venerdì, Aprile 26, 2024
-mensile-Giornalismo

Satira volontaria e no

Quale libertà

LA CENSURA A CATANIA 

I fatti di Parigi hanno aperto, per l’enne­sima volta, il dibattito sulla libertà di infor­mazione. E’ venuta fuori tutta l’ipocrisia dei grandi giornali e delle grandi firme del giornali­smo. Tutti sosten­gono che i nostri giornali sono liberi da ogni condiziona­mento e da ogni censura.­Ma non è vero.

Sulla libertà di in­formazione, di espres­sione e satira siamo agli ultimi posti. In Si­cilia, dagli anni ’60 agli anni ’90 sono stati ucci­si dalla mafia otto giornalisti che con inchieste e articoli facevano venir fuori le ve­rità sui rapporti tra mafia e politica, ma­fia e co­mitati d’affari, ma­fia e imprendito­ria. Il terrorismo mafioso fermò le penne dei giornalisti miglio­ri.

Quarant’anni di censura violenta e san­guinosa, che la solitudi­ne, l’omertà e la paura fecero sprofondare nell’oblio, nei de­pistaggi, nella diffamazione, allo scopo di non accertare mai la verità su quei delitti. Gli stessi giornali siciliani, tutti d’accordo tra loro, non fecero nulla per difendere i giornalisti che per un giornalismo fatto di verità dettero la vita.

Catania, 5 gennaio 1984: viene ucciso dal terrorismo mafioso un uomo, un gior­nalista, un drammaturgo, un artista che raccon­tava la società siciliana “puttana e matrigna”, oppressa dai poteri occulti e nascosti tra mafia e comitati d’affari.

Quell’uomo si chiamava Giuseppe Fava e fu censurato da cin­que colpi di pistola. Lo uccisero e poi lo diffamarono affinché la gente di Catania si dimenticasse di lui. Ma non fu così: i ragazzi dei Siciliani rac­colsero il testimone continuando a raccon­tare la verità. Fu diffamato e ancora censu­rato dai notabili catanesi, dall’unico quoti­diano della città, dai suoi ex colleghi gior­nalisti che si autocen­surarono.

Paura di perdere il posto? Di non essere ammessi nella società bene? Non sappia­mo, e in fondo non ce ne importa nulla. Ne ri­spondano alla loro coscienza.

Oggi la mafia non uccide più i giornali­sti siciliani: ci pensa il sistema dei grandi editori a censurarli prima. Ci sono ragazzi e ragazze che pieni di entusiasmo vorreb­bero indagare sui fatti di cronaca, attraver­so un giornalismo che racconti la verità. Ma il si­stema della grande editoria è li pronto a impedirlo:

“Cara ragaz­za, vuoi fare la giornalista? Fammi questo pezzo, poi vai in ammini­strazione dove ti daranno dieci euro, con­tenta? Vedrai la tua firma sul nostro pre­stigioso giornale!”

“Veramente io volevo scrivere sui centri commerciali e i soldi riciclati …”.

“Ma quale riciclaggio, quale mafia! Lascia perdere… Fammi un bell’articolo sul barocco catanese, no?”.

Una censura che non uccide il corpo ma la voglia di raccontare la verità.

E oggi, a Catania, com’è la censura? Esattamente come tren­tun anni fa: un solo quotidiano, con lo stesso editore che fa af­fari con la politica e le imprese, che si ac­caparra tutta la pubblicità, non solo com­merciale ma anche quella politi­ca, di de­stra e sinistra. Un quotidiano uni­co torna utile durante le campagne eletto­rali!

Ma non scoraggiatevi, giovani giornali­sti: ci sono anche qui tante piccole te­state, qualcuna libera, qualcuna meno, ma ci sono! Ci sono giornali che vengono dal­la scuola dei Siciliani, che fanno fare rete per una informazione libera e di base, per un gior­nalismo di verità. Per cui forza, an­diamo avanti! GIOVANNI CARUSO

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