domenica, Aprile 28, 2024
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Al congresso del Sap, gli applausi che insultano la memoria

Tutti in piedi ad applaudire. Prima parte qualche timido battimano poi, piano piano, gli altri applausi fino a quando tutta la platea si alza in piedi e l’applauso diventa un’ovazione, una standing ovation, come si dice oggi, che dura cinque minuti. La platea è quella di un centro congressi di Rimini e i destinatari dell’ovazione questa volta non sono dei musicisti, degli uomini o donne dello spettacolo che hanno vinto un importante premio e neanche sono degli scienziati, dei ricercatori e neppure dei politici. No, i destinatari del lungo, troppo lungo, applauso sono tre poliziotti. Diciamolo subito, non sono tre poliziotti buoni, di quelli che hanno compiuto una bella operazione giudiziaria che ha portato all’arresto di un famoso latitante. No, sono tre poliziotti della Questura di Ferrara, condannati in Cassazione, insieme ad un’atra collega, per eccesso colposo in omicidio colposo per la morte di Federico Aldrovandi, un ragazzo diciottenne, massacrato di botte durante un fermo di polizia. La platea acclamante è quella dei lavori congressuali del sindacato autonomo di polizia (SAP).

Apprendo la notizia mentre in treno torno dal lavoro ed ascolto la radio, ma non mi scompongo più di tanto: il SAP è un sindacato non nuovo a queste eclatanti prese di posizione. Rappresenta la parte più retriva e reazionaria della Polizia di Stato. È una sorta di “sindacato giallo”, nato dopo l’approvazione della Legge di riforma del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza del 1981, con l’appoggio di tutta quella parte dell’apparato che negli anni Settanta era contraria all’ormai irreversibile processo di smilitarizzazione e di modernizzazione della Polizia in Italia. La sua principale attività è stata sempre e comunque la difesa corporativa della categoria, mai una proposta di carattere generale, che tenesse conto delle esigenze della società. Fu il sindacato che per anni ha condotto una campagna a difesa dei torturatori dei carcerieri del generale americano James Lee Dozier. Tra i suoi simpatizzanti, qualche anno più tardi, troviamo persino uno dei poliziotti componenti della cosiddetta “banda della uno bianca”. Durante e dopo i famigerati fatti di Genova del 2001, fu il sindacato che più si schierò a favore dei poliziotti violenti. Il SAP, del resto, è il sindacato che più di tutti ha tra la sua base una rappresentanza che fa riferimento alle espressioni più reazionarie della destra politica italiana. Da un’organizzazione sindacale così – penso – che cosa ti puoi aspettare? Poi dò uno sguardo allo schermo di Facebook e trovo la notizia riportata dal Fattoquotidiano.it e, senza pensarci su troppo e abbastanza indignato, la commento così: “Ho condiviso (nel senso che ho diffuso su Fb) questo link solo per dire, dai miei trentaquattro anni di servizio nella Polizia di Stato, al servizio delle Istituzioni Democratiche e dei cittadini, che applaudire per cinque minuti i tre delinquenti condannati per aver usato violenza contro un ragazzo inerme, è un fatto indegno di un paese civile e di un apparato dello Stato. Quelli del SAP sono stati sempre reazionari e tali rimarranno. Capo della polizia intervenga, fermi questa banda di squadristi”. Si è trattato di un pensiero, digitato quasi d’impeto, che ha riscosso un migliaio di “mi piace” ed oltre un centinaio di commenti, tutti molto belli che sarebbe interessante qui riportare, se ragioni di spazio non me lo impedissero. Commenti che sono ancora lì a dimostrare che in Italia c’è una società civile che vuole, che pretende una polizia più rispettosa delle regole e della vita dei cittadini. Troppi sono i casi di violenze contro le persone che, per una ragione o per un’altra, sono finite nella custodia degli apparati di Polizia. Troppi sono i morti tra le mani di quelli che li dovevano proteggere. Violenze che un Paese che si vuole democratico non si può permettere.

L’imbarazzo al lungo e vergognoso applauso ai tre condannati è stato di molti, anche degli altri sindacati di polizia, che per adesso sono ancora troppo timidi sulla questione. La paura di perdere iscritti, soprattutto in un periodo di crisi economica come questo, è alta. Per fortuna ora c’è un Presidente del Consiglio, un Ministro dell’Interno, un Capo della Polizia, dei Presidenti di Camera e Senato che non attendono e chiamano la signora Patrizia Moretti, la madre di Aldrovandi, che la ricevono nei loro uffici, che oltre ad esprimerle solidarietà la rassicurano, e con lei noi, che prenderanno provvedimenti, che si impegneranno per cambiare le regole, affinché non accada più. C’è un Presidente della Repubblica che scrive ad una donna che sarebbe da applaudire, lei si, perché con la sua tenacia è riuscita ad ottenere giustizia, ma che sempre più spesso deve ritornare a piangere il proprio figlio, perché qualcuno ne insulta la memoria. In passato gesti come questi non erano per nulla scontati.

Il Capo della Polizia, presente qualche ora prima al congresso dei poliziotti reazionari (mi chiedo se era proprio il caso che il Capo della Polizia partecipasse ad un congresso dove risultavano invitati i tre condannati) ha parlato di nuove regole di ingaggio. Forse saranno davvero necessarie, ma io nei miei trentaquattro anni trascorsi nella Polizia, e come me tanti altri miei colleghi, le mie regole di ingaggio le ho sempre avute e sono state base del mio mestiere. Esse erano fondate in una sorta di deontologia professionale che mi ha sempre fatto considerare ovvio che manganellare o calpestare una persona inerme, indipendentemente da ciò che avesse commesso un attimo prima, fosse un gesto di crudeltà gratuita.

Portare in trionfo, come è stato fatto al congresso del disonore, tre delinquenti, senza tenere minimamente in considerazione il dolore di una madre e con essa quello di una società intera, non ha nulla a che vedere con le rivendicazioni economiche (quelle ci sono e vanno affrontate e non certo applaudite) e neanche con le difese corporative di una categoria. Quello che è accaduto in quel congresso, probabilmente può incontrare il plauso dei delegati, forse di una più amplia platea di iscritti a quel sindacato (che non mostrano nessun imbarazzo), ma è troppo lontano e stridente con le esigenze dei cittadini di uno Stato democratico, che vogliono una polizia al passo con i tempi, che sia rispettosa dei loro diritti. Più che regole di ingaggio, quindi, occorrerebbe ripensare un sistema di polizia democratica, a partire dalle forme di reclutamento, che non possono più essere basate sulla leva militare, che chiami tra le file della Polizia cittadini con una cultura ed una coscienza davvero democratica.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

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