Autunno Siciliano
Si sopravvive a stento. La mafia ride. Nel generale sfascio, però c’è ancora una speranza.
Guardare la Sicilia, in questo autunno turbolento, è come guardare una ferita del Paese.
È la radiografia di una resa collettiva, la prova generale di ciò che l’Italia rischia di diventare: un luogo dove la sopravvivenza sostituisce la dignità.
In Sicilia l’abbandono è diventato metodo. L’acqua non arriva, le strade franano, gli ospedali si svuotano. L’isola è amministrata come un fallimento: si sposta la colpa, si cambia curatore e si vendono le macerie.
Prendiamo la questione idrica. In Sicilia l’agricoltura muore di sete.
A Palermo gli invasi sono scesi da 147 a 16 milioni di metri cubi, a Catania si disperde oltre il 70% dell’acqua, a Messina la rete è una ferita aperta. Ogni perdita è un appalto, ogni emergenza una rendita. Non è siccità: è un crimine politico.
La sanità è diventata una burocrazia del dolore: si muore in lista d’attesa, non in corsia.
Il caso del centro cardiochirurgico pediatrico di Taormina, sacrificato sull’altare degli equilibri di potere, è la prova di una classe dirigente che confonde la vita con il bilancio.
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La mafia, intanto, sorride, aspetta il ponte e fa affari. Ha cambiato sede legale e non spara: fattura. Gestisce consorzi, sanità, rifiuti, edilizia. Ha il vestito buono e paga l’IVA.
L’antimafia è in imbarazzo. Quella vera — sociale, popolare — è in piazza, cerca di parlare ma le parole non arrivano ai prefetti che, da che mondo è mondo, preferiscono gli applausi.
L’altra antimafia invece, quella buona e dei buoni sentimenti, è ridotta a folklore, compita nelle cerimonie e canta la messa della memoria, innocua e simpatica.
E in fondo tutto questo ha una cornice politica perfetta.
Il centrodestra, che con brevi interruzioni governa da vent’anni, ha scavato più che costruito. Da Cuffaro a Schifani, da Lombardo a Fratelli d’Italia, da Galvagno a Sammartino passando per Musumeci, è stata una giostra di prebende, favori e potere. Certo, il consenso. Ma anche l’assenza di un contraltare credibile: una sinistra slavata, persa a cercare alleanze e compromessi con gli autori più spregevoli del teatrino.
Così la cronaca diventa un bollettino di resa culturale. Un ragazzo ucciso in piena movida a Palermo, sparatorie morti e feriti a Catania. La chiamano emergenza ma è oscurità morale. Che alternative vuoi costruire in una terra che fa crollare I tetti delle scuole?
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Eppure, in questo autunno, qualcosa si muove. Le piazze di queste settimane — scese per Gaza, ma in realtà anche per sé — raccontano un desiderio di protagonismo, di giustizia, di voce. È la sfida più inaspettata e importante di questo tempo. Una massa travolgente che ha cercato di rompere il senso di impotenza davanti a un genocidio, che ha reagito e che ha vinto, ci presenta la prospettiva di speranza che avevamo dimenticato.
Bisognerebbe capirne l’altezza morale. Il disastro non è la povertà, ma l’abitudine alla povertà. Non è l’ingiustizia, ma la sua normalizzazione.
Svegliarsi, in questo autunno turbolento, sotto le stelle sfinite, è l’unica speranza contro il letargo della ragione. Senza compromessi.

