giovedì, Aprile 25, 2024
-mensile-Economia

Gli “oggetti intelligenti” made in Bitcoin

Ibm userà la tecnologia della blockchain Bit­coin per il suo futuristi­co “Internet of Things”

“Ogni tecnologia sufficientemente avanzata

è indistinguibile dalla magia” (Clarke, 1958)

 Combinando la tecnologia della blockchain Bitcoin con BitTorrent e un protocollo di messaggistica chiamato Telehash si ottiene un’infrastruttura distribuita che alcuni ricercatori Ibm pensano sia ideale per il loro progetto “Internet of things”. 

Il sistema proposto da Ibm si chiama Adept e utilizzerà tre diverse tecnologie per risolvere sia questioni tecniche che economiche per “l’internet delle cose”. Verrà rilasciato con licenza open-source.

In un lungo podcast su Gigaom, Paul Brody – vice presidente di Ibm e a capo del dipartimento per “mobile e Internet of Things” nel nord america – dice che “il progetto blockchain a cui Ibm sta lavorando con Samsung porta le due compagnie a guardare in profondità su come questa tecnologia può funzionare nel mondo reale”.

Nell’intervista di pochi giorni fa a CoinDesk rivela che l’obiettivo è di avere un prototipo hardware funzionante già l’anno prossimo.

Riconoscere tutti i dispositivi 

“Il mio smartwatch – spiega Brody- ha un “contratto di transazione” con la mia porta per sbloccarla. La transazione viene rilanciata nella blockchain così che tutti i dispositivi, che io possiedo, nella mia blockchain, mi riconoscono e permettono al mio orologio di aprire ogni porta”.

Quindi Ibm, una delle cinque principali aziende tecnologiche al mondo, e Samsung, la più grande compagnia tecnologica, stanno lavorando a un prodotto in tempo per il prossimo Consumer Electronic Show di gennaio.

Brody aggiunge che è possibile che centinaia di miliardi di dispositivi possano un giorno essere collegati in una singola blockchain o una rete di blockchain, comunicanti fra loro mediante operazioni automatizzate. Lui immagina una ecosistema di entrambi i generi, sia centralizzati che decentralizzati (secondo le esigenze di sicurezza), in ultima analisi spingendo un sistema automatizzato intelligente ad alti livelli mai visti prima. 

Il cloud non ha più senso

Ma di che tratta quest’internet delle cose? E perchè la blockchain è più efficace delle altre soluzioni?

Il primo motivo è di natura economica. Per Ibm, un “internet delle cose” come pletora di dispositivi che parlano attraverso il cloud non ha molto senso.

Ci sono troppi costi fissi operando su piattaforma cloud, specialmente per dispositivi che durano un decennio o più nelle case delle persone. Costruire un sistema su cloud per supportare la lavastoviglie, quando è evidente che non ci siano molti dispositivi che hanno bisogno di comunicare con la lavastoviglie.

Paul Brody è scettico sul modello “vendere i dati delle persone” come sistema per sostere i ricavi di questi servizi per diversi anni, così sta cercando di costruire una piattaforma che mantiene l’intelli- genza a livello del dispositivo (eforse un hub su questa premessa) e che possa operare senza la costante attenzione e sopravvivenza del servizio da parte del produttore. 

Modelli non invasivi 

Il secondo motivo per utilizzare la tecnologia della blockchain Bitcoin, secondo Ibm, consiste in alcune idee su come “questa architettura potrebbe cambiare i modelli di business per l’internet delle cose”. Brody è convinto che la vendita di dati non raggiungerà mai livelli significativi, soprattutto perchè i sensori saranno così a buon mercato. Se una società decide di volere i dati, non è terribilmente difficile mettere un sensore nel mercato e costruire un programma in modo che i consumatori vorranno usarlo per condividere i loro dati.

(Tra gli esempi, un sensore da inserire nel manico di una racchetta da tennis che Sony sta sviluppando, al costo previsto di 200 dollari; oppure i servizi di salute e fitness di Google e Apple: Android Fit or HealthKit)

Ma con questa architettura e l’uso della blockchain, è possibile creare nuovi di modelli di business per condividere in ogni situazione non solo dati. I dispositivi potrebbero arrivare a con­dividere potenza computazionale, o lar­ghezza di banda, o ancora energia elettrica tramite le istruzio­ni impartite via block­chain.

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