giovedì, Marzo 28, 2024
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Questo paese che si è schianta sulla spiaggia di Lampedusa

 

Mi ritrovo a scrivere queste righe con negli occhi le immagini della mattanza di Lampedusa. Se dobbiamo trovare una sequenza che racconti la fine di un sistema di potere così corruttivo sul piano etico, sociale, culturale e ideologico come quello del berlusconismo è in questa strage del mare che la troviamo. Nell’impietoso montaggio che ci offre la televisione e la rete, nella ripetizione ossessiva della commozione rituale di Alfano, nell’indignazione del Papa, nell’imbarazzo di Napolitano, nelle parole dei soccorritori, in quei corpi galleggianti che ci riportano alla memoria le sequenze aeree di Ustica. Realtà e finzione. Sulla pelle di centinaia di persone in fuga morte a poche bracciate da una delle spiagge più belle del Mediterraneo. Ipocrisia, finzione, fine dei giochi. Un ceto politico che non può tollerare di fare i conti con gli effetti delle proprie azioni e inazioni sulla vita delle persone.

E’ difficile fare un bilancio con il sapore amaro della morte in bocca.

E’ difficile avere pietà per i vivi che hanno creato le condizioni di questi e di chissà quanti altri morti.

Però è necessario provarci. Mettere in fila quello che è stato e quello che è.

Quanti miliardi ci è costata la prova di forza, fallita, di Silvio Berlusconi? Non tanto sul piano della perdita secca in termini finanziari (borse e spread) quanto in contrazione (irreversibile) sul piano delle politiche reali di sviluppo. E ancora. Quanto ci è costata in termini di impoverimento della collettività un ventennio di berlusconismo (che va ben oltre alla figura e alle politiche di Berlusconi ma che si è fatto sistema etico e sociale)? Purtroppo ogni risposta statistica che possiamo dare a queste domande si rivelano riduttive. Il fenomeno è stato talmente tanto invasivo da determinare una trasformazione profonda della società italiana e un suo livellamento verso il basso ancora del tutto da interpretare.

Un trasformazione in peggio e sotto ogni angolazione la si voglia analizzare. Sul piano economico il berlusconismo ha comportato lo smantellamento sistematico del comparto industriale e produttivo, spostando il baricentro economico del paese da un sistema economico “reale” a un “virtuale” (strettamente finanziario). E’ stato frutto di una scelta consapevole l’imporre questa mutazione. Una scelta non solo di Berlusconi e degli interessi che rappresenta – basti guardare cosa ha fatto o non è riuscito a fare il centro sinistra in questi 20 anni quando ne ha avuto opportunità-, ma una scelta di ceto politico e economico purtroppo, ripeto, trasversale. E sul piano sociale la devastazione del sistema ideologico e di potere del berlusconismo è forse stata ancor più profonda.

Basta guardare cosa è avvenuto realmente in questo paese in questi vent’anni. Abbandono sistematico di ogni politica di welfare, svuotamento culturale e formativo del sistema scolastico e universitario, arretramento secco sul piano dell’innovazione tecnologica soprattutto per quanto riguarda il settore strategico della comunicazione. Tagli sulla cultura, tagli sulla formazione dei giovani, tagli sulle politiche di inclusione sociale e sulla creazione di reti economiche e produttive a basso impatto ambientale o energetico, tagli alla difesa del suolo, tagli alla manutenzione di uno dei paesi europei con il più alto livello di rischio sia sismico che idrogeologico, tagli alle reti di assistenza sanitaria (e psichiatrica e sulla disabilità), tagli sull’adeguamento della logistica marittima (un paese di mare che si è scordato il mare. E ancora tagli: sul risparmio e efficienza energetica, sostenibilità e efficienza della rete dei trasporti, razionalizzazione dei sistemi di raccolta e di gestione dei rifiuti, bonifiche delle aree industriali dismesse, banda larga, manutenzione e razionalizzazione del territorio.

E in alternativa? Fiumi di denaro spesi, permettetemi il francesismo, a “cazzo di cane”. E sto parlando non degli sprechi legati direttamente alla cultura del malaffare che è diventata dominante in questo paese di furbi suicidi. Parlo di soldi pubblici gettati in opere di “fondamentale importanza”. F35 – in tutto il mondo si indaga sui soldi spesi dalla Lockheed per “favorire” le commesse ma da noi no-, Tav, Ponte sullo stretto (quanti soldi sono stati spesi dagli anni ’70 fino ad oggi? Riusciremo mai a saperlo?), mega inceneritori andati a saturazione (e in tilt) nel giro di poche settimane (Acerra), esproprio di territori “manu militari” per far fronte a emergenze vere o presunte come la Tav, L’Expo di Milano, la grandeur della Roma Capitale (compresi i fallimenti dei progetti della F1 che hanno cancellato uno dei pochi luoghi di sport pubblici e gratuiti), discariche “provvisorie”, Muos con tanto di cessione della propria sovranità nazionale.

Non serve parlare della nipotina di Mubarak e dei festini a Arcore, non serve parlare neanche delle amicizie particolari del caimano – amicizie che si sono trasformate anche in contratti? – con Putin o in Kazakistan. Non serve perché basta sentire le recenti intercettazioni telefoniche del Presidente (Pd) della regione Umbria Maria Rita Lorenzetti per constatare quanto il berloscunismo riguardi tutti. Tutti, perfino i finti rivoluzionari ciarlieri del M5S che ben si guardano dall’analizzare quali siano gli interessi privati di Gianroberto Casaleggio, quali i partner, quali le aree di lobbying, quali i metodi di manipolazione delle informazioni.

E’ questa Italia qui che si schianta sulla spiaggia di Lampedusa. L’Italia del berlusconismo diretto e indiretto. L’Italia dell’abbandono della cultura e della politica come valore collettivo. L’Italia dei Berlusconi e dei Marchionne, della dinastia Letta e dei sempre più furbi e incompresi D’Alema e vari imitatori toscani, di Mediobanca e di Mediocredito centrale, di Finmeccanica e di Gianni Alemanno e De Gennaro, di Mario Monti e di Sergio Romano, dei Bocconiani e di quelli con il master a Yale, l’italia dell’Aspen institute e del Grande Oriente, di Prodi e Tremonti, di Santoro e Sallusti, Travaglio e Marina Berlusconi, Di Gori e Saviano. L’Italia dei furbi, dei miracolati nel talent show dei salotti borghesi e ovattati che si sono aperti – con tanto di inchini – ai parvenue famelici della nuova cultura nata fra le tette dell’infermiere di Drive In e il ballonzolare del Gabibbo. Quanti ne ho dimenticati? Un esercito di facce e parole che affollano di “nulla” la memoria di questi vent’anni.

Rimane solo un paese allo stremo e quel mare pieno di morti.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

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