venerdì, Aprile 26, 2024
Come fosse oggi

21-22 settembre 1864, Torino: la prima strage di Stato

Stavolta torniano indietro nel tempo, molto indietro, al 1864. Il 22 settembre di quell’anno si raggiunge l’acme di ciò che era iniziato il giorno prima. Quella che avviene a Torino è considerata la prima strage di Stato e si consuma quando si diffonde la notizia che la capitale verrà spostata a Firenze. E allora chi guarda con stupore all’Italia – un’Italia che si sta facendo dimentica, agli occhi di chi guarda, del contributo offerto durante la stagione risorgimentare – e dissente dalla decisione del governo Minghetti decide di rendere esplicito il proprio disaccordo, radunandosi nelle vie del centro.

Contro quella marea di gente viene schierato l’esercito con effettivi che arrivano anche da lontano e impossibilitati a comprendere i manifestanti, che parlano loro in piemontese. La prima carica avviene il 21 settembre intorno alle 19.30, quando giunge l’ordine di ricorrere pure alle baionette e si registrano i primi feriti. La popolazione allora tenta di spostarsi, puntando verso piazza Castello, i cui accessi sono presidiati dai militari. Vengono esplosi anche i primi colpi d’arma da fuoco la cui traiettoria sembra partire da via Po, dove sono schierati gli allievi carabinieri. E il bilancio di quella prima sera è già impressionante: 16 morti e 47 feriti in condizioni preoccupanti.

Mentre nottetempo i corpi delle vittime vengono rimosse e le tipografie del regno sputano i corsivi filogovernativi dei giornali, i manifestanti decidono che il mattino dopo, il 22 settembre, si troveranno in piazza San Carlo. Ecco dunque che riprende il sopravvento la situazione della sera prima, con la gente bersagliata dai proiettili dei militari che, schierati su diversi lati, finiscono col colpire sempre le stesse persone da più angolazioni. Nuovo bilancio: 23 vittime in strada, altre 15 che non sopravvivono alle prime cure e i feriti superano quota cento.

Ancora oggi, nel corso delle celebrazioni in memoria di quei fatti od osservando i segni mai cancellati delle pallottole sui muri, rimane lo stesso sbigottimento. Per uno Stato e per una monarchia che volevano porsi come riformiste, innovatrici ed emissarie di un futuro più tollerante non c’è giustificazione al dispiego di una violenza tanto estesa e tanto sanguinosa. Quella che si sarebbe ripetuta di nuovo in seguito, anche quando la casa reale non sarebbe più stata presente sulla scena politica italiana e il Paese si fosse trasformato in una repubblica.

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