Il viaggio e la meta
Se dovessimo spiegare a una giornalista tedesca in visita a Catania che cosa sono stati I Siciliani racconteremmo di una città in guerra contro la mafia e contro uno Stato all’epoca sornione e spesso colluso. Racconteremmo di un intellettuale del Sud che si chiamava Pippo Fava e scelse di partire dai giovani (“i giovani sono liberi”) per spiazzare il nemico in questa lotta per la democrazia vissuta in una città di frontiera che poteva essere Catania o Casal di Principe, Latina o Milano, Genova o Prato.
Se dovessimo spiegare perché siamo ancora qui e perché abbiamo scelto di continuare a fare un giornale diretto ancora (per noi) da Pippo Fava oggi racconteremmo di una “guerra” che si è estesa da Catania a Berlino, dalla Nigeria a Torino, ma che non se n’è mai andata dello Zen di Palermo, né da Librino a Catania.
Non sappiamo ancora dire – non abbiamo ancora le parole giuste – che cosa sia diventata oggi quella mafia che, come diceva il nostro direttore, “investe nelle banche ed è persino nei palazzi delle istituzioni”.
“Chi vi paga?” ci chiederebbe alla fine la brillante giornalista tedesca. Come trent’anni fa, non ci sono editori che sentano propria questa battaglia. Come allora fa siamo tutti un po’ assorti nelle nostre personali o locali battaglie antimafia (sempre migliori di quelle portate avanti dal vicino…). Però è la nostra storia e il direttore l’aveva capito: non solo la qualità, non solo il coraggio delle nostre firme di punta che hanno fatto inchieste negli anni, non solo l’intuizione di guardare al web già quindici anni fa. Ma un sano e lucido passaggio di testimone.
Il senso è nel viaggio e non nella meta: eppure, noi dei Siciliani Giovani, redazione diffusa e talvolta confusa, quella meta che Fava indicava non la vediamo più così lontana. E scegliamo di andare avanti.
I boss e i loro fiancheggiatori in giacca e cravatta il nostro sorriso, dalle manifestazioni in strada alle aule dei tribunali, non se lo aspettano. Ed è la nostra arma migliore.