lunedì, Aprile 29, 2024
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Co.co.co.me campo?

I lavoratori a contratto rischiano di perdere il loro impiego a causa del Coronavirus.

“Sono una lavoratrice co.co.co e ogni primo del mese rappresenta per me l’inizio di una nuova sfida” dice Nadia, operatrice telefonica di un call center in Sicilia. Chi ha un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, infatti, non ha certezze sul suo futuro. Lavora in autonomia, perché non è un impiegato, ma si ritrova comunque alle strette dipendenze dell’azienda che, mese dopo mese, decide se confermare o troncare la collaborazione coi co.co.co.

“Prima non era così, la firma del nuovo contratto avveniva ogni sei o tre mesi. Non era tanto tempo, ma almeno per un po’ andavo al lavoro con una certa tranquillità, sparita col rinnovo mensile. Ma questa è solo una delle tante modifiche.” spiega Nadia. “Quando ho cominciato, il lavoro nei call center era davvero redditizio. Il talking time, cioè il parlato, poteva essere raddoppiato, triplicato o addirittura quadruplicato in base al numero di contratti attivati. Più ne facevi, più il tuo stipendio aumentava. Ma non è durato molto.” – continua l’operatrice – “Si è presto passati al fisso orario. L’azienda ti riconosceva una retribuzione minima variabile per ogni ora di lavoro svolta, a prescindere dal tuo rendimento. Tuttavia, la bassa produttività non portava guadagni al call center e il rischio del licenziamento a fine mese era altissimo. Ma non era solo colpa del lavoratore: le poche attivazioni potevano dipendere magari dalle liste da chiamare, delle volte non delle migliori, o dalle promozioni del periodo non convenienti. Ora si è passati nuovamente al talking time, ma con delle modifiche. Un’ora di parlato attuale corrisponde a due ore di lavoro. I sessanta minuti si raggiungono, infatti, solo quando tu effettivamente stai parlando. Se ci sono tempi morti, come le segreterie telefoniche, o i sistemi si bloccano, non vieni pagato. In quattro ore di lavoro, in realtà ho solo guadagnato per due.”

Chi ha un contratto co.co.co, oggigiorno, è sottopagato: “Per guadagnare abbastanza, devo andare ogni giorno in azienda per almeno otto ore al giorno, senza permettermi di ammalarmi. Se ho la febbre, ad esempio, io non vengo pagata.” racconta Nadia. “È una lotta continua, fatta di ansia e stress. Ansia perché quotidianamente devo raggiungere un tot di ore giornaliere, se voglio garantirmi uno stipendio dignitoso, stress perché se a fine giornata non raggiungi il tuo obiettivo, una volta arrivata a casa stai male, rimuginandoci tutta la notte.”

E a causa dell’emergenza coronavirus, la situazione non è che peggiorata: “Da circa due settimane non lavoro. Stiamo aspettando nuove disposizioni dall’azienda. Con l’una tantum di marzo, prevista per i co.co.co, ho avuto diritto ai seicento euro, anche se ancora non ho potuto nemmeno fare la domanda a causa del blocco del sito dell’INPS” – prosegue Nadia – “ma se il call center decide di non rinnovarmi il contratto per il mese di aprile, io resto senza lavoro e senza soldi.”

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