giovedì, Dicembre 12, 2024
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Pane e amianto

Dopo vent’anni l’ex Sa­celit di San Filippo del Mela uccide ancora

Si può morire per mancanza di lavoro, a volte sei così disperato che arrivi a decidere di farla finita. Non è un fenomeno di oggi, semmai – per l’attenzione mediatica data alla lunga crisi economica – oggi ce ne siamo accorti. Ma si muore anche di lavoro. Le cifre diffuse dall’Osservatorio indipendente di Bologna sulle “morti bianche” sono inquietanti: dall’inizio dell’anno almeno 92 lavoratori sono morti per infortuni sui luoghi di lavoro. Il 42 per cento in edilizia, il 20 per cento in agricoltura, l’8,9 per cento nell’industria. Negli ultimi sei anni sono stati oltre 5.000 i lavoratori morti per infortunio sul lavoro. Numeri da bollettino di guerra.

C’è poi un modo particolarmente atroce di morire. Morire per amianto, per aver respirato sui luoghi di lavoro le sue invisibili fibre che non lasciano scampo. Dei danni provocati dall’amianto si parlava già sin dai primi anni del 900, tanto che la malattia conseguente, l’asbestosi, fu inserita tra le malattie professionali dalla legge 455/1943, ma è solo negli anni Sessanta che la comunità scientifica riconosce che l’esposizione può provocare il cancro. Bisognerà aspettare il 1992 perché l’asbesto venga bandito in Italia con una legge – la 257 – nei manufatti di nuova costruzione. Infatti fino alla fine degli anni Ottanta l’Italia è stata il secondo maggior produttore, secondo solo all’ex Unione Sovietica.

Negli ultimi dieci anni le persone che si sono ammalate di patologie correlate all’asbesto sono aumentate del 50%. Un numero tuttavia destinato a crescere per via dei lunghi tempi di latenza del mesotelioma pleurico, una forma rara di cancro che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste e protegge la maggior parte degli organi interni del corpo che può manifestarsi anche dopo quarant’anni. I dati diffusi dal Registro nazionale mesoteliomi (ReNam) ci dicono che dal 1993 al 2008 in Sicilia sono stati 850 i casi di mesotelioma. Si tratta di circa cinquanta casi all’anno che coinvolgono non solo l’esposizione sul lavoro, ma anche il contatto con materiale o ambiente contaminati. Allo stato dei fatti, sono 91 i casi di esposizione professionale certa, 49 probabile e 54 possibile, ma ci sono ancora 120 casi di origine ignota. In Sicilia si verifica complessivamente il 5,3% dei casi, ma la percentuale potrebbe crescere perché si è ancora in attesa del picco che per gli epidemiologi si manifesterà tra il 2020 e il 2025.

L’ennesima vittima di questa strage silenziosa si chiamava F.D.P. e se n’è andato a ottant’anni, dopo averne combattuti quaranta contro la malattia. Per oltre quindici anni ha lavorato alla Sacelit di San Filippo del Mela, nel messinese. Ogni giorno – per portare a casa il pane – si recava sul posto di lavoro, a scaricare e caricare sacchi di amianto dai carri ferroviari e produrre tubi di eternit, ignaro dei suoi poteri devastanti. La sua morte porta a 115 la conta degli ex dipendenti – su 220 – della fabbrica siciliana uccisi da asbestosi e patologie tumorali.

La storia della Sacelit è meno conosciuta e meno raccontata di quella della più tristemente nota Eternit di Casale Monferrato e ha inizio nel 1957, quando nell’area industriale di contrada Archi la famiglia Presenti, proprietaria della Italcementi, realizza un impianto per la produzione di materiali per edilizia e l’idraulica in calcestruzzo e amianto. È rimasta in attività fino al 1993. Vent’anni dopo, oltre la metà dei dipendenti che lavorarono in quel distretto industriale – comprese alcune delle mogli e figlie che avevano lavato le tute di lavoro dei loro mariti e padri – si sono ammalati e sono morti.

Racconta Salvatore Nania, ex operaio Sacelit, malato pure lui: «Ci dicevano che su quei sacchi di juta contenenti amianto e cemento potevamo persino mangiare. Ci dicevano che era sicuro, non avevamo nulla da temere».

E invece: «Nel 1979 lessi un articolo in cui si diceva chiaramente che il materiale provocava il cancro. Così iniziai a collegare il fatto con la morte per tumore di qualche mio collega avvenuta in quel periodo».

«Domandammo mascherine e tute di protezione che non ci avevano mai dato, anche se la legge le imponeva dal 1955. Esigemmo visite mediche e più controlli».

Fin dal 1976 la Sacelit (così come i dirigenti responsabili della centrale di San Filippo del Mela ed altri proprietari e dirigenti di tante altre aziende del comprensorio: la raffineria di Milazzo, le Ferrovie dello Stato, la Pirelli di Villafranca Tirrena, la Sanderson e i Cantieri navali di Messina) sapeva dunque che alcuni dei suoi operai si erano ammalati inalando scorie di amianto. Nel 1983 è l’Ispettorato del lavoro di Messina a multare l’azienda, indicando una serie di misure per la sicurezza – da attuare entro tre mesi– tra cui l’installazione di un impianto di aerazione. Disposizioni rimaste lettera morta.

Seguono anni di perizie medico-legali, ricorsi, pronunciamenti dei tribunali in cui il comitato Ex esposti amianto e ambiente – guidato da Nania e assistito dall’avvocato Corrado Martelli – è riuscito ad ottenere risarcimenti dall’azienda per 16 milioni di euro. La Sacelit ha violato la legge: i giudici hanno stabilito che «le argomentazioni difensive inerenti le scarse conoscenze scientifiche sulla pericolosità dell’amianto non possono essere accolte».

Per Nania anche se «L’azienda ha ammesso la sua responsabilità e non si rifiuta di dare i risarcimenti a ex dipendenti e familiari morti o malati. Nessuna cifra però potrà mai valere quanto la vita dei miei colleghi morti». «Il problema generale – conclude – è che nei confronti dell’amianto c’è stata molta approssimazione, sia prima che non si conoscevano gli effetti devastanti, ma anche ora. Basta girare per le strade per vedere quanti tetti di amianto ancora ci sono tra gli edifici, speriamo che il governo nazionale e quello regionale affrontino seriamente il problema, affinché ai nostri figli e nipoti non accada quello che è accaduto a noi. E da una cultura di morte si passi così ad una cultura di vita. Io sono malato, ma la cosa che mi lascia più esterrefatto è vedere i miei colleghi morire uno dopo l’altro».

La procura della Repubblica di Barcellona ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Indagati gli ex dirigenti dello stabilimento di San Filippo del Mela e il 5 giugno scorso il gup Anna Adamo, accogliendo le richieste del pm Fabio Sozio, ha nominato due periti che dovranno accertare il nesso di casualità tra le morti, avvenute nel corso degli anni nella “fabbrica della morte” e le malattie professionali di cui erano affetti i lavoratori esposti a vari rischi ambientali.

Ciò nonostante qui è accaduto di tutto. La bonifica è iniziata solo nel 2008, ben 15 anni dopo la chiusura. «Per molti anni nei terreni attigui all’azienda – continua Nania – erano sotterrati centinaia sacchi di iuta con migliaia di tonnellate d’amianto e vasche di decantazione pieni di fanghiglia dove era presente eternit. Molto spesso i rifiuti dell’amianto venivano inoltre gettati in mare e riteniamo che inizialmente venissero anche scaricati nei torrenti vicini».

Nel 2007 la Procura di Barcellona Pozzo di Gotto sequestra lo stabilimento: l’area non era stata bonificata e i capannoni, nel 2002, erano stati acquistati dalla “Punto industria srl” per trasformarli in deposito di alimentari che poi, attraverso il Consorzio “Europa distribuzione”, finivano nei supermercati siciliani.

Nel 2009 un’indagine condotta dal Noe di Roma accerta che amianto frantumato, altamente cancerogeno, proveniente dalla ex Sacelit e dalla ex Nuova Sacelit di San Filippo del Mela, sarebbe stato smaltito illecitamente presso la discarica di Pomezia, idonea a ricevere esclusivamente amianto compatto.

Lo scorso aprile, dopo un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza di Milazzo, undici imprenditori sono stati iscritti nel registro degli indagati per avere distribuito, fra il 2007 e il 2009, prodotti contaminati da amianto in tre discariche non idonee allo stoccaggio di rifiuti pericolosi: quelle di Gavignano, Priolo e Lamezia Terme.

I rifiuti provenivano proprio dal cantiere dell’ex Sacelit di San Filippo del Mela e l’accusa mossa agli undici indagati dal sostituto procuratore della Dda di Messina Fabio D’Anna e dal collega della Procura di Barcellona Francesco Massara è di “reato di traffico illecito di rifiuti pericolosi in concorso”.

A 21 anni dalla messa al bando dell’amianto, la legge 257 resta ancora in larga parte disattesa perché non hanno avuto efficacia le attività di bonifica. Sparsi per l’Italia ce ne sono più di 30 milioni di tonnellate, 380 i siti in classe di rischio 1 distribuiti su tutto il territorio nazionale da bonificare e dall’alta rilevanza sociale e ambientale, come scuole, caserme e ospedali in contesto urbano. Per di più la rimozione e il deposito in discariche speciali, come previsto dalle norme, sono tutt’altro che semplici e risolutive. Rimangono ancora ad altissimo rischio gli abitanti di case inquinate dalle fibre, i familiari degli ex lavoratori esposti e le case accanto ai numerosi siti dove si aspetta lo smaltimento.

In Sicilia continuano ad esserci aziende da bonificare (fino al 1992, erano ben 780 le aziende isolane hanno dichiarato di aver fatto uso di amianto), due dei nove siti nazionali più contaminati sono siciliani: oltre a San Filippo del Mela troviamo zone come l’Eternit Siracusa, le cave Monte Calvario di Biancavilla, Gela, Termini Imerese e San Cataldo.

Non si è predisposto un piano complessivo per il censimento e la conseguente bonifica, si è solo adempiuto ad una parte delle direttive contenute nella legge 257: come la richiesta alle aziende che utilizzavano asbesto di inviare ogni anno alle regioni un rapporto sull’utilizzo del materiale. In Sicilia, ammesso che questo materiale sia giunto, non è mai stato diffuso in un report ufficiale.

Insieme alla Calabria, siamo l’unica regione dove non esiste ancora una legge per la tutela e la prevenzione dei rischi. Solo di recente è stato presentato all’Ars un disegno di legge per regolarizzare la gestione dell’amianto: dal monitoraggio dei rischi, fino allo stoccaggio, allo smaltimento, agli interventi di bonifica e verranno stanziati 1 milione e 700mila euro per il sostegno ai pazienti affetti da patologie causate dall’amianto. Saranno le Asp a provvedere agli specifici interventi. Prevista anche l’individuazione di un polo regionale per la cura e la prevenzione della patologie da amianto nell’ospedale «Muscatello» di Augusta.

Nello specifico si legge nel testo che «tutti i soggetti pubblici e privati proprietari di siti, edifici, impianti e mezzi di trasporto, manufatti e materiali con presenza di amianto sono obbligati a darne comunicazione alla Arpa». Un passaggio non scontato che implica la responsabilità del privato.

Nascerà così un registro pubblico che conserverà una mappatura completa dell’isola, classificando i siti in base al grado di rischio sanitario. Toccherà ai Comuni operare il censimento – inviando alle famiglie un apposito modulo – che dovrà essere ultimato entro un anno e mezzo dall’entrata in vigore della norma. Sui centri di stoccaggio, la tappa finale dovrà poi essere la creazione di un centro per la trasformazione in sostanza inerte «da realizzare – sottolinea la legge – in una delle aree più a rischio: Priolo, Biancavilla, San Filippo del Mela, Milazzo o Gela, entro due anni». Questa struttura però non ha attualmente copertura finanziaria, per il ddl dovrebbe arrivare dai fondi comunitari o da un project financing. Il disegno di legge dovrà adesso essere sottoposto all’attenzione delle commissioni Territorio e Bilancio, prima di approdare in aula per il voto definitivo dell’assemblea regionale. Chi vivrà, vedrà.

Scheda

Procedimenti ovunque, presto anche in Sicilia

Si moltiplicano i procedimenti in tutta Italia in materia di amianto e patologie correlate nei luoghi di lavoro. A Torino la seconda tranche del processo Eternit potrebbe prevedere l’ingresso delle istanze di giustizia relative all’Eternit di Siracusa, così come avvenuto per gli stabilimenti continentali di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli. A Milano sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime in relazione a 19 casi, 11 persone, tra ex componenti del cda ed ex amministratori della Pirelli, nel procedimento che vede al centro la morte di alcuni operai colpiti da tumori causati dall’amianto presente in fabbrica. Nella prima tranche del procedimento penale sono andati a processo gli undici ex manager Pirelli per 24 casi, tra operai morti per mesotelioma pleurico o che si sono ammalati di tumore. In Sicilia a dicembre inizierà il processo a carico di undici esponenti delle Ferrovie dello Stato accusati di omicidio colposo plurimo nei confronti di cinque operai uccisi dall’amianto killer durante il periodo di lavoro nell’Isola. Le Fs si difendono tramite i legali dichiarandosi tra le prime aziende in attività in Italia ad attivarsi per contrastare il fenomeno.

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