domenica, Aprile 28, 2024
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Il desiderio e il progetto

Mafia e globalizzazione stanno bene insieme

Lo sappiamo ma sarà bene ridirlo: Giuseppe Fava era un grande giornali­sta, acuto ed eterodosso (un peccato mortale in un contesto votato alla reto­rica e al conformismo), un ro­manziere e drammaturgo degno della nobile tradi­zione catanese, un instanca­bile impren­ditore culturale, che sapeva coniugare creatività e capacità organiz­zative.

A trent’anni dal suo assassinio, volendo tracciare un bilancio, possiamo dire che alla fine degli anni ’80 c’è stata una svolta che non è retorico definire epocale. Il crol­lo del socialismo reale ha aperto la strada al capitalismo senza alternativa, egemo­nizzato dal capitale finanziario che ingi­gantisce la ricchezza di pochi ed emargina gran parte della popolazione mondiale.

L’ideologia vincente, il neoli­berismo, si è imposta come pensiero uni­co. Si pensava che si dovessero aprire anni di pacifica convivenza e invece c’è stato un succeder­si di guerre e conflitti tra opposti. La storia non è finita, ma pare si sia imbucata in un tun­nel senza fine. “Un altro mondo è pos­sibile”, abbiamo detto nei Forum sociali, pen­sando al Chiapas e ai bilanci partecipa­tivi, ma finora è solo un desiderio.

In Italia Tangentopoli ha spazzato via il Partito socialista, la Democrazia cristiana si è sciolta, il Partito comunista non ha cambiato solo nome ma ha virato verso il centro, unendosi a ex democristiani e ob­bligandosi a cancellare il peccato original­e (e con Renzi cosa sarà il Pd?).

Al posto dei partiti sono nati clan e tifo­serie personali. A sinistra, falliti i tentativi di rifondazione, c’è un mucchietto di ma­cerie, anche se qualcuno sopravvive sul piano elettorale. Il vuoto di potere è stato riempito da un monopolista delle televisio­ni commerciali che è “sceso in campo” per tutelare i suoi interessi e assi­curarsi l’impunità. C’è riuscito per vent’anni, con milioni di italiani che l’han­no votato per­ché si riconoscono in lui e vorrebbero es­sere come lui. Abbiamo assi­stito all’apo­teosi della volgarità e della barbarie. E non credo che sia finita con la sua defenestra­zione dal Senato.

In un quadro di democrazia bloccata

L’Italia non ha mai brillato per cultura democratica, nonostante la Resistenza e una Costituzione frutto di un patto inter­rotto, nel maggio del 1947, a lavori in cor­so. In un quadro di “democrazia bloccata” i suoi principi fondamentali sono rimasti sulla carta.

E la mafia, le mafie? Cosa nostra, dopo i grandi delitti e le stragi, ha avuto dei col­pi ma il modello mafioso si adatta benissi­mo alla globalizzazione neoliberista, che è cri­minogena per due aspetti fondamentali: l’aggravamento degli squilibri territoriali e dei divari sociali, per cui gli esclusi dal mercato hanno come unica risorsa, o la più conveniente, l’accumulazione illegale, e la finanziarizzazione dell’economia che ren­de sempre più difficile distinguere ca­pitali legali e illegali. Così le mafie proli­ferano al centro e alle periferie.

L’antimafia fa quel che può ma resta un problema di fondo: riusciremo a dare il nostro contributo per progettare “un altro mondo possibile”?

Bisognerebbe coinvol­gere emarginati, disoccupati e precari. Ma per farlo occorre una cultura volta a capi­re il presente e non a scimmiottare il pas­sato.

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