giovedì, Aprile 18, 2024
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Bari tra poesia, musica, tradizioni e falsi insegnamenti

La città di Bari, a differenza di altre città come Roma, Napoli e Milano non è famosa per aver sfornato grandi cantautori.

Tutto ciò, nonostante Bari sia un centro ricco di tradizioni – sicuramente non centenarie come quelle napoletane o romane –, di costumi e di folklore. Pochi sanno, invece, che esiste una grande cultura e diffusione riguardo la poesia, soprattutto in vernacolo.

 

Grandi parolieri hanno vissuto nella città di Bari. Ad esempio: Domenico Dell’Era, Mario Piergiovanni, Vito De Fano, Pasquale Sorrenti e Vito Carofiglio. Era gente colta che conosceva il dialetto antico – quello originale e non volgare! A Vito Signorile, grande attore e interprete della cultura popolare barese, va riconosciuto l’impegno ed il merito per aver diffuso le loro poesie, recitandole con pregevoli interpretazioni, e alcuni vecchi stornelli baresi. Come lui, ce ne sono stati tanti altri, degno di nota è il grande Vito Maurogiovanni. É anche questo il ruolo dell’attore, del comico e del drammaturgo. Purtroppo, diversi comici a Bari, e non solo, puntano sulla volgarità e su squallidi doppi sensi, trasmettendo insegnamenti negativi alle nuove generazioni, infischiandosene della reale importanza degli usi e dei costumi del popolo barese, sempre più contaminato da maleducazione e bassezza culturale.

Lo stesso può dirsi per la musica. Per un giovane cantautore non è facile potersi esprimere in un Paese pieno di ipocrisia, di intrallazzi e di conformismo ideologico. Per avere un minimo di visibilità bisogna obbligatoriamente adeguarsi a quelli che sono i canoni musicali, d’abbigliamento e di pensiero che le mode richiedono. Se quarant’anni fa le ragazzine di quindici anni si strappavano i capelli per Claudio Baglioni e Renato Zero, oggi si disperano ascoltando Justin Bieber e Benji e Fede. È certamente una questione di ricambio generazionale, ma sono convinto che, nella maggior parte dei giovani adolescenti, non si riesce a distinguere un buon prodotto musicale – quindi un lavoro che presenta un background culturale e musicale di notevole rilievo – con un testo scontato, accompagnato da un po’ di musica realizzata al cinquanta per cento su una piattaforma digitale. Questi cantanti sono un affronto al grande lavoro vocale che, ad esempio, faceva Demetrio Stratos – grande cantante de I Ribelli e degli Area – o sugli arrangiamenti musicali che realizzavano importanti complessi progressive italiani come la Premiata Forneria Marconi, Il Banco del Mutuo Soccorso o Le Orme.

Inoltre, la musica ha un ruolo educativo fondamentale nella crescita di un giovane. Sarebbe grandioso se la canzone dialettale rispecchiasse realmente la sua tradizione linguistica. L’effetto contrario si ha nell’ascoltare rapper e cantanti neomelodici come Il Nano, Toki, Bari Jungle Brothers, Tommy Parisi, e tanti altri, che falsamente raccontano il sociale, la criminalità, la vita di strada come forma di denuncia. In realtà, dai loro testi, emerge non una ribellione ed una proposta di cambiamento, ma un racconto quasi pittoresco della malavita – il tutto accompagnato da videoclip accattivanti – che esortano i giovani, e gli ingenui che ascoltano, all’emulazione per il mito del guappo dialettale, con la pistola nei pantaloni, i piercing, i tatuaggi e la sigaretta in bocca. Non è di certo lo stesso stile con cui venivano descritti i guappi da Alexandre Dumas o i mafiosi da Mario Puzo, o tantomeno i napoletani smargiassi decantati da Carosone. Sono semplici bulletti, scippatori ripuliti al grado di picciotti.

La musica, in questi casi, sortisce insegnamenti opposti alla trasmissione di valori come l’amore, la cultura, la legalità e il “rispetto”, quello vero però, non il paradosso degli “uomini d’onore”.

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