sabato, Aprile 20, 2024
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Un presidio per la verità

Il prefetto di Catania deve esercitare i suoi doveri istituzionali ma ad oggi nulla.

Presidio del coordinamento Catania libera dalle mafie in occasione della visita del Ministro dell’interno Angelino Alfano

Quando il 14 gennaio il Consiglio comunale di Catania si riunì a difesa dei consiglieri comunali e del presidente della sesta municipalità, che secondo la commissione regionale antimafia sono vicini, per parentela o amicizia, ad alcuni clan mafiosi catanesi, una parte della società civile catanese si mobilitò affinché si arrivasse a una verità sulla vicenda. La giunta Bianco e i partiti di maggioranza e dell’opposizione tacquero. Ma anche il Prefetto, la dott.ssa Maria Guia Federico, non fece il suo dovere come indica la legge.

La Commissione parlamentare antimafia intervenne verso il prefetto di Catania con un’indicazione ben precisa: nominare due commissari che dovrebbero indagare su questi personaggi, verificare se ci siano le condizioni di sciogliere per infiltrazione mafiosa la sesta municipalità e constatare se i consiglieri siano vicini a Cosa nostra catanese.

Ecco perché ieri, a due mesi esatti dal quel vergognoso consiglio comunale, il coordinamento Catania libera dalle mafie ha organizzato un presidio in occasione della visita, presso la facoltà di scienze politiche, del Ministro dell’interno Angelino Alfano. Lo scopo di questo presidio è stato far conoscere in quali condizioni versa la nostra città e come la giunta Bianco la governa.

Il presidio sottolinea l’importanza di vivere in una città senza alcun sospetto di infiltrazioni mafiose, sia dal punto di vista della morale ed etica politica che della trasparenza e agibilità democratica.

Dopo una contrattazione con la dirigente della Digos, i rappresentanti del coordinamento Catania libera dalle mafie ha consegnato un documento rivolto alle istituzioni cittadine e al ministro, dove si chiede di richiamare il sig. Prefetto al suo dovere super partes, senza nessuna pressione politica che venga da partiti o istituzioni governative. Ed è notizia dell’ultima ora l’audizione del ministro Alfano con la Commissione parlamentare antimafia per i casi dei comuni di Sant’Oreste, Sacrofano e Morlupo. Sarà discusso anche il caso Catania a seguito dell’interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole Claudio Fava all’attenzione del Ministro.

Di seguito, potete leggere il documento consegnato all’addetto stampa del ministro, dal coordinamento “Catania libera dalle mafie”.

Al Ministro dell’Interno, Al Prefetto di Catania,
All’Ufficio di Presidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie,
All’Ufficio di Presidenza del Consiglio Comunale di Catania,
Al Sindaco di Catania
e p. c. All’Ufficio di Presidenza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC)


OGGETTO: Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia. Richiesta chiarimenti e incontro.
Il 29 dicembre la Commissione parlamentare d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia dell’Ars approvava la relazione sul: “Il Comune di Catania e la presenza di amministratori con rapporti di parentela con soggetti condannati per mafia”.
L’inchiesta della commissione è nata da una lettera con la quale si segnalava la presenza, nel Consiglio comunale di Catania, di alcuni consiglieri, eletti alle elezioni del 9 e 10 giugno 2013, che avrebbero avuto rapporti di parentela diretta con soggetti destinatari di provvedimenti giudiziari per il reato di associazione mafiosa ai sensi dell’art. 416 bis c.p. ovvero che avrebbero intrattenuto, interlocuzioni a fini politici con soggetti appartenenti o contigui alle organizzazioni criminali operanti nel capoluogo etneo.
Nella relazione si evidenziavano stretti rapporti di parentela, tra alcuni consiglieri comunali e di circoscrizione, e persone note agli organi di polizia come facenti parte di organizzazioni mafiose. Inoltre per altri consiglieri esistono forti sospetti di vicinanza alle cosche e si è invitata la Commissione Nazionale Antimafia ad approfondire: Pur tuttavia, sempre con riferimento all’accertamento della c.d. responsabilità politica, che è la competenza propria della “inchiesta politica” secondo le linee interpretative già richiamate, questo Organismo ritiene che la Commissione Nazionale Antimafia, con i poteri costituzionali che le sono propri, potrà ulteriormente approfondire eventuali profili di responsabilità.
C’è poi da valutare la posizione di altri consiglieri chiamati in causa da alcuni collaboratori di Giustizia.
In totale la commissione esamina la posizione di otto consiglieri comunali o circoscrizionali. La commissione nelle conclusioni evidenzia: “Al termine dell’istruttoria, la Commissione può affermare che l’esposto ad essa inviato, come da principio era apparso, può dirsi in larga parte sostenuto dagli elementi acquisiti nel corso dell’indagine. Nel caso di tre degli amministratori l’ipotesi formulata nella segnalazione pervenuta a questo Organismo ha trovato riscontro. Per i due residui, allo stato, la Commissione non può formulare analogo giudizio, pur rilevando che una più penetrante attività investigativa, con i poteri propri della Commissione Nazionale Antimafia, potrà meglio verificare la eventuale sussistenza di profili di responsabilità anche in questi casi. Si è detto, nel paragrafo da ultimo trattato, che la acquisizione documentale, tanto con riferimento agli atti giudiziari che ad articoli di stampa ad essi connessi, ha in più rilevato la presenza di altri trecasi che suscitano ulteriore preoccupazione.”
L’accertamento di responsabilità politica è cosa ben diversa dalla giudiziaria affermazione di colpevolezza in ordine alla violazione di specifiche norme di legge, e ciò in quanto nel caso della “inchiesta parlamentare” si evidenziano solo ed unicamente responsabilità di ordine politico, avuto a parametro non già le fattispecie di reato, ma i canoni dell’etica pubblica. In questo senso ciò che più di ogni altra indicazione preoccupa questo Organismo parlamentare è la variegata presenza nelle istituzioni etnee di soggetti che, pur non avendo violato una norma penale, hanno certamente adottato, quanto alle proprie frequentazioni, pratiche che non dovrebbero mai essere seguite da rappresentanti della pubblica amministrazione. Pur tuttavia, ciò che l’odierna indagine ha disvelato è altresì la debolezza con cui la politica riesce a formare anticorpi rispetto alla possibilità che soggetti di dubbia moralità possano incunearsi nei partiti e, quindi, nelle assemblee rappresentative. Fatta salva la personalità della responsabilità penale, quale principio cardine della nostra costituzione repubblicana, in forza del quale ciascuno risponde delle proprie responsabilità e non di quelle altrui – siano essi genitori, fratelli o amici – non v’è dubbio che resti sullo sfondo un interrogativo: i partiti e (più in generale) la politica hanno mezzi sufficientemente adeguati per impedire l’infiltrazione delle proprie liste attraverso soggetti incensurati, ma vicini alle organizzazioni criminali?
Oggi a distanza di tre mesi dall’approvazione della relazione della commissione e dell’immediato invio della relazione alla Commissione Nazionale Antimafia, al Prefetto di Catania, al Presidente del Consiglio Comunale della città Etnea, all’amministrazione comunale, i cittadini non hanno più notizie di questa grave vicenda che sospende la vita amministrativa della città, inficiando tutti gli atti compiuti e da compiere da parte del consiglio comunale e di alcuni consigli circoscrizionali.
Vicenda che si somma ai fatti, resi noti dagli organi di stampa e dalla sentenza di non luogo a procedere verso Mario Ciancio, secondo i quali l’attuale Sindaco della città ha intrattenuto rapporti con l’imprenditore Mario Ciancio, il cui rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa è oggetto di ricorso in Cassazione su richiesta della Procura di Catania. Rapporti che riguardano la campagna elettorale comunale del 2013 che ha portato all’elezione a Sindaco di Bianco e la variante al Piano Regolatore denominata PUA, ovvero la trasformazione in zona edificabile di 124 ettari di terreno agricolo sulla costa sud della città di Catania. Un progetto quello del PUA avanzato dalla Società “Stella Polare” che mostra ampie superfici di contatto con la criminalità organizzata.
In questi anni, inoltre, s’inseriscono vari casi in cui Sindaco e Assessori sono stati presenti ad iniziative o hanno avviato collaborazioni con personaggi, poi risultati, secondo le ricostruzione delle forze dell’ordine e degli organi inquirenti, vicini alle cosche, che gestivano strutture in seguito poste sotto sequestro.
Per ultimo le vicende relative alla gestione del Porto di Catania, qualche mese fa il crollo della diga foranea (posta sotto sequestro), in questi giorni la vicenda relativa allo spazio della “Vecchia Dogana”, di proprietà dell’Autorità Portuale di Catania, trasformata negli anni da stazione marittima a polo del gusto sino a diventare in questi giorni discoteca non autorizzata gestita da una società di proprietà di un personaggio che secondo le forze dell’ordine è titolare di un’altra discoteca ritenuta dalle forze dell’ordine, sentita un’intercettazione ambientale, collegata al clan Santapaola.
Le associazioni, i cittadini, riuniti nel comitato “Catania Libera dalle mafie” chiedono alle autorità inquirenti, alle autorità ispettive, alle istituzioni politiche, di fare chiarezza, di prendere una chiara posizione sulle vicende che riguardano il degrado etico e morale di Catania e di dare risposte ai cittadini, ognuno secondo le proprie prerogative.
Si chiede un incontro urgente al Prefetto di Catania al fine di poter illustrare e avere chiarimenti circa le infiltrazioni mafiose nelle Istituzioni catanesi.
Si chiede al Prefetto e al Ministro degli Interni di procedere al fine di determinare se le eventuali infiltrazioni mafiose abbiano compromesso la vita democratica delle Istituzioni e abbiano interferito con l’attività amministrativa.
A tal fine si ricorda che il Consiglio di Stato in data 10 dicembre 2015 abbia stabilito che: Le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere però considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso. Assumono pertanto rilievo anche situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una pericolosa contiguità degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (v.,ex plurimis, Cons. St., sez. III, 28.9.2015, n. 4529).
In attesa inviamo distinti saluti Coordinamento “Catania Libera dalle Mafie”

 

 

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