lunedì, Aprile 29, 2024
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Le guerre dei siciliani

Il Direttore ne conobbe una da ragazzo, i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Si battè disperatamente per evitarne un’altra, quella dei missili di Comiso. In entrambi i casi la Sicilia era un bersaglio, con tutta la sua gente

Io ero un ragazzo e rimasi ferito sotto un bombardamento aereo che distrusse il mio paese. Ebbi una gamba e un braccio spezzati, e un occhio quasi lacerato da una scheggia. Mi tennero una settimana in un ospedale da campo, mi ricucirono le ferite e tolsero le schegge senza anestesia. Ci davano un pomodoro al giorno per sopravvivere, dopo una settimana finirono anche i pomodori. Allora scappai; avevo ancora le stesse bende insanguinate e putrefatte del primo giorno, avevo perduto dieci chili, con quella gamba spezzata percorsi venti chilometri per tornare al mio paese, volevo soprattutto disperatamente sapere se mia madre era ancora viva.

Quando arrivai alla periferia del mio paese distrutto, c’erano i soldati inglesi che rastrellavano i vecchi contadini e i ragazzi delle campagne. Presero anche me e mi dettero una vanga. “Seppellisci quei morti!” dissero. Lungo la strada, accanto al cimitero, c’erano quattrocento miei compaesani morti nel bombardamento di sette giorni prima, una montagna di corpi spezzati, divelti, gonfi, dilaniati, putrefatti, e in mezzo a loro c’erano esseri umani che per anni io avevo salutato per strada, ragazzi con cui avevo giocato, certo anche miei compagni di scuola, nessuno tuttavia riconoscibile poiché nessuno aveva sembianza umana.

Con le baionette innestate i soldati inglesi ci spinsero verso quella cosa orrenda.

“Seppelliteli!”. Con i bulldozer avevano scavato un’immensa fossa in un campo. Io ero un ragazzo, con la gamba e il braccio spezzati, una crosta di sangue su mezza faccia e almeno cinque o sei schegge ancora dentro che l’ufficiale medico non aveva avuto tempo di estrarmi, pesavo altri dieci chili di meno e soprattutto ero convinto che sarei morto per la fame. Ero cioè in uno di quei momenti eccezionali della vita (può capitare una volta, talvolta non capita mai) in cui ci si sente disposti a un gesto di eroismo. Perciò finalmente dissi: “Perché io?”. E l’ufficiale inglese, con la benda bianca sul naso e il berretto rosso disse dolcemente su per giù: “because you fall the war and those are your dead people!”.

Pressappoco: perché tu hai perduto la guerra e questo è il tuo popolo sconfitto!

Solo molto più tardi nella vita capii che per tremila anni innumerevoli eserciti si erano dati battaglia per conquistare la Sicilia e che comunque i siciliani erano stati sempre sconfitti e avevano dovuto alla fine sempre seppellire i loro morti.

Questo concetto mi si para perfettamente dinnanzi, autentica verità storica, al cospetto della cosiddetta sindrome-Comiso, cioè della installazione della base di missili nucleari in Sicilia.

I Siciliani,

marzo 1983

 

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