venerdì, Aprile 19, 2024
-mensile-Interviste

Un famosissimo sconosciuto

‘Ntoni Gambazza per trent’anni fu uno dei capi, e forse il capo, della ‘ndrangheta cala- brese. Eppure pochi conoscono il suo nome

Perché “sconosciuto”? 

Ormai è nota la potenza economica, espansiva e decisionale della mafia cala­brese. Eventi come la strage di Duisburg del 2007 o le eclatanti operazioni avvenu­te nel Nord-Italia nel biennio 2010-2011 hanno consentito di scoprire la ‘ndranghe­ta. Perché, nonostante ciò, non si è mai af­frontato il tema ‘ndrangheta e Calabria a dovere? Ancora oggi, con difficoltà si rie­sce a comprendere quanto sia importante per le strategie organizzative il territorio d’origine della ‘ndrangheta.

All’interno della sola provincia di Reg­gio Calabria ci sono stati sindaci accusati di aver dato fuoco agli uffici comunali che governavano, faide in cui dei bambini sono stati uccisi e successivamente sfre­giati, lunghe stagioni in cui si sequestra­vano persone di ogni età, due guerre di mafia che hanno causato circa 1.000 morti ed infine, recentemente sono stati scoperti notevoli quantitativi di rifiuti tossici che hanno causato in alcune aree un’impenna­ta di patologie tumorali.

Di molte delle vitti­me, in Calabria, non c’è memoria: per­ché?

La ‘ndrangheta è l’organizzazione ma­fiosa egemone in Italia: perché allora le Procure e le forze dell’ordine in Calabria sono sotto organico?

Le conclusioni vanno in un’unica dire­zione: non c’è e non c’è stata la volontà politica di contrastare la ‘ndrangheta. In questo contesto di isolamento, molti dei boss della mafia calabrese che dovrebbero essere “popolari” come Riina, Provenzano o Cutolo sono sconosciuti. Nel settembre 2014 è uscito Il Patriarca, il primo libro che tratta la biografia di un boss della ‘ndrangheta. 

“Il Patriarca” di Andrea Galli 

Andrea Galli in “Il Patriarca’’ (Bur edi­zioni) racconta la storia di Antonio Pelle detto Gambazza, reputato l’ex Capo-Cri­mine della ‘ndrangheta (la carica più alta dell’organizzazione). Pelle, originario di San Luca è morto nel 2009 77 anni.

Secondo le analisi degli investigato­ri, ha stretto alleanze con potenti capi ma­fia, è stato uno dei protagonisti della faida di San Luca ed ha trafficato grandi carichi per l’esportazione di droga. Chi è real­mente Antonio Pelle? Colui che ha retto i fili della mafia calabrese, oppure un one­sto figlio di pastori originari di San Luca?

I suoi familiari e il suo avvocato avallano la se­conda ipo­tesi.

Comunque, Antonio Pel­le è stato difeso dall’ufficio lega­le di Giovanni Leone e il 24 lu­glio 1981 ha ot­tenuto la grazia: a firmare il de­creto è stato l’allora Presidente della Repubblica San­dro Pertini.

L’inchiesta di Andrea Galli, tra le altre rivelazioni, identifica la consa­crazione di Antonio Pelle alla carica di Capo-Crimine proprio nel ’95, conte­stualmente all’omici­dio ancora irrisolto di Giuseppe Nirta, re­putato fino allora il primo rappresentante della ma­fia calabrese.

”E’ indubbio che Pelle si prestò alla ‘ndrangheta – scrive in quarta di copertina Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto del­la Dda di Reggio – ma è ugualmente vero che se ne servì. Antonio Pelle diventò Capo-Cri­mine, un ruolo che potremmo paragonare a una sorta di Presidente della Repubblica delle cosche ”. 

L’intervista a Galli 

– Come si è sviluppata l’ipotesi di fare un libro su Antonio Pelle “Gambazza”? 

“Il mio primo libro, “Cacciatori di ma­fiosi”, è uscito nel 2012. Ho inizia­to a elaborarlo nel 2010. Tratta quasi esclusi­vamente delle funzioni delle forze dell’ordine nell’arresto dei latitanti. Già per il mio primo libro ho frequentato la Calabria e la zona della Locride, avvici­nandomi al tema della ‘ndrangheta. Vole­vo conoscere di più dei personaggi chiave dell’organizzazione. Subito dopo la strage di Duisburg, inerente alla duratura faida di San Luca, mi rimase impres­so un arti­colo sull’Espresso di Fabri­zio Gatti, che metteva in ri­salto la figura di Antonio Pelle. Chiedendo in giro, ho sem­pre avuto rispo­ste non sod­disfacenti. Mi in­curiosì mol­to il fatto che non si sa­peva molto di lui. La ricerca è du­rata due anni, gran parte del materiale l’ho raccolto in Calabria. L’inchiesta sul pe­riodo inizia­le della sua vita, dagli anni ’30 fino agli anni ’50 l’ho fatta interamen­te sul territo­rio di San Luca.”

– Ha incontrato ostacoli nella realiz­zazione dell’inchiesta?

“L’inchiesta l’ho fatta a intermittenza perché raccogliere materiale non è stato facile. Ho girato tutti i paesi della provin­cia di Reggio Calabria, ho cercato mate­riale negli Archivi di Stato e nelle Procure di Reggio Calabria e Locri e sono stato in moltissime caserme dei Carabinieri, vuoi i traslochi o le alluvioni degli anni ’50 e ’70, casualmente o volontariamente si sono perse molte pratiche. Lui è stato de­tenuto presso il carcere dell’isola di Pia­nosa: perfino lì non ho trovato materiale sulla sua condotta nel periodo detentivo. La ricerca sul territorio è stata tortuosa, nonostante ciò, vorrei cercare di abbattere lo stereotipo secondo il quale se vai a San Luca ti sparano, con i sanluchesi ci puoi parlare tranquillamente, si chiudono quan­do parli di ‘ndrangheta o di vicende giudi­ziarie di una determinata famiglia o perso­naggio. Il paese in cui è più difficile ope­rare anche per gli investigatori è senz’altro Platì, quando entri in quel terri­torio, è come se entrassi in un fortino, non hai la libertà d’azione, senti di essere os­servato.” 

– Antonio Pelle è morto nel novembre del 2009, secondo quanto riportato all’interno dell’Operazione Crimine del 2010 lui era l’ex Capo-Crimine della mafia calabrese, la carica più alta dell’organizzazione. Qual è stato il per­corso criminale del Pa­triarca? 

“Antonio Pelle nacque il 1° marzo 1932 a San Luca, suo padre era un pastore, non era affiliato.

“Gambazza” non è mai anda­to a scuola perché a San Luca non ce n’erano. Lo spartiacque della carriera cri­minale di An­tonio Pelle fu l’omicidio di Sebastiano Pizzata nel 1961, per conto dell’onorata società. Andò in caserma ad ammettere il delitto, i carabinieri e i magistrati non gli credette­ro perché mancavano riscon­tri.

Ho parlato con il Procuratore Aggiunto della Dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri e condivido quanto mi ha detto ‘’ E’ indub­bio che Pelle si prestò alla ‘ndrangheta ma è ugualmente vero che se ne servì. Quello fu il primo passo di un’incredibile scalata che lo portò a diventare Capo-Crimine. Antonio Pelle ebbe cinque figli, e costruìdelle sinergie attraverso i loro matri­moni. Operava a stret­to contatto con il compaesano Sebastiano Romeo ‘U Staccu e Giuseppe Morabito ‘U tiradrittu di Africo.

Dai diversi fronti con cui sono entrato in contatto, hanno evidenziato il grande carisma. Gli investi­gatori con i quali ho parlato, che hanno avuto a che fare con Pelle, sostengono che ra­ramente hanno vi­sto una forma di rispetto così alta come quella mostrata dalla famiglia nei suoi con­fronti. Stavano in silen­zio perché do­veva parlare lui. Sempre se­condo le mie testimo­nianze, Antonio Pelle di­ventò Capo-Crimine dopo l’omicidio di Giusep­pe Nirta, avvenuto il 19 marzo 1995. Un omicidio ancora av­volto nel mi­stero.

I fami­liari negano ogni tipo di coinvolgimento nella ‘ndrangheta, e non esiste una sentenza che dica che Antonio Pelle sia stato Capo-Cri­mine. L’unica condanna definitiva l’ha avuta per traf­fico di sostan­te stupefacen­ti.” 

– Nel 1981 Antonio Pelle ottenne la gra­zia… 

“La grazia venne firmata il 24 luglio 1981 dall’allora Presidente della Repub­blica Sandro Pertini, ma probabilmente la pratica della grazia venne istruita da uno dei predecessori di Pertini, si trattò sem­plicemente di un foglio da firmare.

Que­sto fatto, sempre secondo l’accusa, sembrò l’emblema della capacità della ‘ndrangheta di arrivare ad un grandissimo risultato quale la grazia, che è un lavoro nel corso del tempo, fatto da più persone nei posti giusti.

Dopo il lungo percorso ti trovi il grande risultato, è singolare che una figura come quella di Antonio Pelle, che è figlio di un pastore, che non è mai andato a scuola e non ha mai avuto un la­voro, che all’inizio della sua attività cri­minale aveva risorse economiche limitate, finisca per farsi difendere dallo studio le­gale di Giovanni Leone.

Si avvicina a Leone perché questi aveva già difeso don Mico Tripodo. La domanda sorge sponta­nea: da dove li ha presi i soldi per farsi di­fendere dallo studio di Leone? Come fai ad avvicinare uno come Leone se parti da queste origini?” 

Una storia frammentata 

Dall’inchiesta di Andrea Galli chiara­mente emerge come sia frammentata la storia di Antonio Pelle e della ‘ndrangheta in Calabria. Sono troppi i pezzi mancanti.

Per provare a pareggiare la partita infor­mativa sulla ‘ndrangheta sconosciuta ser­virebbero molti più giorna­listi e ricercato­ri specializzati sul tema. In quarta di co­pertina del libro c’è una frase di Eduardo De Fi­lippo ‘’i fantasmi non esistono…Li creia­mo noi’’.

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