domenica, Aprile 28, 2024
-mensile-Polis

Il divoratore di movimenti

Grillismo come rimo­zione dei conflitti socia­li?

Prima fu il verbo. In gran parte frutto delle felici penne di Michele Serra e Stefano Benni. Poi venne il tempo del fiume in piena contro la finanza e le banche che straripava dai palchi di teatri e palasport. Così sopravvisse e prosperò l’uomo che dal tempio del Festival di Sanremo si lasciò sfuggire quella battuta sui socialisti ladri (alla vigilia di Tangentopoli) e si vide da un giorno all’altro cacciato dalle televisioni nazionali per lesa maestà. Forse la cacciata arrivò con il concorso sempre di Serra e Benni, che all’epoca erano gli autori di Giuseppe Piero Grillo, detto Beppe.

Mi sono sempre domandato se la battuta sul Psi fosse sua. Forse era così telefonata che la improvvisò. Oppure era frutto dei suoi autori, fra migliori dell’epoca. Di certo fece scalpore e scatenò l’ira di Craxi e del CAF (Craxi/Andreotti/Forlani) tutto e il calcione arrivò nel giro di poche ore.

Il periodo di esclusione dalla Tv fu, per Grillo, fruttuoso. Il comico, sempre più sganciato dai vincoli e dai condizionamenti delle televisioni pubbliche e private, si costruì in breve tempo un nuovo linguaggio e un nuovo obiettivo su cui concentrare la propria attenzione: l’intreccio del potere finanziario e bancario nel momento in cui il pensiero neo liberista più estremo diventava egemone con la caduta del Muro di Berlino. Era l’inizio della globalizzazione e dell’egemonia mondiale del potere finanziario che si sottrasse a qualsiasi controllo da parte della politica, svincolandosi anche dall’economia reale basata sulla produzione. Era il trionfo della speculazione fine a se stessa. E Grillo si ritagliò per un decennio il ruolo del censore delle abiezioni più evidenti in Italia. La vicenda Telecom, i petrolieri, le banche, le privatizzazioni come quella di Enel, e ancora Parmalat. E in scena era un uragano. “Come era meglio il mondo antico” sembrava urlare distruggendo computer sul palco o mettendo in atto blitz (Tg al seguito) nel corso di assemblee di azionisti.

La cacciata dalla Tv era stata quindi la sua fortuna e il suo sdoganamento definitivo da semplice comico a uno dei riferimenti di un determinato ambito culturale. E infatti Grillo era ormai ospite fisso di vari salotti prestigiosi che facevano riferimento a Antonio Ricci (ormai lanciato ad essere la star produttiva di Fininvest e uno degli uomini più potenti della televisione italiana), Serra e Benni.

E poi Giorgio Gaber (che aveva curato regie di suoi spettacoli), la famiglia Fo (Dario, Jacopo e Franca Rame). E ancora Adriano Celentano, don Gallo e quello che potremmo chiamare il laboratorio della Rete Lilliput di Quarrata, area del dissenso cristiano sociale e dell’associazionismo e del volontariato, embrione del movimento contro la globalizzazione che faceva riferimento ed era in collegamento con i movimenti sociali del Sud del Mondo.

Grillo non era più il comico scoperto da Costanzo e coccolato da Baudo. Era parte del salotto buono della cultura “di sinistra” che andava da Fo a Gaber fino alle aree movimentiste del cristianesimo sociale. Ma quel salotto gli andava stretto. Non voleva essere uno dei riferimenti, voleva essere il riferimento. Punto.

Torniamo a Quarrata per capire bene di cosa stiamo parlando. La marcia della pace di Quarrata vicino a Pistoia. Ogni anno sul palco sfilavano i big di quell’area non violenta del movimento spazzata via dalla macelleria messicana a Genova 2001. E molte altre voci che a quel movimento guardavano con simpatia. Don Ciotti, Alex Zanotelli, Gherardo Colombo, Giancarlo Caselli, teologhi della liberazione e attivisti dei movimenti sociali come Leonardo Boff e Frei Betto. E anche lui, Beppe Grillo, come ospite fisso.

È probabilmente qui, a Quarrata, che Grillo intuisce le potenzialità di questa enorme parte del movimento spazzato via a Genova nel 2001. Un movimento frustrato dai partiti e da organizzazioni come il sindacato che lo avevano scaricato alla vigilia di quella tragedia che fu il G8 consentendo poi la repressione indiscriminata. È in quelle occasioni che Grillo viene in contatto e poi viene sdoganato da una serie di teste pensanti di quel dissenso. È qui dove Grillo smette di essere semplicemente un uomo di spettacolo rompicoglioni e inizia a essere un abbozzo di leader carismatico di un embrione di forza politica.

Il blog e poi i meetup e ancora i gruppi degli “amici di Beppe Grillo” arriveranno poco dopo. E forse quegli ulteriori salti in avanti arrivarono non tanto per la sua frequentazione dei luoghi di elaborazione del movimento, quanto per le sue battaglie su finanza e banche e aziende. In particolare contro Telecom.

Perché l’incontro chiave che trasformerà Grillo in quel fenomeno politico che conosciamo oggi è con un uomo che è stato al centro dello scontro Telecom/Olivetti di quel periodo: Gianroberto Casaleggio, il co-fondatore dei Cinque Stelle.

Scrivevo sul numero 5 del 2010 di Micromega: “Il teorico e inventore del gruppo è […] Gianroberto Casaleggio. «È stato dirigente», si legge sul suo curriculum, «di aziende ad alto indirizzo tecnologico», e la sua principale attività, oltre a curare personalmente l’oggetto mediatico Grillo […] è quella della pubblicistica. E anche Casaleggio ha una storia «aziendale» di rilievo, parallela anche se meno convenzionale a quella di Sassoon (ex socio oggi dimessosi dalla società, Nda). Inizia infatti a farsi notare non in un laboratorio di qualche campus, ma nell’Olivetti di Roberto Colaninno, e qualche anno dopo diventa amministratore delegato di Webegg, come abbiamo già detto suo trampolino di lancio, in seguito come guru nostrano della rivoluzione della Rete. La Webegg ha origine da una joint-venture tra Olivetti e Finsiel (della Telecom), ma nel 2002 l’azienda di Ivrea cede il suo 50 per cento alla Telecom. Intanto Casaleggio ha dato vita a un’altra società, la Netikos, dove siede per alcuni mesi nel consiglio di amministrazione accanto a un figlio di Colaninno (Michele). Ma è un’avventura di breve durata, o forse solo il momento di transito per creare con i vecchi amici della Webegg qualcosa di totalmente nuovo. E infatti nel 2004 Gianroberto chiude baracca e burattini e va a fondare con altri dirigenti Webegg la Casaleggio Associati”. Che Casaleggio avesse, e abbia, qualche sassolino da tirare fuori dalle scarpe nei confronti della Telecom può essere stato uno dei motivi che hanno spinto l’attentissimo Gianroberto a osservare le azioni di Grillo e poi a pensare di avvicinarlo.

Grillo e Casaleggio si incontrano, scoppia una reciproca fascinazione e nel 2005 vede la luce il blog www.beppegrillo.it. E subito dopo la rete di gruppi degli “amici di Beppe Grillo” e dei MeetUp. E’ l’inizio di un processo che condurrà alla nascita dei Cinque Stelle.

Ma torniamo ai movimenti dove Grillo e Casaleggio vanno a pescare a piene mani. Dopo Genova 2001 il movimento di movimenti si ritrovò in parte criminalizzato e in parte schiacciato e senza più riferimenti, se non le proprie lotte specifiche tematiche e territoriali. Non più un movimento di movimenti ma tante istanze disgregate e solo faticosamente in relazione l’una con l’altra. Ogni tavolo di elaborazione comune scompare, se non in occasione dei movimenti per l’acqua che però si andranno a scontrare, come anche nella vicenda del movimento viola, con il carro armato Di Pietro che ha maciullato in parte anche quei coordinamenti cavalcandoli prima e poi cercando di inglobarli. E con Grillo che proprio da lì si sostituisce, in termini di immagine, ai movimenti come loro sintesi.

Lentamente ma inesorabilmente davanti all’immenso palasport che è il suo blog, lui diventa quei movimenti. Non è la realtà, ma è la proiezione che lui fa della realtà. I movimenti diventano, nel suo racconto, l’emanazione del disagio che lui incarna. Tutto. Radicalmente.

Dichiara Wu Ming in un’intervista al Manifesto: “La nascita del grillismo è una conseguenza della crisi dei movimenti altermondialisti di inizio decennio. Man mano che quel fiume si prosciugava, il grillismo iniziava a scorrere nel vecchio letto. Nei primi anni, i liquidi erano ancora «misti», e questo ha impedito di vedere cosa si agitava nel miscuglio, oltre ad attenuare certe puzze. In seguito, la crescita tumultuosa del M5S è divenuta a sua volta una causa –o almeno una concausa importante– dell’assenza di movimenti radicali in Italia, per via della sistematica «cattura» delle istanze delle lotte territoriali, soprattutto di quelle più «fotogeniche». Non c’è lotta «civica» su cui il M5S non abbia messo il cappello, descrivendosi come suo unico protagonista. Temi, rivendicazioni e parole d’ordine sono stati cooptati e rideclinati in un discorso confusionista e classicamente «né-né», cioè che si presenta come oltre la destra e oltre la sinistra. È un discorso che accumula sempre più contraddizioni, perché mette insieme ultraliberismo e difesa dei beni comuni, retorica della democrazia diretta e grillocentrico «principio del capo», appoggio ai No Tav che fanno disobbedienza civile e legalitarismo spicciolo che confonde l’etica col non avere condanne giudiziarie”.

Rincara la dose lo scrittore Sandrone Dazieri sul suo Blog: “Sono convinto che vi siano esponenti 5 Stelle che partecipano alle lotte No Tav, per lo meno lo spero (anche se, una volta presa una condanna per manifestazione non autorizzata o blocco stradale immagino non possono più candidarsi, viste le regole che equiparano qualsiasi condanna). Quello che volevo mettere in luce, però, è il fatto che se il Movimento no Tav esiste è perché è stato costruito e creato dal basso, in modo orizzontale, non deciso da qualcuno in piedi su un palco. E’ la differenza tra una lotta di popolo e un movimento truppe”.

Ma come giustificare quel dato impressionante del 25% ottenuto a livello nazionale alla prima corsa elettorale? E come comprendere quel livello di impermeabilità dimostrato dagli attivisti e dagli eletti che non si sono posti il minimo dubbio davanti alle 11 società in Costarica fondate dall’autista e dalla cognata di Grillo?

Nessuna domanda neanche davanti alla comparsa di uno statuto (che fa carta straccia del tanto sbandierato non statuto) registrato a pochi mesi dal voto in cui emerge che Beppe Grillo è il presidente del Movimento Cinque Stelle (non era solo il “megafono?), suo nipote il vice presidente e il suo commercialista il segretario? E nessuna domanda viene alla luce nell’apprendere che sempre Grillo è il proprietario del logo, del nome, del sito/blog ed è l’unico che ha la titolarità a autorizzare la presentazione di liste e l’unico che può sindacare sull’attività di attivisti e eletti? E cosa dire di quell’assemblea dell’associazione Movimento Cinque Stelle che si dovrebbe tenere a aprile 2013?

L’unica risposta possibile è la fidelizzazione acritica ottenuta grazie a un processo di marketing estremamente accurato messo in atto dalla Casaleggio associati a dallo staff che gestisce ogni informazione (e processo di formazione) verso il bacino di attivisti e il controllo sistematico che viene esercitato sempre dalla stessa struttura su ogni informazione o voce discordante.

Scrive Giovanni Boccia Artieri, docente presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, sul suo blog: “Nel continuo tentativo di comprendere un fenomeno elettorale come questo e la sua natura comunicativa osserverei infine le preferenze dei giovani Italiani: tra i 18 e i 24 anni il 47,2% dei votanti si è espresso in favore del movimento 5 Stelle (dati Tecné). Ecco, per esempio, questa fascia d’età nella Rete/ambiente abita, e costituisce la fascia che è più attiva online: tempo medio per persona di 1 ora e 40 minuti al giorno e 186 pagine viste (dati Audiweb). Credo poi che questi dati non tengano effettivamente conto del fatto che il mobile ha consentito di portarsi i social network con sé in modi sempre più continuativi e pervasivi”.

E ancora: “ma a questa visione corrisponde anche la concezione di Rete che ha il mondo Cinque Stelle, che non è il web ma la rete proprietaria e fidelizzata descritta da Serena Danna sul Corriere della Sera:”Il progetto di Grillo e Casaleggio ricorda quello dei colossi del web Google e Facebook, che lavorano per creare una dimensione esclusiva di navigazione online dove tutta l’attività dell’utente si svolge dentro il perimetro del mondo di valori, idee, contenuti e servizi costruito su misura per lui. […] La strategia 5 Stelle su Internet, lungi dall’essere centrifuga, trasparente, conflittuale e diffusa -come la Rete stessa è-, finisce con l’essere centripeta e partigiana: con un centro che diffonde i messaggi senza rispondere a critiche e commenti”. Ed è esattamente il modello che promuove, in ambito di strategia di marketing, Gianroberto Casaleggio nelle sue pubblicazioni e sul sito aziendale della Casaleggio Associati. Non da ieri. Da anni.

«Online il 90 per cento dei contenuti è creato dal 10 per cento degli utenti, queste persone sono gli influencer», scrive in un articolo Gianroberto Casaleggio, «quando si accede alla Rete per avere un’informazione, si accede a un’informazione che di solito è integrata dall’influencer o è creata direttamente dall’influencer. L’influencer è un asset aziendale, senza l’influencer non si può vendere, c’è una statistica molto interessante per le cosiddette mamme online, il 96 per cento di tutte le mamme online che effettuano un acquisto negli Stati Uniti è influenzato dalle opinioni di altre mamme online che sono le mamme online influencer».

E ancora si legge sul sito web della Microsoft in un post del 2010: «Uno studio della società statunitense Rubicon Consulting ha tracciato il profilo degli influencer, la loro diffusione e le modalità di comunicazione e di propagazione dei loro messaggi. Le comunità online, gli spazi dove agiscono gli influencer, non sono tutte uguali, ognuna ha peculiarità proprie». Non si capisce se questo brano l’abbia scritto Gianroberto Casaleggio stesso o se a questo testo del gigante statunitense si sia rifatto. L’articolo della Microsoft prosegue: «Le comunità online originate dalle connessioni, come Facebook, sono le più frequentate (25 per cento degli utenti) e le più importanti per i giovani sotto i 20 anni, seguono, con circa il 20 per cento, quelle con attività in comune e condivisione di interessi. La maggior parte degli utenti delle comunità ha un’età tra i 20 e i 40 anni. In questo contesto operano gli influencer».

Allora è solo un’abile campagna di marketing virale che ha portato un elettore su quattro a votare per Grillo? No di certo. Le ragioni sono da ricercare nel crollo morale e politico dell’intera classe politica che ha operato ed è maturata nei vent’anni dominati e condizionati dalla discesa in campo di Berlusconi. Un crollo che si è costruito in anni di affari, corruzione, patti scellerati. E immobilismo. E da qui l’assenza di un’offerta politica credibile che affrontasse la crisi economica, sociale e culturale che stiamo subendo.

Di certo ha giocato la frammentazione e disgregazione dei movimenti dopo Genova 2001. Di certo ha dato una mano l’informazione ufficiale e la categoria dei giornalisti incapaci di capire cosa stava mutando sia in termini di linguaggi che di media, e che si sono aggrappati alla mera sopravvivenza ponendosi proni davanti a chi erogava il finanziamento pubblico.

Ma l’operazione di marketing ha pesato molto più di quanto si pensi. Come pesò nel ‘94 nella nascita di Forza Italia. Si è passati dal “partito di plastica” (Forza Italia) al “partito che non c’è” (M5S). Se Forza Italia nasce grazie al lavoro imprenditoriale e organizzativo di quella costola della Fininvest (Publitalia) diretta da Marcello Dell’Utri, il M5S nasce invece dal lavoro organizzativo e dal Marketing virale della Casaleggio.

La natura stessa dei due progetti dovrebbe spingerci a riflettere. Le promesse della libertà assoluta berlusconiana (d’impresa, dai laccioli burocratici, dalle tasse, dalla magistratura, da uno Stato pesante e dall’orrido pericolo comunista) rappresentano la facciata della prima ora del cavaliere. Mentre Grillo promette la fine delle caste (e minore burocrazia, e libertà d’impresa e Stato più leggero nei confronti del mercato, per curiosa analogia con il suo predecessore), la promessa di una democrazia diretta (uno vale uno) che si sostituisca alla democrazia rappresentativa dopo una sorta di apocalisse che incenerisca, partendo dai partiti, l’intero sistema costituzionale.

E i movimenti masticati e digeriti dalla nuova balena a Cinque Stelle? Faticano a ritrovare una propria identità autonoma o sono stati letteralmente schiacciati dalla macchina elettorale di Grillo. Che li ha resi, loro malgrado, parte di un spot elettorale, su youtube ovviamente, della nuova casta di cittadini-parlamentari-assessori-sindaci e consiglieri. E del loro proprietario. Alla faccia dei movimenti dal basso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *