martedì, Dicembre 10, 2024
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La gestione dei rifiuti in Sicilia è appaltata a ditte private che puntano al profitto e non alla qualità del servizio, privilegiando la discarica come principale forma di smaltimento

Il piano di smaltimento rifiuti siciliano voluto nel 2003, da Totò Cuffaro – allora presidente della Regione – prevedeva l’alienazione della gestione rifiuti dai consigli comunali per conferirla agli Ambiti territoriali ottimali (Ato): ventisette in tutta la Sicilia. Lo scopo era che la gestione fosse pianificata non più Comune per Comune ma da un’unica struttura centrale, che ne raggruppasse un numero ragionevole, ottimizzando le risorse, i beni ed i mezzi al fine di ottenere una gestione economica, efficiente e trasparente dei rifiuti senza un aggravio dei costi per i cittadini.

Ma è andata diversamente. La disastrosa gestione dei ventisette Ato siciliani ha lasciato una pesante eredità: un miliardo di debiti, non sono stati raggiunti gli obiettivi minimi di raccolta differenziata previsti dal decreto Ronchi e poi dal Piano regionale, sono aumentati a dismisura i costi del servizio e le fatture a carico degli utenti. La Sicilia oggi detiene il non invidiabile record per la spesa media annua, per la produzione di rifiuti e per lo smaltimento indifferenziato in discarica.

Uno studio realizzato dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva ha rivelato infatti che per ogni famiglia siciliana la spesa media annua del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani è di 294 euro, +7,3 per cento rispetto al 2007, di ben 48 euro superiore alla media nazionale (246). Caltanissetta (+40%), Trapani (+34,6%) e Ragusa (+31,8%). Siracusa (407€), Catania (396€) e Agrigento (338€) figurano tra le dieci città italiane dove il servizio costa di più.

Secondo invece quanto riportato nel Rapporto Ispra 2012, le discariche siciliane hanno smaltito nel 2010, 2.439.000 di tonnellate, ovvero il 93 per cento dei rifiuti urbani prodotti.

Sconfortanti anche i dati sulla raccolta differenziata: 245.531,71 tonnellate pari al 9,4%. Cifre che confermano l’ormai cronico ritardo maturato nel corso degli anni.

Considerato che l’indicatore presuntivo del prezzo regionale medio dello smaltimento dei rifiuti urbani in discarica, riportato nell’ultimo piano rifiuti (luglio 2012), oscilla tra un minimo di 61,60 e un massimo 92,40 euro a tonnellata (a cui vanno però aggiunti IVA, tributi speciali, maggiorazioni per la mancata raccolta differenziata), se ne deduce che smaltire in discarica, oltre ad avere un costo rilevante in termini di inquinamento comporta quindi anche un elevato costo economico.

E allora, ci si chiede, perché si continua a perseguire questa strada, nonostante le continue bocciature dell’Unione europea che con la direttiva 2008/98/CE ci impone di gestire i rifiuti secondo una precisa gerarchizzazione delle opzioni che vede solo all’ultimo posto lo smaltimento in discarica e l’incenerimento?

La risposta è semplice, dietro ci sono forti interessi economici di chi, spesso in situazione di monopolio, gestisce le discariche, il cui business per i prossimi dieci anni potrebbe superare il miliardo e mezzo di euro. Una torta che verrebbe spartita per un quarto dal pubblico e per i restanti tre quarti da gruppi privati o misti pubblico-privati che tra i loro azionisti contano società che effettuano in appalto dai comuni o dagli Ato il servizio di igiene urbana.

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