sabato, Aprile 27, 2024
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Due emigranti. “Benvenuti a Milano!”

Dieci anni fa, due giovani artisti siciliani e stralunati vanno a vivere a Milano, per trovare lavoro e felicità. Quella storia, narrata a due voci, però comincia molto prima, e ci porta molto dopo a questi giorni, nell’Italia di oggi, dove ancora esiste una legge contro l’immigrazione clandestina, e non una legge per l’accoglienza e l’integrazione degli esseri umani che entrano, vivono e lavorano nel nostro paese.

Avevo litigato con la mia famiglia d’origine, ero solo in mezzo alla strada senza un lavoro, dormivo dove capitava tra la stazione e corso Sicilia

Quella notte a pensarci bene è cominciato il nostro viaggio che ci ha portato poi da Catania a Milano, quella notte in cui ho incontrato Fabio; la notte del 29 agosto del 1996, in un periodo molto difficile della mia vita.

Avevo litigato con la mia famiglia d’origine, ero solo in mezzo alla strada senza un lavoro, dormivo dove capitava tra la stazione e corso Sicilia, mi ero fidato di persone che credevo amiche e che, invece, col tempo si sono rivelate i miei carnefici.

In quella zona di Catania la sera si svolgeva il mestiere più antico del mondo; erano le tre di notte ero fermo a Piazza Grenoble, quando mi si avvicinò un giovane :

– Senti puoi guardarmi la vespa per favore?

Ed io gli risposi: “ Sì, abbasta ca ti spicci ca mi nna ghiri”.

Lui era un ragazzo alto con i capelli lunghi castani, gli occhi verdi, le mani grandi e le spalle molto larghe. Passati dieci minuti, subito dopo lui tornò e mi ringraziò, poi io continuai ad andare per la mia strada.

Ho incontrato nuovamente questo giovane a metà strada mentre mi incamminavo senza una meta; era sulla sua vespa bianca e mi ferma :

– Hai un posto dove andare a dormire?

“No, ormai la mia casa è la strada”.

– Se vuoi per stanotte vieni a dormire da me.

Da quella sera sono passati 15 anni ed io e Fabio siamo diventati fratelli per scelta.

Vi è un episodio che ancora oggi ricordo: eravamo io, Fabio e suo padre sulla strada che porta a Pedara; infatti i genitori di lui avevano una villa lì.

Forse vi farà “sorridere” questo particolare, e io lo scrivo qui, per non rimuovere le zone buffe di questa storia.

I primi tempi, il primo mese per intenderci, quello dell’accoglienza, io a Fabio lo chiamavo “papà”.

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