venerdì, Aprile 19, 2024
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È ancora difficile (o fin troppo facile) fare il giudice a Catania

Quel numero di Controvento raccontava il caso Scuto, il re dei supermercati arrestato per mafia, titolare di un patrimonio di miliardi e braccio economico dei Laudani. Della storia di Scuto non parlava nessuno. E chi ne parlava lo faceva per schierarsi dalla sua parte. In sintonia con la tesi del procuratore Busacca, intervistato dalla Sicilia, poco prima che il Tribunale della Libertà decidesse sull’ arresto dell’imprenditore. Scuto? Una vittima di estorsione.

Altro esempio? Nel 2008 va in pensione Busacca e già allora poteva arrivare il Procuratore estraneo all’ambiente catanese. La commissione nomine votò a maggioranza per Renato di Natale di Magistratura Indipendente, Procuratore aggiunto di Caltanissetta. Di Natale aveva i voti .di tutta la magistratura togata (tranne Unicost che sosteneva D’Agata). Sembrava fatta.In attesa del plenum, la Sicilia si lanciò in una campagna coltello fra i denti contro l’estraneo. “Un procuratore di fuori lede la dignità dei magistrati catanesi”.

Scuto si dava da fare per cercare appoggi finanche in Cassazione

Al plenum accade l’imprevedibile: tutti i laici di centrosinistra (compresi i rappresentanti di Rifondazione comunista e dei Comunisti italiani) più Unicost e l’avvocato di Berlusconi Michele Saponara si stringono intorno al candidato dell’ancien regime Enzo D’Agata. Finisce tredici a tredici ma il voto decisivo del vicepresidente Nicola Mancino vale doppio e la spunta D’Agata.

Anche questo è stata l’informazione a Catania in questi anni. La scomparsa dei fatti. Racconti che un magistrato ha mentito? Sei un calunniatore. Le sentenze ti danno ragione? Silenzio.

Scrivi che Scuto è un imprenditore potente? Scaltro al punto giusto da finanziare politici di destra e sinistra? “Ancora con questa storia? Basta! Scuto ha beneficato un sacco di gente. Volete mettere sulla strada tanti padri di famiglia?” Un refrain già sentito al tempo dei cavalieri. E se il Tribunale poi lo condanna? Silenzio.

* * *

L’oro di San Giovanni La Punta, il paese dove dal niente si diventa signori. E’ la storia di Carmelo Rizzo, partito come carpentiere e diventato ricco costruttore. Ma come ha fatto, si chiedeva la questura di Catania? Era legato alla famiglia Laudani, dicono i giudici.

Ma, su tutte, spicca la storia di Sebastiano Scuto, il nuovo cavaliere etneo, di cui nessuno parla. Un puntese doc che parte da un negozio nella via del centro che porta all’Etna.

Nel giro di qualche anno il signor Nello diventa il signor Despar. Quindici anni fa la Procura di Catania cominciò a occuparsi di Scuto e delle sue relazioni con esponenti mafiosi ma concluse che Scuto era costretto a pagare i clan.

Un pm e un ufficiale dei carabinieri, più cocciuti di un mulo, non la pensarono così. Si chiamano Nicolò Marino e Gianmarco Sottili e scovarono diversi pentiti che raccontavano tutta un’altra storia: poco dopo sono trasferiti uno a Caltanissetta e l’altro a Palermo. Più tardi i processi avrebbero dato ragione a Marino.

Nessuno dei colleghi lo difese (a parte il solito Scidà). L’Anm di Catania? Gli diede addosso perché il pm aveva riferito alla stampa: “Mi hanno impedito di indagare su mafia e politica”. Risposta dell’Anm: “Tuteleremo in ogni sede i magistrati catanesi dagli attacchi di Marino”. Il Csm poi lo prosciolse.

Altro che vittima, Scuto è un signore che fa affari con la mafia. E nel frattempo ha portato i propri denari in Lussemburgo. E’ la tesi della Procura generale che ha preso in mano l’indagine e ne chiede l’arresto. “Scuto si dava da fare per cercare appoggi finanche in Cassazione”, scriverà il Procuratore Gaetano Siscaro.

Due anni fa la condanna per mafia del Tribunale a quattro anni e nove mesi. I giudici, però, gli restituiscono gran parte dei beni. E’ questa la notizia. E Scuto ha di che sorridere. Per il Tribunale è un mafioso, ma il grosso dei suoi beni è solo frutto del suo duro lavoro.

Dopo quindici anni di indagini e processi la saga di Scuto continua, ma ai catanesi pare non interessare. Eppure non era mai successo a Catania che un grosso imprenditore venisse condannato per mafia. Neppure al tempo dei cavalieri. Adesso c’è l’appello. Una partita ancora tutta da giocare. Quella sul procuratore di fuori, intanto, è stata vinta.

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