giovedì, Aprile 25, 2024
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Quell’Italia nascosta che ammazzò Spampinato

Neofascisti, mafiosi e notabili cittadini. E, sullo sfondo, un appa­rato golpista bene inse­rito nello Stato. Su tut­to ciò indagava Giovan­ni Spampinato, croni­sta senza paura

Quando Giovanni Spampinato è stato ucciso a Ragusa, aveva venticinque anni.

Il 27 ottobre 1972 Rosario Campria, principale indiziato del delitto Tumino e Giovanni Spampinato, cronista ragusano de L’Ora di Palermo, avevano appunta­mento. Campria voleva incontrare chi, unico tra i giornalisti locali, lo aveva ac­cusato di essere tra i responsabili dell’omi­cidio di Angelo Tumino, costrut­tore, trafficante di reperti archeologici ed ex consigliere comunale del Movimento Sociale.

Campria, figlio del presidente del tribu­nale della città, era un appassionato d’armi, che abitualmente frequentava neo­fascisti e anche Angelo Tumino, il quale venne ucciso in una contrada il 25 febbra­io. Aveva un alibi fornito dal genero no­nostante, durante la notte dell’assassinio, fosse andato a casa di Tumino, portando via dei documenti. La magistratura iblea rispettò il cognome del sospettato ed ebbe riguardi più che particolari.

Golpisti e boss mafiosi

Giovanni Spampinato non ebbe invece alcun timore reverenziale – proprio di molti cronisti locali – nel raccontare la vi­cenda. Superando le versioni ufficiose ed omertose divulgate, si convinse che Cam­pria fosse coinvolto nell’omicidio, che la Procura di Ragusa non stesse indagando con il necessario rigore, per tutelare il fi­glio del suo autorevole rappresentante, e che l’indagine dovesse essere trasferita.

Con occhio lucido, ricostruì un articola­to mosaico che lasciava intravedere un oscuro disegno: dietro l’omicidio Tumino, probabilmente, stavano correnti della de­stra eversiva, che in quegli anni erano al centro di trame golpiste e che stringevano una fitta rete di relazioni con Cosa Nostra.

Raccoglieva informazioni sui contatti tra Campria e Stefano Delle Chiaie, fon­datore di Avanguardia Nazionale e colla­boratore del principe Borghese. Aveva raccontato della provincia ragusana come rifugio dorato per latitanti fascisti, di cam­pi d’addestramento paramilitare nelle campagne e di sbarchi clandestini di armi.

Lo scrisse nei suoi articoli, che lasciaro­no indifferenti gli abulici concittadini.

Un intreccio eversivo

Quella sera la Cinquecento di Spampi­nato, su cui viaggiava anche Campria, era alla ricerca di un bar ancora aperto. Quan­do questa rallentò nel traffico la sua corsa, di fronte all’ingresso del carcere di Ragu­sa, Campria esplose sei colpi a bruciapelo da una delle due pistole che aveva con se, scese dall’auto e andò a costituirsi imme­diatamente attraversando la strada. Il gior­nalista morì pochi minuti dopo, mentre al­cuni automobilisti cercarono di portarlo in ospedale.

L’assassinio di Giovanni Spampinato fu una cinica operazione per mettere a tacere chi voleva raccontare il complicato intrec­cio di relazioni tra le forze criminali di Cosa Nostra e le organizzazioni eversive fasciste che puntavano al colpo di stato. L’isola però quella notte perdeva un bril­lante e coraggioso narratore di verità oc­culte.

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