giovedì, Aprile 25, 2024
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“La ripresa è vicina”

«E’ grave questa crisi, non credo che ne usciremo facilmente».
«Sei sempre pessimista. E’ un momen­to duro, ma ci risolleveremo, risorgere­mo, come sempre.».
«Sei tu che pecchi di ottimismo. Que­sta volta è differente. Non passa giorno che non chiudano attività, proprio oggi ha chiuso il forno davanti al teatro. Erano tre generazioni che non si spegneva mai, giorno e notte, estate e inverno, ma oggi si sono fermati e hanno chiuso, per sem­pre.».

«Mi dispiace. Proprio stamattina sono capitato lì davanti e, vedendoli fermi, ho pensato che avessero chiuso per lutto, o per altra ragione, ma solo temporanea­mente. Ma perché? Perché hanno cessato l’attività?».
«E me lo chiedi? Non girano soldi per la crisi, e i debiti. Poi la settimana scorsa è passato l’esattore per riscuotere le im­poste arretrate, ed è stato il colpo di gra­zia.».
«E ora cosa faranno?».
«Non saprei. Sentivo dire che hanno dei lontani parenti, che pare abbiano fat­to fortuna. Andranno da loro…».
«Che la Fortuna li accompagni. Ma non è certo il primo forno che cessa di vivere…».
«No, certamente, ma ogni giorno sem­pre più campi vengono abbandonati, in­colti, e vecchie e gloriose officine smet­tono per sempre.».
«Lo so bene, i giovani mal tollerano il duro lavoro e preferiscono muovere ver­so le città, ricercando fortuna e ricchez­za.».
«Sei cieco se pensi questo, se pensi che sia solo fuggire dalla fatica. Che senso ha spezzarsi la schiena se poi i nostri merca­ti sono invasi da ciò che viene da lontano ad un prezzo che sovente è la metà, se non meno, dei nostri?».
«Non posso negarlo, è arduo per i no­stri artigiani o i nostri contadini far fron­te a ciò che viene prodotto da migliaia di servi e schiavi che devono accontentarsi di un tozzo di pane e di uno spicchio d’aglio.».
«E’ come dici, e i ricchi, di conseguen­za, diventano sempre più ricchi. Trasfe­riscono ricchezze al di là del mare, con esse comprano regioni intere e opifici, e uomini e donne che, anche se non servi, sono grati di lavorare sino a notte per quel pane che faccia sopravvivere loro e i loro figli. Con quelle ricchezze che lì accumulano, i ricchi qui tornano, e com­prano per un nulla quelle terre che i no­stri contadini abbandonano. E i poveri, quindi, sono sempre più poveri, privati dei campi e delle botteghe, si rifugiano nelle città dove sperano di sopravvivere raccogliendo le briciole che cadono dalle mense dei ricchi. Tutto ciò si accompa­gna alla corruzione di coloro che dovreb­bero servire lo stato e alla degenerazione dei costumi: si narra che i ricchi o i loro figli organizzino festini spendendo dena­ri che basterebbero a sfamare intere fa­miglie per un anno. Come stupirsi che proliferino superstizioni di ogni sorta e che, da ogni angolo, sorgano fanatici di religione e invasati?».

«Dipingi un quadro ben fosco, Gneo Sertorio, ma ammetto che non sia tutto d’invenzione. Altre volte, però, abbiamo attraversato momenti bui. I Patres ci rac­contano dei Galli, di Annibale, delle guerre civili, delle proscrizioni. Eppure sempre ci siamo risollevati, e ogni volta siamo ritornati più potenti di prima. Ac­cadrà lo stesso anche stavolta, vedrai, il nostro sistema è forte, non potrà mai ca­dere, la ripresa è ormai vicina.»

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