emblematica di quel che accade in Libia, dalla gestione dei porti e del mare antistante lo Stato africano disintegrato dalla guerra e senza un governo centrale fino ai centri di detenzione per migranti. Dove subiscono torture e brutalità di ogni tipo. E fonte di lucro per bande, con la complicità e il sostegno della “Guardia Costiera libica” in questi anni finanziata, addestrata e rifornita da Italia e Unione Europea.

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