venerdì, Aprile 19, 2024
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La Sicilia di Cuffaro

Il potere che riemerge da se stesso

A proposito di comportamenti politici, fa impressione pensare che, per esempio, in una Germania – certo non più mitica sul piano della correttezza – lo Statista Helmut Kohl che ha compiuto il prodigio geo-politico – ed economico più importante del secolo – la riunificazione delle due Germanie – per avere avuto contestato un reato finanziamento illecito del suo partito, di dimensioni risibili rispetto alle cifre nostrane, andò a piangere in televisione e, sostanzialmente, di lui non si è saputo più nulla.

 Invece, in Sicilia, l’ex governatore della regione – condannato per favoreggiamento aggravato di cosa nostra e rivelazione di segreti di ufficio, al momento di lasciare anticipatamente il carcere per i benefici di legge, sta sulle prima pagina di tutti i giornali con il riconoscimento da più parti di virtù umane, politiche ed istituzionali per la compostezza con la quale ha accettato e pagato la sua pena.

Certo, se ci concentriamo un attimo sul capo di accusa confermato in sentenza – favoreggiamento aggravato di cosa nostra – ogni considerazione viene sopravanzata dall’orrore per il tanto sangue che è corso per contrastare il potere crudelmente dispotico della mafia e il blocco posto dal sistema mafioso alle speranze di sviluppo di una terra rappresentato dal connubio perverso tra mafia, politica ed affari.

E quando qualcuno dice “bisogna riconoscere a Cuffaro l’onore delle armi”, viene da chiedersi ma di quali armi si parla in riferimento ad un condannato per reato di mafia?

Cuffaro dice: “Nella mia coscienza sono innocente. Sono andato a sbattere contro la mafia. Tornassi indietro metterei un airbag”. – E ancora – “Ho fatto degli errori, non voglio nascondermi, io li ho pagati altri no…”.

Ma ad un uomo dalla coscienza linda, ma che ha la consapevolezza di avere “sbattuto contro la mafia” è dato chiedere perché non ha mai parlato di questa mafia con nomi, cognomi e con tutti gli elementi propri della persona informata dei fatti, anzi che ha addirittura sbattuto sui… fatti?

Non è per infierire, ma sembra che l’uomo – presunto redento, anzi dichiaratosi innocente – continua l’utilizzo di un codice verbale non esattamente trasparente che, come nella tradizione, si dimostra di grande astuzia strategica. Egli ammette quello che è innegabile, ma non può costituire affermazione di significato probante, né tanto meno prova, ma senza privarsi della possibilità di lanciare precisi segnali: “Ho fatto degli errori… io li ho pagati, altri no”.

Quest’uomo riesce a fare il miracolo di rendere impalpabile ed eterea l’ammissione delle sue responsabilità, mai direttamente riconducibili al grave capo di accusa che lo ha visto condannato, ma di lasciare intendere fatti molto concreti riguardanti altri, naturalmente senza mai circostanziarli.

Se nella dottrina cristiana – dichiarata grande risorsa dell’esperienza carceraria di Cuffaro – il discernimento morale non può che essere origine del sincero pentimento e della volontà di rimediare al male fatto, perfino involontariamente, allora chi sono questi altri che non hanno pagato colpe, quanto meno pari alle sue?

Possibile che in tante ore di udienze, oltre che a dimostrare la sua irreprensibilità istituzionale e il suo stile morale nel rapporto con la magistratura e tutte le istituzioni, non ha trovato il tempo per delineare ai suoi giudici le forme criminali della regolazione della spesa pubblica e della costruzione del comando in Sicilia?

Purtroppo, al di là del senso formale dello Stato – più volte evocato dai suoi estimatori – è indubbio che Cuffaro non si è impegnato a raccontare come la degenerazione della vita pubblica in Sicilia avesse un carattere sistemico che pure lui evoca nelle sue fumose ricostruzioni, ma senza scendere mai nei particolari che potrebbero rivelare un sistema, finora contemplato solo in modo aleatorio, come quello che era e che è: un comitato politico, affaristico e mafioso, individuabile in tutti i suoi gangli e i suoi “attori” e comprimari.

Così facendo avrebbe dato un contributo decisivo alla giustizia per intaccare un sistema, per molti versi ancora in piedi, e impedire che uomini di comando, ben noti a lui, continuino a gestire amministrazioni e potere reale.

Insomma, detto con il massimo rispetto per l’umana sofferenza, si tratterebbe di smetterla con le manfrine dando con le sue informazioni corpo e sostanza a quella degenerazione clientelare che non si configura come un crimine solo ascrivibile a categorie astrattamente morali, ma bensì uno strumento efficacissimo per l’estorsione di un consenso che, mentre corrompe persone e strumentalizza bisogni sociali, distrugge sul nascere il sistema sociale complessivo della Sicilia, a partire dai settori particolarmente esposti ai ricatti, dalla sanità, al lavoro, ai sistemi produttivi, ecc.

Ma la domanda che tanti si fanno adesso riguarda il futuro di Totò Cuffaro che anche lui pare vorrebbe andare in Africa – un continente decisamente sfortunato – ma che sembra improbabile essere radicalmente diverso da quello che è stato il suo percorso.

Certo non dovrebbe avere il problema della sussistenza perché se è vero che è stato licenziato dalla regione siciliana – dove fu assunto da giovane come medico dell’Ispettorato sanitario – e radiato dall’Ordine dei medici, è anche vero che mantiene il suo vitalizio dall’Ars di circa seimila euro e, come si dice e per quel che è noto, ha qualche terra al sole.

In ogni caso, solo uno sprovveduto come il suo successore Crocetta poteva fare intendere un suo ritorno in prima persona in politica perché, a prescindere dei vincoli giudiziari dell’interdizione dai pubblici uffici, Cuffaro la politica non ha mai smesso da farla in questi anni perché è connaturata con il suo modo di essere.

Intanto, vanno inscritte in questa sua vocazione originale sicuramente la gradualità nel cambio di stile delle sue interviste durante la carcerazione – sempre più, dal senso trascendentale della vita alla concretezza della politica – e la sua compostezza processuale con l’accettazione delle conseguenze, anche esistenziali della politica.

È questo il suo un bagaglio da democristiano di lungo corso che non fa mai rotture definitive, in modo eclatante, e che cerca sempre il nodo da cui riparte la politica, se accettata nelle condizioni date per non subirla da persona qualunque.

E siccome Cuffaro è – come ama dire – uomo del fare – intendendo per fare soprattutto il tessere paziente di ragnatele politiche – la lettura del suo personaggio va fatta in chiave psicologica, ma soprattutto relazionale.

 Totò può rinunciare a tutto tranne che alle relazioni che tutto intersecano e avvolgono intorno a lui, confondendo affetto, favori, interessi, progetti.

In questo senso non va trascurata l’indagine aperta dalla Procura della capitale – adesso retta dall’ex procuratore aggiunto di Palermo Giuseppe Pignatone e con la presenza dall’aggiunto Michele Prestipino che, ironia della sorte, hanno sostenuto l’accusa nel processo che ha condannato Cuffaro – e che alcuni osservatori considerano scontato finisca in dibattimento per l’accertato via vai di politici dal carcere di Rebibbia dove Cuffaro è stato ristretto.

I politici in questione utilizzavano legittimamente il lasciapassare di deputati nazionali ed europei per visitare il recluso eccellente, portandosi dietro dei presunti collaboratori.

Fin qui tutto normale perché consentito dalla legge, se non fosse che, secondo l’accusa, gli accompagnatori non erano quello che si dichiaravano, ma – di norma – altri politici o manutengoli di vari livelli che, evidentemente, avendo bisogno di parlare con Totò, dichiaravano ai registri del carcere di essere aiutanti dei deputati autorizzati che gravemente avallavano.

L’elenco dei deputati si presta a parecchie considerazioni – certo tutte da dimostrare – ma, specialmente su alcune linee, difficilmente etichettabili come mere congetture anche perché bisogna ricordare che la Sicilia è terra di relazioni forti in cui incontri e scontri stanno perfino oltre gli schieramenti e le stagioni politiche.

Sembrerebbe naturale la presenza nella lista di uno dei maestri di Cuffaro, Calogero Mannino (fresco di assoluzione nel processo sulla presunta trattativa stato-mafia) che certo non dimostrerebbe l’autorevolezza morale del maestro se si confermasse, come sembra, che ha mentito a dei pubblici ufficiali portandosi dietro, sotto le mentite spoglie di collaboratori, un nugolo di personaggi come l’ex deputato regionale Nunzio Cappadona, e tali Bruno Mariani, Antonina Saitta, Attilio Tripodi, Antonio Marino, tutti soggetti che l’accusa sostiene non hanno alcun rapporto di collaborazione con l’ex ministro, ma magari – si può aggiungere – solo cointeressenze politiche.

Come non poteva mancare il fedelissimo Nino Dina, già recentemente incappato in altri guai giudiziari siciliani, che per vedere Totò è costretto a spacciarsi per collaboratore del deputato Saverio Romano e dell’onorevole Pippo Gianni.

Ben rappresentata nella lista di imbucati e imbucatori che avrebbero dichiarato il falso, Forza Italia con gli ex europarlamentari Salvo Fleres, Pino Firrarello, Salvatore Iacolino e un altro ex eurodeputato, Antonello Antinori.

Presente anche il governo con la sottosegretaria in quota del partito di Alfano, Simona Vicari, insieme ad una pletora di burocrati regionali e ministeriali e di personaggi variegati dell’universo cuffariano.

Ma non poteva mancare lui, Mirello Crisafulli, il più trasversale degli ex comunisti che molti definiscono il più democristiano dei democristiani, da sempre interlocutore di Cuffaro nel convogliare finanziamenti nel suo territorio, che si porta dietro il suo fedelissimo Cataldo Salerno, già presidente del provincia e dell’università Kore di Enna, recentemente dimessosi senza motivazioni, dopo l’incredibile vicenda dell’istituzione della facoltà di medicina, in collaborazione con un ateneo rumeno, dichiarata illegale dal ministro Giannini e abusiva dalla procura che ha sequestrato i locali è iscritto nel registro degli indagati il cosiddetto barone rosso.

Al di là della gravità impressionante del fatto che tante personalità delle istituzioni che, sostiene la procura di Roma, dichiaravano ordinariamente il falso nei registri del carcere di Rebibbia, la qualità e l’influenza dei personaggi non lascia pensare solo a visite di affettuosa cortesia.

D’altra parte, Cuffaro non ha negato di rimanere disponibile a dare una mano per un grosso e importante progetto politico come il rifacimento della Democrazia Cristiana.

Si potrebbe sostenere che alle prove tecniche di un eventuale progetto politico, benedetto anche da Cuffaro, si poteva dare inizio con il controllo, di fatto, del tormentato governo siciliano di Crocetta, visto che Cuffaro si è anche vantato pubblicamente di avere amici ovunque, anche tra i vicinissimi al governatore.

Quel che certo è che la melassa di personaggi di provenienza democristiana e partitini satellite – poi raccattata da Forza Italia – si è visibilmente rafforzata, dentro e intorno, al fortino del governo, assediato, oltre che dai problemi gravissimi dell’isola, dall’irresponsabile insipienza del governatore, dal disfacimento del Pd siciliano e dagli interessi compositi di tanti personaggi in cerca di autore che annusano la possibilità di recupero di un “vecchio-nuovo” sistema di potere di cui sono parte relativamente silente.

Corsi e ricorsi storici che possono reinsediare uno dei possibili laboratori politici siciliani al quale tradizionalmente guarda l’Italia e dal quale oggi può passare sperimentalmente anche una nuova ipotesi di governo regionale dopo il chiaro e oggettivo fallimento di un’opzione di governo – quella di Crocetta – che doveva rappresentare una rottura di tipo etico-politica in una regione importante come la Sicilia.

Ricordiamo, in proposito, che non per caso torna in campo Miccichè per ricomporre i tanti frammenti di Forza Italia siciliana, da anni dilaniata da una devastante faida interna, che ha un bisogno famelico di potere.

Da tutti questi elementi si desume che, probabilmente non è arrivato il tempo della pensione per Totò Cuffaro che, in modo cauto e defilato, tra una gita in Burundi ed un soggiorno nella sua tenuta agricola di Piazza Armerina, da irriducibile cronico della politica qual è, potrà trovare spazio e amici per inseguire la chimera – forse non più ripetibile, ma sicuramente perseguibile – del ricreare quel particolarissimo mondo di democristiani siciliani tenuti ben in conto da tutti i leader nazionali della balena bianca, con attenta e preoccupata considerazione.

Probabilmente, il clima è propizio per i restauratori di una sorta di ancien regime siciliano, storicamente imitato nei suoi aspetti più deleteri, anche a livello nazionale.

Il clima siciliano propizio per l’operazione sembra ricreato e già tanta, troppa gente, guardando alla politica regionale, afferma “era meglio quando era peggio” e Cuffaro e i suoi amici non sono personaggi da non annusare una tale opportunità politica.

Certo, una visione politica più ampia e lungimirante consegna il ragionevole dubbio che questo lavorio politico in una condizione finanziaria – nazionale e internazionale – profondamente mutata somiglia molto all’inseguire delle chimere. Ma questo non preoccupa più di tanto la razza politica alla quale appartiene Cuffaro che sa bene che anche mentre il mondo cambia si può e si deve gestire il gestibile.

D’altra parte la prospettiva – a medio e lungo termine – di una terra e delle sue nuove generazioni non è stata mai nelle preoccupazioni dei notabili – vecchi e nuovi – della politica siciliana, eredi del mai tramontato sicilianismo rapace.

Diversamente la Sicilia, con le sue risorse e le sue potenzialità sociali, sarebbe in ben altre condizioni socio-economiche.

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