martedì, Marzo 19, 2024
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Scajola, Dell’Utri e lo Stato Parallelo. Quella cena a casa Billè…

Le indagini della Direzione Investigativa Antimafia

Un sistema economico-finanziario-criminale complesso che opera nell’ombra e sostiene interessi imprenditoriali illeciti coinvolgenti svariati settori, in cui ciascuno è parte di un tutto e al quale contribuisce fornendo i propri canali e le proprie conoscenze per ottenere vantaggi enormi.

Poteri forti, fortissimi, una supercupola ove opererebbero in contiguità ex uomini di governo, parlamentari, faccendieri, industriali, appartenenti delle forze dell’ordine, affiliati di mafia e ‘ndrangheta, massoni (alcuni dei quali con un passato nella P2 di Licio Gelli), dirigenti di punta del complesso militare-industriale, finanche qualche giornalista professionista. Uno Stato parallelo che secondo la Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria avrebbe dato il proprio sostegno per garantire le fughe e latitanze dorate all’estero di due ex parlamentari di primo piano del partito azienda di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Amedeo Gennaro Matacena, “pacificamente vicini ad associazioni mafiose, rispettivamente siciliane e calabresi”.

“L’intensità e la caratura degli enunciati rapporti, esaminati soprattutto alla luce delle risultanze investigative romane, postulano necessariamente una stretta correlazione tra le due vicende che hanno visto quali protagonisti i due politici, vale a dire quella della fuga in Libano dell’ex senatore Dell’Utri, ed il trasferimento a Dubai dell’ex deputato Matacena, ove tuttora – da latitante – risulta dimorare”, riporta la DIA nella sua informativa sullo Stato parallelo, redatta il 19 aprile 2018. “Le acquisizioni investigative hanno documentato la sicura esistenza di una rete di rapporti e basi logistiche in grado di supportare la condizione di latitanza di soggetti la cui notorietà, per il contesto politico di provenienza, è tale da richiedere entrature e condivisione di interessi ad alti livelli. Si è disvelata la piena operatività di un vasto e qualificato numero di soggetti dedito alla commissione di condotte delittuose di particolare gravità, alcune contro il patrimonio, finalizzate a schermare la reale titolarità di imponenti cespiti patrimoniali in capo ad Amedeo Gennaro Matacena, indi volte ad aiutare il predetto a sottrarsi alla esecuzione della pena a lui applicata…”.

L’informativa della Direzione Investigativa Antimafia è frutto di un’attività d’indagine avviata nell’ottobre 2014 e oggi è agli atti del processo che vede imputato al Tribunale di Reggio Calabria l’odierno sindaco di Imperia, Claudio Scaloja (pluriministro di Forza Italia negli esecutivi di Silvio Berlusconi tra il 2001 e il 2010), con l’accusa, appunto, di aver favorito la latitanza di Amedeo Gennaro Matacena, condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

“Nell’ambito del presente procedimento, apprezzabile rilevanza investigativa hanno assunto le complesse attività tecniche ritualmente autorizzate sia nei confronti di Chiara Rizzo, moglie di Matacena, sia nei riguardi dell’ex parlamentare Claudio Scajola, entrambi implicati nelle condotte finalizzate, preliminarmente, a favorire la sottrazione del Matacena all’esecuzione della pena disposta dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria e, successivamente, ad agevolare il tentativo di trasferimento del medesimo dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, con lo scopo di proteggerlo da una possibile estradizione in favore dello Stato italiano”, riportano gli inquirenti calabresi. “L’apporto concorsuale di Claudio Scajola nel proposito criminoso di condurre a buon fine le operazioni in favore del Matacena, si è sostanziato nel contributo logistico e nella consistente e fitta rete di relazioni personali e fiduciarie posta funzionalmente nella disponibilità dei coniugi Matacena, al fine di tutelare i comuni interessi di natura economica ed imprenditoriale. Per tale ragione Scajola ha mantenuto frequenti contatti con Chiara Rizzo, informandola costantemente in merito agli esiti delle attività dal condotte (…) che avevano come finalità quella di condurre il citato armatore in un paese sicuro, individuato nella capitale della Repubblica del Libano”.

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