venerdì, Aprile 26, 2024
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Amarcord

di Sebastiano Gulisano

Una storia della prima repubblica

Domenica 21 aprile 1996. Un paese di mare della Trinacria. Scuola elementare “Giacomo Matteotti”.

Sono qui per votare. Tv accesa: Tg1. I rappresentanti di lista chiacchierano seduti in corridoio. Spillette di partito appuntate al bavero della giacca. Quello del Pds e quello di Forza Italia una volta stavano entrambi nel Pci. E nella Cgil. Quello di FI era il segretario della Camera del lavoro. Che tristezza.
Saluto tutti. Strette di mano. Qualche abbraccio. Pacche sulle spalle. Ciaocomestai?… Noncisivededaunsacco… Cchessidicearroma? … Poi il tubo catodico torna a calamitare l’attenzione dei pochi presenti: un servizio sul «Processo del Secolo: …Il Senatore A Vita smentisce di avere conosciuto gli esattori di Mafiopoli…»
«Ma cchi ddici! Ma s’u visti jù a casa di ’Gnaziu di Mafiopoli!».
Non credo alle mie orecchie.
Riconosco la voce.
Mi giro verso di lui. Lo guardo. È seduto. Gesticola verso la tv, sorride e riprende, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo: «U visti jù, ccu l’occhi mia… i canusceva, eccomu!».
Mi avvicino. Mi piego sulle ginocchia e, ancora incredulo, gli bisbiglio: «Ma che stai dicendo?!», mentre con una mano gli faccio segno di abbassare il tono della voce, in modo che gli altri non sentano.
«U Sinaturi jù u visti a casa di ’Gnaziu l’esatturi – ribadisce –. Avevamo appuntamento, con Ignazio: dovevamo firmare il contratto integrativo di categoria, quello dei braccianti».
Gli brillavano gli occhi al vecchio sindacalista. Per me era sempre stato una specie di mito vivente, il mio Che. Aveva capeggiato le lotte contadine negli anni Cinquanta, dalle mie parti. Aveva guidato l’occupazione delle terre. Era diventato dirigente regionale del sindacato. Aveva partecipato alle battaglie per l’acqua a Panormus. Che vuol dire scontrarsi con la mafia. Nella fattispecie col “Papa” e col “Senatore”, quelli di Ciaculli.
Lo avevo ammirato sempre. In silenzio. Quasi adorato. I miti si adorano. Specie quando si è giovanissimi.
Gli brillavano gli occhi, al vecchio sindacalista.
La Storia gli offriva la possibilità di prendersi una rivincita sul Grande Nemico, su Belzebù in persona. Sull’ultimo Cavallo di razza dell’odiata Balena Bianca. Sui padroni.
I suoi settantatrè anni sprigionavano felicità.
«Scusa: ma i magistrati lo sanno? Gliel’hai detto?».
«Ci lu rissi ’o Sindacatu. Mi rissiru ca i jurici hannu a scutari ’n saccu ri ggenti e mi chiamunu iddi quannu ci hannu tempu».
«Ti va di fare un’intervista?».
«Certo».
«Bene: vengo a trovarti domani a casa».

* * *

Al giornale fanno spallucce: «Eh… mica è il solo ad averli visti insieme… Ti pare così importante?».
Cazzo se è importante: solo il pentito del bacio dice di averlo visto lì. Nessun altro. A casa sua, capisci?! E questo non è un pentito: è un sindacalista, uno che ancora sta ai vertici del sindacato!
«Bah… se ti pare così importante, fagliela ’st’intervista…».

* * *

«Palazzo di Giustizia: mi dica…»
«Buongiorno, vorrei parlare con il Pubblico ministero del Processo del secolo»
«Attenda…»

«Sì?! Mi dica…»
«Signor Pm, buongiorno».
«Ah… buongiorno a lei. L’ho letta, sa… ho visto che mi ha citato… Noi vi leggiamo, vi seguiamo con attenzione».
«Ah…»
(non so che dire… mi ha spiazzato… non m’aspettavo una simile accoglienza… anche se so bene che il giornale è molto stimato. Non capisco la storia che lo avrei “citato”, ma sorvolo e vado al motivo della mia telefonata)
«… Senta… Io la chiamo per chiederle se rompo le scatole alla vostra inchiesta se intervisto il sindacalista…»
«Sindacalista? Che sindacalista?»
«Come “che sindacalista”? Quello che ha visto Il Senatore A Vita a casa di Ignazio di Mafiopoli? Non dovete interrogarlo?»
«Non so di cosa stia parlando».
Gli racconto sinteticamente ciò di cui sono venuto a conoscenza.
«Me lo porti subito qui!»
«Lo chiamo e glielo dico. Le faccio sapere».

* * *

«Pronto…»
«Ciau, sugnu jù. Comu si?»
«Bbonu. E tu comu si?»
«Bbonu macari jù. Si a casa dopupranzu?»
«Sì, certu.»
«Pozzu veniri versu i cincu?»
«T’aspettu.»

* * *

«Capo… il Pm dice che mi ha letto e che l’avrei citato… Che cazzo avrà voluto dire?».
«Minchia! Come “che voleva dire”?! Che è lui l’anonimo magistrato intervistato da La Voce dei Padroni Buoni e che tu hai ripreso nell’ultimo pezzo».
«Minchia! Veru è!»

* * *

Il mio mito abita in una modesta casa popolare costruita negli anni Sessanta. L’arredamento è semplice, come nelle case dei contadini. Come nelle case di tanti che hanno dedicato la propria vita al Partito e al Sindacato. Mi accoglie la moglie. La signora mi fa sentire importante. Ma quello importante, qui, è suo marito, mica io.
Nel salotto di casa si respira la Storia. Alle pareti, stampe che ritraggono Marx, Togliatti, Di Vittorio, Pio La Torre, Berlinguer… Foto che lo ritraggono con compagni celebri di Panormus e di Roma…
Sono emozionato.
«Sai – dice lui – ho parlato con il vicesindaco e con un paio di compagni della Segreteria regionale del Sindacato e mi hanno consigliato di non fare l’intervista…»
«Non è importante. Va bene così. Ho telefonato al Pm e mi ha detto che vuole sentirti subito».
«Subito?»
«Subito».
«Ma c’è il Primo Maggio da organizzare…»
«Vabbè… ci sono ancora otto giorni…»
«… e un sacco di cose da fare».
«E tu non puoi mancare un giorno? Il tempo di andare a Panormus e tornare…»
«Uhm… viremu… vabbè! Dopodomani?»
«Dopodomani. Partiamo alle otto, ti va bene?»
«Alle otto? Io, quando devo andare a Panormus, parto alle sei!»
«Meglio. Così per le dieci siamo in Tribunale e ci sbrighiamo presto».
La moglie, fino ad allora invisibile, si materializza insieme a un vassoio con dolcetti di pasta di mandorle e tazzine di caffè fumante. (slurp). Poi sparisce come era comparsa, dopo avere poggiato le leccornie (rislurp) su un tavolinetto. Io e lui siamo nuovamente soli. Gli chiedo di raccontarmi la storia.
Racconta.
«Era la tarda primavera del 1984 (o ’85, non ricordo bene) e, insieme a un compagno che oggi sta nella Segreteria regionale del Sindacato, avevamo appuntamento con Ignazio di Mafiopoli. A casa sua, in campagna. Avevamo chiuso da poco la trattativa per il nuovo contratto nazionale ed eravamo alle prese coi contratti integrativi. Quando arriviamo, troviamo il cancello chiuso e il guardiano non vuole proprio sentirne di farci entrare. Protestiamo: “Abbiamo appuntamento!” e sventolo la copia del contratto da firmare. Ma quello è irremovibile: “C’è Il Senatore A Vita. Quando se ne va, potete entrare”. Aspettiamo almeno un’ora. Poi, finalmente, il cancello si apre ed esce una fila di macchine. Dopo ci lasciano entrare. Firmiamo il contratto e ce ne torniamo a Panormus».
Questa è la storia. C’è solo da aggiungere che Ignazio di Mafiopoli si trovava agli arresti domiciliari. Era accusato di associazione mafiosa. Reato per il quale sarà poi condannato nel Maxiprocesso.

* * *

«Pronto…»
«Signor Pm sono io: dopodomani mattina siamo da lei».
«Bene. Vi aspetto».

* * *

Martedì 23 aprile.

Sono proprio contento. L’Ulivo ha vinto le elezioni e io ho casualmente trovato un importante testimone.
Che culo!
Peccato per l’intervista…

 «Pronto…»
«Ciau, comu si?»
«Bbonu, bbonu. Tu comu si?»
«Bbonu macari jù, grazzi… Allura, dumani ni viremu ’e sei…»
«No, non ci pozzu veniri a Palemmu».
«Comu non ci poi veniri??? Cchi stai ricennu???»
«U Sindacatu mi rissi che non ci devo venire…»
«U Sindacatu??? Non ci devi venire??? Ma cchi stai ricennu???!!!»
«Dicu ca non ci vegnu!»
«Ma cu ccu parrasti? Cu chiddu ca era ccu ttia ddu jornu? Chiddu da Segreteria?»
«Ccu iddu parrai».
«Ma non poi non veniri: u Pm n’aspetta».
«Mi rissuru di non veniri e jù non vegnu. U Sindacatu è a mo vita. È tutta a mo vita. E jù fazzu chiddu ca mi dici u Sindacatu».
«…»
«…»
«Ma non poi…»
«Pozzu! U Sindacatu mi rissi accussì e jù accussì fazzu. Puntu e basta».
«…»
«…»
«Ciau…»
«Ciau».
* * *
«Pronto…»
«Buongiorno, sono l’avvocata… cerco il giornalista…»
«Ciao. Sono io. Come stai? A che devo l’onore?»
(L’avvocata è anche lei del mio paese. Ha la mia stessa età. Quand’eravamo più giovani andavo spesso a vederla giocare a pallavolo… Non è che mi piacesse granché il volley, ma ci giocavano alcune amiche e si andava a fare il tifo… E (ehm…) all’epoca i culi non traboccavano dai teleschermi a tutte le ore (ehm…). Ci eravamo persi di vista, con l’avvocata. Ci siamo ritrovati pochi mesi prima, in un’aula di Tribunale, a Vulcania. Un processo di mafia. Il più importante. Io ero parte civile. Lei difendeva un mafioso. Lavora in un importante studio legale. Ci siamo salutati come vecchi compagni. Con sincero piacere. Abbracci e baci. Ora la telefonata…)
«Mio zio mi ha detto…»
«Tuo zio?»
«Sì, il sindacalista».
«Ah… Mica sapevo che fosse tuo zio».
«Lascia perdere questa storia… È vecchio…»
«Non posso lasciare perdere: testimoniare è un suo dovere civico. E, a ’sto punto, anche mio».
«Ma è vecchio…»
«Sì, è vecchio. Ma è lucido. Può testimoniare».
«Non può andare…»
«Mi dispiace… devo fare il mio dovere. Lui faccia come crede. Ciao».
«Ciao…»

* * *

«Pronto…»
«Signor Pm, buongiorno. Il sindacalista mi ha detto che non viene. Dice che il Sindacato gli ha detto che non deve testimoniare».
«…»
«…»
«Venga subito e verbalizziamo tutto».
«Aspetti… controllo fra quanto parte il primo autobus… ecco… ce n’è uno fra un quarto d’ora: il tempo del viaggio e sono da lei».
«L’aspetto».
Clic.

* * *

A Panormus c’è il solito casino di traffico. Arrivo in Tribunale con una buona mezz’ora di ritardo. Erano alcuni mesi che non ci venivo. L’ultima volta c’ero stato per un’udienza del processo allo 007. Supero i vari controlli fino alla stanza del Pm. Mi attende con due funzionari della Dia. Gli racconto la storia così come me l’ha raccontata il sindacalista. Firmo il verbale. E me ne torno a casa.
Il giorno dopo alcuni agenti della Dia vanno a prelevare il sindacalista a casa sua. Lo portano a Panormus. Il Pm lo interroga. «Mi sono inventato tutto», mette a verbale.
Che culo!
Se avesse detto che m’ero inventato tutto io sarei stato nei guai fino al collo.
Che culo!

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