venerdì, Aprile 19, 2024
Storie

“Il mio 23 maggio nella Palermo di vent’anni fa”

Antonio Cimino era a Sicilianigiovani nel 1985, è stato vicepre­sidente del Coordina­mento Antimafia. Ci racconta la Palermo di quegli anni, il suo 23 maggio 1992

Che aria si respirava a Palermo?

Era dura, avevamo tutti contro. Il Pci con noi ce l’aveva a morte, per non parla­re degli altri partiti! Eravamo volontari, ognuno con il suo lavoro: quando si ave­va tempo organizzavamo convegni, as­semblee nelle scuole. Alcuni di noi co­minciarono ad avere minacce.

Quindi da parte dell’opinione pub­blica una risposta c’era ma non dalle istituzioni politiche…

Ci mettevano i bastoni tra le ruote. Ve­nimmo a sapere che un signore, ancora oggi dopo trent’anni vicedirettore del Giornale di Sicilia (Giovanni Pepi) dice­va che eravamo dei fanatici che vedeva­mo mafia dappertutto.

Il nostro obiettivo era il livello più alto della mafia, il comando politico.

Ha mai incontrato di persona Gio­vanni Falcone?

Lo vidi qualche volta a Palermo, non spesso perché era un personaggio piutto­sto schivo visto che ce l’avevano tutti con lui. Gli parlai due volte a telefono: la pri­ma volta era impegnato, la seconda volta mi disse che stava andando negli Stati Uniti per lavoro, poi andò via da Paler­mo.

La stampa del tempo non era molto propensa nei suoi confronti…

Gliene dicevano di tutti i colori. Addi­rittura ci fu una signora che inviò una lettera al Giornale di Sicilia proponendo che questi magistrati venis­sero isolati in un posto fuori la città dove non potevano disturbare nessuno.

Il clima era questo a Palermo.

23 maggio 1992. Lei dov’era, come ha appreso la notizia, la sua reazione.

Ero davanti la Questura. La cosa che mi colpì è che per uccidere una persona fecero saltare in aria un pezzo di auto­strada con un quantitativo di tritolo im­pressionante. Si è voluto affermare “Qui noi comandiamo, siamo in grado di fare saltare in aria una città!”.

Sono passati 65 anni dalla strage di Portella della Ginestra e siamo sempre al punto di partenza. Non si è mai saputo chi sono stati i mandanti di tutte queste stragi.

Ogni anno vengono svolte le comme­morazioni. Hanno utilità oppure sono spazio pubblicitario per le istituzioni politiche?

Purtroppo è così. Arrivati ad un certo punto non ci andavamo più. Potevi in­contrare i fiancheggiatori, anche qualcu­no dei mandanti. Certo, dal punto di vista dei familiari è sempre importante ricor­dare, quello è fondamentale.

Magari non solo in quei giorni…

Esatto, il problema è soltanto lì. Ci sono state altre vittime che hanno pagato con la vita e molta gente non sa chi sono. Per il potere politico, per i giornali, meno se ne parla e meglio è. Tutte queste per­sone vengono uccise perchè isolati. I col­leghi che accusò Borsellino oggi ricopro­no posti importanti, sia nel Tribunale di Palermo sia a Roma: alcuni sono diven­tati giudici di Cassazione.

Quale messaggio ha lasciato Giovan­ni Falcone?

Ai giovani è rimasto qualcosa. Tutte le persone che sono state uccise erano co­scienti che avrebbero fatto quella fine: C’è una affermazione di Giuseppe Fava che dice “A che serve essere vivi se non c’è il coraggio di lottare?”.

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