martedì, Dicembre 10, 2024
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Extinction Rebellion: ribellarsi all’estinzione, resistere alla repressione

Fridays for future non è l’unico movimento di resistenza alla crisi climatica in atto: da una nuova generazione di ecoattivisti ha preso vita “Extinction Rebellion” (XR), una rete di attivisti che sta dimostrando un potere di mobilitazione e di coinvolgimento diretto analogo a quello messo in campo Greenpeace ai suoi esordi. XR ha aggregato anche in Italia persone che hanno pagato con esplusioni, fogli di via e persecuzioni giudiziarie le loro iniziative di azione diretta nonviolenta per scuotere la coscienza delle istituzioni e svegliare dal suo torpore una classe politica capace di produrre soltanto inazione e repressione. Per entrare nello spirito e nella proposta di questo movimento abbiamo raggiunto Roberto Gammeri, attivista torinese di Extinction Rebellion.

Carlo Gubitosa: Che cos’è Extinction Rebellion, come e dove nasce questo movimento, e che cosa vi caratterizza rispetto ad altri movimenti ambientalisti come Fridays For Future o le varie declinazioni politiche dei Verdi europei? Quali sono le esperienze di attivismo da cui provengono i partecipanti al vostro movimento?

Roberto Gammeri: Extinction Rebellion è un movimento climatico internazionale di disobbedienza civile nonviolenta nato a Londra nel 2018, con l’obiettivo di esercitare pressione politica e sociale sui governi, affinché vengano prese rapidamente le misure necessarie a mitigare gli effetti del collasso ecoclimatico. Ad oggi, XR esiste in tantissimi paesi del mondo, compreso qui in Italia, in cui sono presenti decine di gruppi in diverse città italiane.

Le basi della struttura, della strategia e della narrazione di Extinction Rebellion si radicano nella stessa storia dei movimenti di resistenza civile, sia italiani che internazionali. XR ha recepito le tattiche e gli approcci che hanno aiutato diversi movimenti del passato a esplodere o a ottenere un cambiamento politico. È quindi un movimento che si propone di infrangere strategicamente la legge, in modo radicalmente nonviolento e senza mai opporre resistenza attiva, con l’obiettivo di forzare uno spostamento dell’attenzione pubblica e politica sulla “crisi più grande crisi dell’umanità”, così come definita dall’OMS.

Rispetto a Fridays For Future Extinction Rebellion si differenzia sia per le tattiche utilizzate che per un fattore anagrafico. Se Fridays For Future nasce infatti all’interno delle scuole e continua ad essere costituito principalmente da studenti, XR è un movimento completamente transgenerazionale. Nei gruppi inglesi, francesi e tedeschi (meno in Italia) è costituito per lo più da persone adulte, spesso pensionati, disposti a mettere a rischio la loro libertà personale in nome di una causa cosi tanto importante.

Rispetto alle varie declinazioni politiche dei Verdi Extinction Rebellion non è un partito e non punta minimamente a esserlo. XR è e rimarrà un movimento che pratica disobbedienza civile con il chiaro obiettivo di mobilitare la popolazione e fare pressione sui decisori politici affinché delle misure vengano prese.

CG: Puoi riassumere la vicenda dei fogli di via consegnati agli attivisti del vostro movimento dopo una azione di protesta su un balcone della regione Piemonte? Qual è la situazione attuale delle persone coinvolte?

Il 25 luglio, due attiviste di Extinction Rebellion, si sono arrampicate con una scala sul balcone del presidente della Regione Piemonte, a Torino, per appendere uno striscione con scritto “Benvenuti nella crisi climatica. Siccità: è solo l’inizio”. Si sono poi incatenate alla ringhiera e una quarantina di altre persone, tra attivisti e curiosi, sono poi arrivati nella piazza sottostante. Arrivavamo da 6 mesi di siccità devastante e da continue azioni di protesta nei confronti del governo regionale. Il livello del Po era ai minimi storici. Avevano iniziato a chiudere le centrali elettriche, il crollo dei raccolti agricoli aveva iniziato a provocare milioni di euro di danni all’agricoltura italiana.

Quella mattina, le forze dell’ordine hanno messo sotto sequestro lo striscione, la cassa, il microfono, 21 persone sono state denunciate, di cui anche 15 espulse da Torino per un periodo di tempo da 1 a 3 anni. A parte Delfina e Vic, che erano incatenate sul balcone della regione, tutte le altre persone denunciate ed espulse pagano il semplice fatto di trovarsi in Piazza Castello, la piazza principale di Torino. Qualcuno di loro faceva foto, altri distribuivano volantini, qualcuno si era solo fermato a guardare.

Ciò nonostante, 21 persone sono state denunciate per Invasione di terreni o edifici (Art. 633 e 639 bis c.p.) e per Manifestazione non preavvisata (Art. 18 TULPS). A quindici di queste persone è stato anche notificato un foglio di via obbligatorio, una misura preventiva che ti costringe a lasciare la città entro 24 ore e a recarti forzatamente nel tuo luogo di residenza per un periodo determinato di tempo. In linea teorica, non potrebbe essere notificato se hai un legame diretto con la città. Nella pratica, però, è il questore della città che decide. Sette delle persone che hanno ricevuto un foglio di via, infatti, avevano un lavoro, un affitto o studiavano in città. Alcuni hanno perso il lavoro perché hanno dovuto lasciare Torino da un giorno all’altro. Grazie al lavoro del nostro team legale, comunque, alle persone che avevano legami con la città, il foglio di via è stato revocato dopo qualche settimana, proprio perché illegittimo. Adesso abbiamo depositato altri ricorsi al TAR, per far revocare i fogli di via a coloro che non avevano un legame diretto dimostrabile con Torino. Nel frattempo, ci sono anche le 21 denunce, tutte ancora attive. Ma siamo fiduciosi: sono denunce pretestuose ed è possibile che vengano archiviate. Se non sarà cosi, siamo pronti ad affrontare tutte le conseguenze.

CG: Il vostro movimento ha partecipato in qualche modo alle azioni dimostrative nei luoghi d’arte di queste ultime settimane? Qual è l’obiettivo e il messaggio di queste azioni, e che valutazione avete dato a posteriori sull’impatto di questo tipo di iniziative?

RG: Le azioni dimostrative che abbiamo visto dentro i musei nelle ultime settimane sono state portate avanti da altri movimenti climatici, come Just Stop Oil nel Regno Unito e Ultima Generazione qui in Italia, che hanno un passato in comune con Extinction Rebellion, ma che adesso fanno parte tutti della stessa rete internazionale, chiamata A22. Sebbene ci siano spesso occasioni di convergenza tra i diversi movimenti climatici europei, Extinction Rebellion non ha fatto sua la campagna di azioni dentro i musei degli ultimi mesi, semplicemente perché ne sta portando avanti altre. Ritengo fondamentale che esista una pluralità di tattiche e strategie portate avanti da movimenti diversi, che sappiano coesistere e si rinforzino mutamente, affinché la pressione sui nostri governi continui ad aumentare. Perché il tempo per agire è davvero finito. E mi sembra che questo sia il messaggio chiave delle proteste nei musei: fermiamoci. Stiamo viaggiamo come sonnambuli verso il precipizio e una zuppa di pomodori fa eco tra l’indignazione collettiva, come una sveglia assordante al mattino presto. che ci fa sobbalzare dal letto. Com’è possibile che di fronte a questa corsa verso quello che il segretario generale dell’ONU ha definito un “suicidio collettivo” ci indigniamo per un vetro da pulire e non contro i governi che ci hanno abbandonato?

CG: In base alla vostra esperienza e al confronto con gli attivisti di Extinction Rebellion di altri paesi europei, pensate che ci sia una differenza tra l’Italia e altri paesi d’Europa riguardo alla repressione del dissenso e alla reazione istituzionale contro le azioni dirette per sollevare l’attenzione sulla crisi climatica?

RG: Mi sento di dire che ci sono differenze sostanziali tra l’Italia e altri paesi europei, su diversi livelli. Sicuramente la gestione della piazza è differente. Quando entri in azione con XR, vieni formato a non opporre mai alcuna resistenza, né fisica né verbale, nel momento in cui la polizia prova a spostarti dal luogo in cui stai svolgendo l’azione. Se guardiamo i video di Londra, ad esempio, è rarissimo vedere scene di persone trascinate malamente sull’asfalto per un piede o una mano dalla polizia. È quasi la regola qui in Italia, invece.

Un altro esempio è Francia. La polizia è arrivata più volte ad usare spray al peperoncino a pochi centimetri dal viso di manifestanti seduti a terra durante blocchi stradali. Credo che la disobbedienza civile abbia sempre bisogno di un’analisi del contesto a cui deve necessariamente seguire una fase di adattamento: sia per una questione di sicurezza che per una questione di efficacia. È diverso anche il modo in cui vengono gestite le conseguenze legali. Nei paesi anglofoni, ovvero dove nasce Extinction Rebellion, le questure seguono per lo più procedure ben definite. Questo ti permette di entrare in azione prevedendo con molta accuratezza i tuoi rischi. In Italia, mi sembra tutto più arbitrario. Puoi uscire di casa la mattina per andare a fare in piazza delle foto e ti trovi una denuncia per aver invaso un palazzo istituzionale e una per non aver preavvisato la manifestazione. Come è successo a me. È tutto a discrezione del questore o comunque della questura delle città. Vi è infine a mio parere una differenza sostanziale nella risposta cittadina alle azioni dirette. Extinction Rebellion oggi esiste in centinaia paesi in tutto il mondo, ma non ha avuto ovunque lo stesso effetto.

In Inghilterra, in Francia, in Germania, ad esempio, c’è stata una grossa risposta cittadina, con numerose persone adulte disposte a praticare disobbedienza civile. In Italia, invece, mi sembra ci sia una grossa diffidenza e una difficoltà, forse motivazionale, a praticare e utilizzare strategicamente queste forme di proteste.

CG: Quali sono a vostro avviso le iniziative più urgenti che dovrebbe mettere in campo la classe politica per fronteggiare in modo adeguato la crisi climatica?

RG: Extinction Rebellion, per scelta strategica, porta avanti tre richieste molto ampie, ma ben definite, nei confronti dei governi di tutto il mondo: informazione capillare, azione radicale e democrazia partecipativa. Cerco di spiegarle in qualche parola, ma lascerò più avanti i riferimenti per approfondire. Con informazione capillare (scandita dallo slogan “Dire la verità”) faccio riferimento alla richiesta di informare, con ogni mezzo a disposizione, la popolazione italiana riguardo i rischi che dovremmo affrontare. Con azione radicale (“Agire ora”), invece, mi riferisco alla richiesta di stipulare degli impegni politici vincolanti che si pongano come obiettivo principale l’azzeramento delle emissioni, e l’arresto della perdita di biodiversità e della distruzione di ecosistemi il più rapidamente possibile. Con democrazia partecipativa, infine, faccio riferimento alla richiesta di istituire nuove forme di democrazia partecipativa, in particolare attraverso le storiche Assemblee di Cittadini deliberative, perché tutte le comunità delle società civile dovranno essere rappresentante in questo processo di transizione. Se cosi non sarà, rischiamo di aumentare drasticamente il conflitto sociale che sarà già causato da povertà e guerre. Come avrete intuito, tuttavia, si tratta di richieste di governance politica, non di “soluzioni energetiche”. Extinction Rebellion crede fortemente che le soluzioni vadano individuate ascoltando con rispetto la comunità scientifica, per poi decidere – insieme alla società civile – quale sia il modo per riuscire affrontare quello che ci aspetta.

CG: Pensate che la differenza di approccio alle questioni ambientali sia soltanto una questione di informazione e sensibilizzazione, oppure pensate che ci sia un problema culturale e generazionale da affrontare?

RG: Stiamo parlando di un problema di una complessità spaventosa, che riguarda ogni aspetto delle nostre vite e gli ultimi 100 anni della nostra storia. Ci sono diverse cause che hanno fatto si che si arrivasse ad uno scontro di visioni su una cosa che è scientificamente chiara. C’è sicuramente un problema di informazione alla base. Fino a un paio di anni fa avrei risposto a questa domanda dicendo che l’informazione ambientale, in Italia, è praticamente inesistente. In quasi tutti i giornali italiani, le questioni ambientali sono state infatti per anni relegate in trafiletti a fondo pagina. Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio di Pavia e Greenpeace, meno dell’1% delle informazioni dei TG italiani tratta di crisi climatica. Oggi mi sento di dire che alcune cose stanno cambiando: la questione climatica è infatti diventata un campo di battaglia politico, dove si scontrano visioni diametralmente opposte, e questo ha fatto sì che diventasse argomento di dominio pubblico. Il risultato è che adesso se ne parla molto di più, la crisi climatica è entrata nel talk show, ma se ne parla malissimo. Non è così facile, infatti, trovare un articolo di giornale o un servizio televisivo che spieghi esplicitamente quali siano davvero le cause, le responsabilità e le interconnessioni di questa crisi con tutti gli aspetti delle nostre vite.

La maggior parte dei giornali italiani riceve migliaia di euro di finanziamenti da aziende del fossile. Questo comporta, come ha segnalato Greenpeace, un “ampio spazio offerto dai giornali alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche“. I principali giornali italiani, inoltre, sono tutti proprietà di Gedi, agenzia mediatica della famiglia Agnelli. Quindi si, c’è sicuramente un problema di informazione. Vi è però anche un problema generazionale. Quella che vediamo nelle strade è la prima generazione che ha veramente studiato le cause di questa crisi, quella che sta iniziando a viverne i suoi effetti e l’ultima che potrà fare qualcosa per limitarne i suoi danni. Le previsioni scientifiche sui prossimi vent’anni sono drastiche e la classe dirigente mondiale è immobile: come possiamo, quindi, aspettarci che un ragazzo di oggi non sia pieno di rabbia? È una rabbia che ha una sua logica storica, e si scontra con le idee e i modelli di un’altra generazione (quella precedente) cresciuta sulla falsa propaganda della crescita infinita che ha caratterizzato tutto lo scorso secolo (che in parte è ancora presente) e che adesso occupa ogni spazio decisionale di questo paese.

CG: Come avete valutato il cambio di governo, e che tipo di sostegno (o di opposizione) vi aspettate dalla sfera parlamentare e istituzionale?

I programmi presentati in campagna elettorale, in particolare quelli dei partiti che hanno poi composto questo governo, sono stati valutati da un gruppo di ricercatori ed esperti super partes dell’Italian Climate Network come “totalmente insufficienti”. Mi sento di dire che non credo siano davvero necessarie ulteriori valutazioni sul cambio di governo e su ciò che bisogna aspettarsi, ci ha già pensato la comunità scientifica. Penso che un movimento come Extinciton Rebellion, in questo momento storico, sia fondamentale, nonostante lo spettro di nuovi decreti legge che potrebbero indebolire il diritto di protesta in questo paese, anche quella nonviolenta. Trovo sia fondamentale per due ragioni: da un lato per amplificare la voce di tutti i ricercatori, professori ed esperti che provano a lanciare l’allarme da decenni e vengono continuamente ignorati in sede politica, dall’altro per creare la pressione sociale necessaria nei confronti di tutte le istituzioni politiche, dal livello comunale a quello nazionale.

CG: Quali sono le iniziative che avete in cantiere per i mesi a venire?

A Torino, nelle prossime settimane inizierà una nuova campagna di disobbedienza civile nei confronti governo regionale. Dopo la campagna dello scorso anno, il gruppo è cresciuto molto e adesso c’è tanta voglia di ricominciare. Anche altre città si stanno muovendo: a Bologna è stato organizzato un weekend di ribellione la prossima settimana, a Milano sta nascendo una campagna di azioni sulla RAI e molte altre città si stanno riorganizzando in vista dell’inizio del nuovo anno. In generale, in Italia, ci stiamo avviando verso una nuova ridefinizione strategica del modo in cui vorremmo confluire a Roma, nel 2023, per una nuova ribellione nazionale.

CG: Dove si può leggere qualcosa per approfondire e studiare le vostre proposte?

Il miglior modo per approfondire Extinction Rebellion è proprio il posto in cui Extinction Rebellion esiste: in azione. Per tutte le informazioni specifiche sul movimento italiano, sulle richieste e sulla strategia, è consigliabile fare affidamento al sito internet www.extinctionrebellion.it e alle pagine social dei gruppi locali delle diverse città dello stivale. Ma ciò che consiglio di più è fare delle ricerche personali: navigare sul web e guardare video e articoli su ciò che XR ha fatto e sta facendo in tante altre città europee.

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