giovedì, Ottobre 3, 2024
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Bonifichi chi può e inquini chi vuole

Gli ultimi tre governi hanno fatto una serie di decreti accusati da­gli ambientalisti di ren­dere più complicato bonificare. E favorire chi ha inquinato o in­quina ancora

L’Italia è disseminata di migliaia e mi­gliaia di luoghi inquinati, contaminati in decenni dalle attività più disparate, dalla grande industria pesante a discariche or­mai non più in esercizio. La Terra dei fuo­chi, la mega discarica della Val Pescara (sulle cui vicende è in corso un processo e un altro presto potrebbe avviarsi) o di Mi­corosa (44 ettari di rifiuti tossici all’aperto sul mare), in provincia di Brindisi e recen­temente finita nel mirino della locale pro­cura dopo di alcuni cittadini e di due co­mitati ambientalisti, moltissimi ex siti in­dustriali, l’elenco è vastissimo. 57 di que­sti siti, i più pericolosi per l’ambiente e la salute umana, i più contaminati dai veleni più disparati, erano considerati SIN, Siti d’Interesse Nazionale, sottoposti diretta­mente alla responsabilità del Ministero dell’Ambiente.

Declassati diciotto siti

Nel 2013 un decreto del Governo Monti ne diminuì il numero a 39. Tra i siti “de­classati”, e quindi non considerati più priorità nazionale, c’erano persino la “Terra dei Fuochi”, “La Maddalena” in Sardegna e la “Valle del Sacco”. Fu pro­mossa dalla Regione Lazio, dal Comune di Ceccano e, ad adiuvandium, dalla “Rete per la Tutela della Valle del Sacco onlus”, un ricorso contro quest’ultimo de­classamento. Nelle scorse settimane il Tar del Lazio ha accolto il ricorso affermando che “il ragionamento del Ministero, ad av­viso di questo Collegio, è erroneo in radi­ce” e che “La norma applicata sembra anzi ampliare (piuttosto che restringere) le fattispecie dei territori potenzialmente rientranti nell’ambito dei siti di interesse nazionale”.

I decreti dei vari governi

I movimenti per l’acqua pubblica e con­tro il biocidio e il Coordinamento Nazio­nale di Associazioni, Movimenti e Comi­tati che si mobilitano per i siti contaminati hanno chiesto al Ministero di cancellare quel declassamento e di rivedere total­mente la strategia ministeriale. Una strate­gia che, negli ultimi anni, appare sempre più orientata secondo gli ambientalisti a “mettere la polvere inquinata sotto il tap­peto”, a rendere sempre più complicata la possibilità di avere delle reali e totali bo­nifiche e di favorire chi ha inquinato o continua ancora ad inquinare. Perché quel decreto non è stato l’unico ad andare nella stessa direzione. Una direzione verso la quale i governi di “larghe intese” (o di “piccole”, tornando all’attualità…) hanno voluto procedere con vari decreti.

Il “de­creto del Fare” del governo Letta (così come precedentemente il “Decreto Sem­plificazione” del governo Monti) ave­va previsto che le bonifiche potessero es­sere realizzate “se economicamente possi­bili”.

Il decreto “Destinazione Italia” (e siamo al Governo Renzi) prevedeva quasi un condono, con finanziamenti pubblici per le bonifiche (che dovrebbero, invece, es­sere a carico di chi ha inquinato).

“Inquinatore Protetto”

L’ultimo tentativo, mentre l’articolo viene redatto in discussione in Parlamen­to, è di queste settimane: il decreto 91, le cui proposte ambientali sono state definite dal ministro Galletti “Ambiente Protetto” e ribattezzato dai movimenti ambientalisti (che hanno lanciato una mobilitazione per chiedere di modificarlo radicalmente “In­quinatore Protetto” per quanto prevede.

La prima proposta che colpisce è quella di modificare i limiti per l’inquinamento dei suoli delle aree militari di 100 volte equiparandoli alle zone industriali. Un “vero e proprio vergognoso colpo di spu­gna sullo stato di contaminazione delle aree militari del paese” in poligoni, campi di addestramento, e persino nelle caserme, per i movimenti ambientalisti. Eppure, ri­cordano ancora, “spesso appaiono come ampie zone verdi coperte da macchia me­diterranea e boschi! Si pensi a Capo teula­da e Quirra (Perdasdefogu) in Sardegna oppure a Monte Romano in Lazio (vasto 5000 ettari!)”.

Sono mesi che un’ampio dibattito in molte zone d’Italia si sta animando sulla possibile vendita a Comuni e Regioni per una riconversione civile delle caserme in disuso.

Il decreto 91 di fatto renderà quasi im­possibile qualsiasi riconversione e in­durrà gli Enti Locali interessati a non acquistarl­e più: nel momento in cui dovesse­ro farlo per decidere di puntare sulla loro ricon­versione civile, le aree e gli immobili non saranno più equiparati a zone indu­striali e i limiti di inquinamento si ri-abbassereb­bero di 100 volte. Imponendo così al Co­mune o alla Regione che acqui­sta ogni co­sto di bonifica. Come chiedono i movi­menti ambientalisti, chi lo farebbe consi­derando che, mantenendo l’area mi­litare, si rispetterebbe la legge senza do­ver spen­dere un euro?

Gli scarichi a mare

Per gli scarichi a mare (vera e propria calvario per moltissime località balneari…) “le Autorizzazioni integrate ambientali rilasciate per l’esercizio posso­no prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione” interessando anche accia­ierie, centrali elettriche e a carbone, ce­mentifici, raffinerie, stabilimenti chimici, rigassificatori e inceneritori spessissimo al centro delle proteste ambientaliste in varie parti d’Italia.

Si realizzerebbe così il para­dosso che maggiore sarà la produzione e più si potrà inquinare.

La proposta del Ministro dell’Ambiente Galletti prevede anche una drastica modi­fica dell’iter delle bonifiche di aree priva­te, con quello che appare un netto favore agli inquinatori che dovranno in futuro pagare i costi della bonifica dell’inquina­mento prodotto (anche se, leggendo il de­creto, viene il dubbio che non sarà più così ).

Il silenzio-assenso sperimentale

Fino al 2017 ci sarà una sorta di silen­zio-assenso sperimentale: il privato auto­certicherà i dati dell’inquinamento e della bonifica necessaria e, solo dopo aver ef­fettuato la bonifica, dovrà inviare i risulta­ti all’Agenzia Regionale per l’Ambiente che avrà 45 giorni per le sue verifiche de­corsi i quali, in mancanza di risposte, l’intervento del privato s’intenderà appro­vato.

Come le cronache ci raccontano, spesso ci vogliono anni e anni per aver un quadro certo dell’inquinamento prodotto in una determinata area. Come potranno le Agen­zie Regionali ricostruire la situazione in 45 giorni?

Il decreto, tra l’altro, non prevede alcun criterio minimo sulla caratterizzazione (la fase preliminare della bonifica nella quale si cercano le sostanze inquinanti), al con­trario dell’attuale normativa, lasciando to­tale libertà al privato mentre, invece, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente avrà due notevoli limiti: effettuerà la verifica solo sul 10% dei campioni e solo sui para­metri scelti dal privato.

Solo sul 10 per cento dei camioni

Dati gli altissimi costi dei piani di caratterizzazione e delle bonifiche e il rischio di richieste di risar­cimento per danni sanitari (che d’ora in avanti potrebbero avvenire solo sui dati forniti dall’inquinatore, e quindi, da chi sarà accusato di averli causati) il rischio è di dare avvio ad una lunghissima stagione di piani minimali e di bonifiche che av­verranno solo sulla carta.

Persino il Sole24Ore ha duramente criti­cato il decreto di Renzi e Galletti.

Il 18 lu­glio sul sito del quotidiano di Confindu­stria è stato pubblicato un artico­lo nel quale si definisce il comma 4 dell’articolo 15 del decreto che prevede (per la prima volta nella normativa italia­na!) la possibi­lità di Via (Valutazione d’Impatto Am­bientale) “postume” (ovve­ro dopo l’auto­rizzazione e costruzione di impianti) “ab gubernatoris”, affermando che tale nuova norma favorirebbe il presi­dente della Re­gione Marche (che, a quan­to si riporta nell’articolo del So­le24Ore, sarebbe indagato dalla Procura di Ancona per le autorizzazioni rilasciate a molteplici impianti a biogas).

Chi paga l’inquinamento dei privati?

Tirando le somme di tutta questa vicen­da, e del decreto attualmente in discussio­ne (ma sono parole che potrebbero valere anche per i precedenti decreti e per la di­rezione che in generale i governi Monti, Letta e Renzi hanno cercato di intrapren­dere in materia), il Forum per l’Acqua Pubblica, i comitati di Lazio e Abruzzo Stop Biocidio e il Coordinamento Nazio­nale Siti Contaminati denunciano “la soli­ta scorciatoia all’italiana, perché il nostro sistema produttivo non vuole pagare quel che dovrebbe per risanare le aree che ha inquinato”.

Secondo queste associazioni, chi ci go­verna vorreb­be donare la possibilità di “chiudere la stagione dei veleni privatiz­zando le opera­zioni per risparmiare. Ma è solo un colpo di spugna vergognoso: alza­re i limiti di contaminazione non vuol dire risolvere i problemi ma solo nascondere polvere sot­to il tappeto”.

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