martedì, Novembre 12, 2024
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“Se non lavoro non ho dignità”

Ricordo di Giuseppe Burgarella

Era un gran bel pezzo d’uomo Giu­seppe Burgarella. A vedere la sua foto colpisce subito il volto aperto, lo sguardo fiero, limpido e sincero. Di combattente civile, pervaso dalle fati­che accumulate. Un viso “antico”, di manovratore di mani nel lavoro, gui­date dall’arguzia dell’intelletto. 

A scorrere l’album del tempo molti identici tratti si ravvisano in altri visi che hanno caratterizzato tanti luoghi simboli della Sicilia, e di tant’ altri siti universali. Del contadino che, sfidando l’ira padro­nale e dello stato, occupò le terre abban­donate ed incolte dei feudi, in tanti uccisi dalla mafia per lavare l’onta perpetrata. Dell’operaio, delle ferriere, dei cantieri, delle nuove fabbriche ( oggi sparite) che, riballatosi alla frusta del più bieco sfrut­tamento, si organizzarono per fare comu­ne fronte. 

Dei minatori, delle miniere di zolfo or­mai scomparse, che pativano a mille me­tri di profondità, assieme agli infanti che venivano utilizzati per infil­trassi negli anfratti più stretti e bui.

Degli uomini utilizzati a costruire i nuovi palazzi, specie nelle fasi dei grandi sacchi dell’edilizia isolana; issati, sui ponteggi, a grandi altezze senza sostegni, sfidando le leggi della gravità. Gli uomi­ni dei treni, le enormi torme dei migranti che, per sfuggire alla fame e alla dispera­zione, abbandonavano famiglie ed affetti per andare in terre assai lontane. Sempre più a nord. Le donne piangevano, si strappavano i capelli, poi si rassegnava­no, rinchiudendosi nel dolore di sempre.

Richiedevano tutti pane, lavoro, diritti e libertà. 

Oggi nell’isola la disoccupazione è molto alta, quasi stratosferica. I giovani, come già avvenne allora, partono di nuo­vo, a frotte. La povertà e le sofferenze prevalgono. Ognuno vive isolato la sof­ferenza e la sua fame. Le lotte, ormai po­che e disarticolate, sbattono contro un enorme muro. Sopra, assiso a gambe lar­ghe, sghignazza l’indifferenza del ricca­stro e dei laidi manovratori. Se va bene, il licenziato, il disoccupato, si prende il limitato soldo dell’assistenza statale, poi scatta la totale disperazione.

Giuseppe Burgarella – muratore e mar­mista fin dalla giovane età, 61 anni, di­soccupato da tempo – impiccatosi alcuni giorni addietro, distrutto dal dolore d’essere “ cancellato” dalla società, im­pegnato nella Cgil e quindi ancor più co­sciente, nel suo atto estremo, li rappre­senta tutti.

Ha lasciato scritto: “Se non lavoro non ho più dignità”: la dignità dell’onesto, ri­guardoso degli altri e degli ultimi senza confine, del lavoratore cosciente di con­fidare nella sua perizia e nel suo impe­gno, della scala dei diritti e dei doveri, ri­spettoso dei principi della legalità e della democrazia, dei valori della Costituzio­ne, duramente conquistati.

Umiliato, nella sua essenza di essere umano, dalle destrezze dei rapaci che hanno fatto piombare il Paese e tanti cit­tadini nel tetro dell’angoscia, privandoli del minimo essenziale per la sopravvi­venza.

Aveva ben chiaro il grave tradimento perpetrato a danno della Costituzione, e di tanti italiani. Dell’art. 1, in specie, ove si sancisce che “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

A fianco al suo corpo ha lasciato un fo­glio. Trascritto un lungo elenco. I nomi­nativi dei senza speranza, privi di lavoro, sacrificatosi togliendosi la vita, negli ul­timi due anni.

Il foglio era deposto dentro una copia della Costituzione.

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