lunedì, Ottobre 14, 2024
Come fosse oggi

21 settembre 1990: Rosario Livatino, da “valoroso magistrato” a “giudice ragazzino”

Il 21 settembre 1990 Rosario Livatino non aveva compiuto ancora 38 anni. Il suo compleanno sarebbe stato di lì a qualche giorno, il 3 ottobre, e chissà se aveva intuito che la sua fine era così prossima quando il giorno in cui fu ucciso si mise al volante della sua auto. Aveva imboccato la strada statale 640 di Porto Empedocle, una via a scorrimento veloce che, dopo la fine della A19, collega Caltanissetta ad Agrigento, la città in cui Livatino lavorava dal 1979, prima come sostituto procuratore e da un anno a quella parte come giudicante.

Ad assassinarlo fu un commando della stidda, una realtà mafiosa che opera in Sicilia, soprattutto a ridosso della Valle dei Templi, e che intrattiene cattivi rapporti con cosa nostra fin dalla sua origine, quando fu creata da un manipolo di uomini d’onore che erano stati espulsi dalla mafia. Sta di fatto, però, che il commando stiddaro, quando agì, non sembrava parlare solo per sé, ma anche per gli odiati cugini della piovra perché il giudice Rosario Livatino si era dimostrato uno inflessibile tanto con gli uni quanto con gli altri.

Ma non c’era solo questo sul curriculum del giovane magistrato. C’erano state anche le sue inchieste come pubblico ministero. Inchieste che avevano messo mano nell’economia criminale, negli appalti, e si erano concentrate sui patrimoni dei mafiosi che erano stato confiscati ogni volta che era stato possibile. E quando Livatino fu ammazzato, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga gli aveva reso merito chiamandolo “valoroso servitore dello stato”. Poi, però, era saltato fuori che nelle vicende in cui il magistrato aveva guardato c’era la presenza di logge massoniche. E allora il più bizzoso degli inquilini del Quirinale si era scatenato, gettando alle ortiche la memoria del giovane giudice. Lo apostrofò infatti post mortem Cossiga con queste parole:

Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno […]? Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza. A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta».

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