sabato, Aprile 27, 2024
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L’Italia che non si squaglia

Firenze, con Libera, il primo giorno di primavera. Dovevate esserci per capire le ragioni vere della forza delle mafie.

“Mio padre era maresciallo dei carabinieri. Venne ucciso in piazza mentre il suo superiore prendeva il caffè con il boss e per non restare coinvolto nella sparatoria tirò giù la serranda del bar.

Quando l’Arma, dopo un’indagine interna, punì il superiore con un trasferimento, il consiglio comunale gli manifestò invece ufficialmente la sua gratitudine”.

“Cercavo protezione per mia figlia contro quei delinquenti. Chiesi al maresciallo di potergli parlare. Mi diede appuntamento di notte in una piazzola della superstrada ma non venne. Poi mi fece sapere di stare attenta, era meglio lasciar perdere, quei tipi erano pericolosi”.

“Dopo le intimidazioni e gli attentati con cui cercavano di fermare la mia azione di sindaco, chiesi al prefetto più attenzione per quel che stava accadendo. Lui mi disse che davanti al mio portone non sarebbe stato acceso nemmeno un cerino. Un cerino no, ma la bomba che uccise mio padre sì”. Massimiliano e Maria Rosaria persero il padre Domenico Noviello, imprenditore con la schiena diritta, grazie a un oculista di Pavia che dichiarò la cecità del killer di camorra facendolo uscire dal carcere.

Tracimano di queste viltà i racconti che si inseguono il venerdì pomeriggio. La zona grigia, la vigliaccheria, la corruzione, la paura. La vera montagna che fa la differenza nella lotta contro la mafia.

Sono una comunità sempre più grande, i familiari. Perché i poteri criminali uccidono tutti gli anni. Perché c’è sempre chi decide di venire per la prima volta, come Cristina, la figlia di Bruno Caccia, il procuratore capo di Torino ucciso nell’83, appunto trent’anni fa. Perché c’è sempre qualcuno che prova a portare qui la sua domanda di giustizia dopo essersi viste sbattere in faccia tutte le porte del mondo. Centinaia di storie, un’infinità di umiliazioni come medaglie, che si fanno pezzo insanguinato ma dignitoso e indomito della più vasta storia d’Italia.

Nomi e cognomi che intessuti insieme danno l’idea di uno Stato in cui credere, di una società che non si piega al denaro e alla convenienza.

Recitati insieme, tra le strade e i monumenti del più grande Rinascimento della cultura occidentale. Le bandiere lilla, gialle e arancioni galleggiano sul fiume immenso di giovani. Si è raccolta un’umanità speciale: Bettina Caponnetto, la vedova novantenne del grande giudice fiorentino, che sul palco sembra una regina, Cesare Prandelli che applaude con umiltà l’elenco delle vittime, figli che fissano muti negli occhi i padri o le madri al suono del “loro” nome, gli amministratori coraggiosi riuniti in “Avviso Pubblico”, quella irripetibile combinazione di lutto e di gioia che scoppia puntuale a questo appuntamento.

Ecco in che cosa credere, questa è materia che non si squaglia. Non percentuali di voto che vanno e vengono, non cariatidi in cerca di potere o rivoluzionari che guardano il proprio ombelico. Ma l’Italia che non si è voltata dall’altra parte.

Sono i suoi valori, riassunti da centinaia di nomi, a dire ciò in cui si può credere, come hanno deciso di fare ieri le centocinquantamila persone arrivate da ogni parte d’Italia, ragazzi partiti in pullman alle quattro di notte, venuti a Firenze non per vedere la città, ma per esserci. Convinti che le bandiere della giustizia, della Costituzione e della lotta alla mafia siano quelle che vale la pena di tener sollevate.

Sono loro che senza volerlo ripetono ai ciechi e agli orbi quel che Neruda rispose in poesia quando gli chiesero perché non parlasse delle nevi e dei vulcani del suo paese natale: “venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere il sangue per le strade”.

Un pensiero su “L’Italia che non si squaglia

  • jb Mirabile-caruso

    Non è pensabile, dottor Dalla Chiesa, – e ancor meno credibile – che il Male possa essere una entità contrapposta al Bene. Una visione di gran lunga più probabile è che il Male sia uno strumento al servizio del Bene, nel senso che la sofferenza che il Male ci arreca serva a noi come forza propulsice per la nostra evoluzione verso sempre più alte dimensioni del Bene.

    E, sulla scia di questa visione, mi compiaccio nel rappresentarmi questa nostra “Italia che non si squaglia” come l’avanguardia di questo Bene che si evolve grazie al Male sofferto.

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