sabato, Aprile 27, 2024
Scienza

Neutrini: ottant’anni di ricerche

Parte I/ Dall’ipotesi di Pauli (1930) alla pri­ma rivelazione (Cowan e Reines, 1956) 

Nel mare Jonio, al largo di Portopalo, si sta procedendo alla costruzione di un gigantesco sistema di rilevamento di neutrini che, una volta completato, sarà probabilmente il più grande del mondo. Esistono in varie parti del mondo sistemi di rilevamento dei neutrini e nei prossimi anni ne saranno costruiti altri.

Per illustrare un’attività che si svolge anche in Sicilia e coinvolge ricercatori, università e istituzioni di ricerca siciliane (e non solo), conto di pubblicare su que­sta rivista una serie di servizi su alcune di queste ricerche, inquadrandole nel loro svolgimento storico a livello internazio­nale.

Il neutrino è una particella elementare, denotata col simbolo ν; le sue principali proprietà note oggi sono riportate nella al­legata Scheda sulle proprietà dei neu­trini. Alla conoscenza di queste proprietà si è pervenuti nell’arco di poco più di ot­tant’anni, trascorsi da quando l’esistenza di questa particella fu ipotizzata da Wol­gang Pauli fino ad oggi.

L’antineutrino fu rivelato per la prima volta nel 1956 da Clyde Cowan e Fred Reines, quando ancora il neutrino non era stato rivelato. A quel tempo non era chiaro neppure agli stessi Cowan e Rei­nes che la particella che essi avevano poco prima os­servato era l’antineutrino, di cui si ignora­va l’esistenza, e non il neutrino.

L’ipotesi del neutrino era stata fatta da Pauli per spiegare uno “strano” fatto, di cui dirò tra poco, che si manifestava nel decadimento β, decadimento che fu osser­vato per la prima volta da Ernest Ruther­ford nel 1899.

In questo tipo di decadimento, che in al­cuni nuclei è indotto mediante il bombar­damento fatto con opportuni fasci di cor­puscoli e in altri si verifica spontanea­mente, furono osservate delle parti­celle che Ru­therford chiamò “beta” e che, come si vide in seguito, si poteva­no identificare con gli elettroni che erano già noti ed era­no già stati osservati qual­che decennio pri­ma (la parola “electron” per designare quelle par­ticelle cariche che in Italiano si chiamano “elettroni fu proposta da George Francis Fitzgerald nel 1871).

A partire dal 1926 Enrico Fermi con i suoi collaboratori all’Università di Roma iniziò uno studio sistematico della fisica del nucleo. Questa scelta lo portò tra l’altro a studiare il decadimento β.

In occasione del congresso Solvay che ebbe luogo a Bruxelles nel 1933 e al qua­le parteciparono alcuni dei maggiori fisi­ci del tempo, tra i quali quelli che riguar­dano la presente esposizione furono Fer­mi, i co­niugi Frédéric e Irène Jo­liot-Curie (chimi­ci oltre che fisici), Pauli, Rudolf Peierls e Rutherford, si parlò an­che di decadimento β; dai risultati speri­mentali appariva che l’energia totale nella maggior parte degli eventi osservati non era conservata, perché il suo valore prima del decadimento risul­tava maggio­re del suo valore dopo il deca­dimento.

Questo fatto aveva indotto Pauli a for­mulare fin dal 1930 l’ipotesi che nel deca­dimento β una particella non osserva­ta fosse presente nello stato finale e avesse l’energia che sembrava si fosse “perduta”. Seguendo una proposta fatta da Fermi al congresso Solvay del 1933 questa ipoteti­ca particella fu chiamata “neutrino”.

Successivamente si vide che, se il neu­trino esisteva, allora la sua energia dove­va essere compresa tra zero e un certo valore massimo, perché il valore dell’energia del­lo stato finale, nei vari eventi rilevati, non era costante ma risul­tava compreso tra due certi valori che di­pendevano dal decadi­mento considera­to.

All’inizio l’unico argomento in favore della ipotesi del neutrino era che essa evi­tava la violazione di alcuni principi di conservazione (oltre a quello dell’energia ce n’erano altri ad essere violati), principi che, ad eccezione del decadimento β, era­no in accordo con tut­te le osservazioni sperimentali fatte da alcuni secoli, (io ag­giungo che questo accordo qualche volta era stato ottenuto “inventando” delle op­portune forme di energia, per es. l’ energia potenziale nella meccanica dei sistemi conservativi e l’energia interna in termodi­namica). Per questa ragione fino ai primi anni ’30 del secolo scorso alcuni fisici ri­tenevano che l’ipotesi del neutrino non fosse fon­data su una base solida.

Dopo il congresso Fermi, assunta l’ipo­tesi del neutrino, ne dedusse varie conse­guenze che espose in un articolo in­titolato “Tentativo di una teoria dei raggi beta” che inviò alla rivista Nature; ma il diretto­re della rivista non volle pubblica­re l’arti­colo, perché le ragioni per ipotiz­zare l’esi­stenza del neutrino non gli par­vero suffi­cienti. Allora Fermi inviò l’arti­colo alla ri­vista Il Nuovo Cimento, che lo pubblicò (Il Nuovo Cimento, II, 1934, p. 1-19).

Negli anni seguenti furono osservate va­rie modalità del decadimento β, in al­cuni casi veniva emesso un elettrone, in altri la sua antiparticella, chiamata posi­trone, che era stata osservata per la prima volta da Carl Anderson nel 1932 in altre circostan­ze. Nel decadimento β si osser­vava che cambiava il numero atomico dell’elemento che decadeva, mentre il numero di massa non cambiava, più precisamente quando veniva emesso un elettrone, che ha una carica elettrica di – 1,602 x 10 -19 C, la rimanente parte del sistema che decadeva acquistava una carica positiva di 1,602 x 10 -19 C , e nel decadimento scompariva un neutrone e compariva un protone, mentre quando veniva emesso un positrone, che ha una carica elettrica di 1,602 x10 -19 C la rimanente parte del sistema che decadeva acquistava una carica elettrica negativa di – 1,602 x10 -19 C, e nel nucleo che decade va scompariva un protone e compariva un neutrone; quindi nel decadimento β la carica elettrica risultò essere una grandezza conservata e ciò comportava che la carica elettrica del neutrino, se esso esiste, deve essere nulla. Lo spettro dell’energia osservata dell’elettrone o del positrone emessi era in buon accordo con la teoria di Fermi.

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