mercoledì, Aprile 24, 2024
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Barcellona: quel plico giallo al “superpoliziotto”, dov’è finito?

Il covo di Santapaola scoperto da Beppe Alfano. La lettera alla Dia. L’assassinio del giornalista e il ruolo del magistrato Canali. I servizi segreti e la “centralità” nella strage di Capaci.

Veniva al circolo, giocava a carte e veniva preso pure per il culo, un fessacchiotto, mica sapevamo che era mafioso. Una spiacevole sorpresa

Nella primavera del 1992 Giuseppe Gullotti, boss di Barcellona Pozzo di Gotto, si reca a San Giuseppe Jato per consegnare a Giovanni Brusca il telecomando da utilizzare per la strage di Capaci. Nello stesso periodo i Corleonesi incaricano Pietro Rampulla – boss di Mistretta, ma da sempre in stretto contatto con i Barcellonesi – di collocare l’ordigno sotto il viadotto dell’autostrada. Perché i Corleonesi si affidano ai Barcellonesi per un compito così delicato? Evidentemente sanno che a Barcellona, più che altrove, c’è gente specializzata nella costruzione e nell’uso degli esplosivi. Barcellona non è solo una cittadina mafiosa. È un luogo centrale per l’eccidio di Capaci. E qui sono stati nascosti e protetti per parecchio tempo latitanti come Nitto Santapaola e Bernardo Provenzano.

A Barcellona c’è attualmente un procuratore generale sotto inchiesta (Franco Antonio Cassata), un sostituto procuratore trasferito perché considerato amico dei mafiosi (Olindo Canali), un avvocato ritenuto il trait d’union fra i servizi segreti deviati e Cosa nostra (Rosario Cattafi). E un boss condannato a trent’anni per l’omicidio Alfano (Giuseppe Gullotti).

Per comprendere la “centralità” eversiva di questa città di quarantaseimila abitanti nel messinese, bisogna partire proprio da questi tre nomi: Giuseppe Gullotti, Pietro Rampulla e Rosario Cattafi, attorno ai quali ruotano protettori, fiancheggiatori e affiliati.

A Messina gli ultimi due li ricordano ancora. Negli anni Settanta questi due universitari appartenenti all’estrema destra prendono a colpi di mitra la Casa dello studente, picchiano i “rossi”, stipulano alleanze con la mafia palermitana e reggina e con gente che più tardi risulterà iscritta alla P2.

È il periodo delle bombe, della rivolta “nera” di Reggio Calabria, delle stragi di destra. Nel capoluogo peloritano i tre “ordinovisti” mettono a ferro e fuoco l’università e cominciano ad avere dimestichezza con le armi e con gli esplosivi.

Ma c’è anche – fra quelle file – un altro universitario che Rampulla e Cattafi conoscono bene, si chiama Beppe Alfano, è un non-violento, un integralista. Anche lui conosce bene quei due.

Nello stesso periodo, secondo le dichiarazioni del pentito barcellonese Pino Chiofalo (che negli anni ’90 farà una carneficina di bande rivali), l’allora sostituto Franco Antonio Cassata fa un viaggio in macchina da Barcellona a Milano con lo stesso Chiofalo (giovane di belle speran- ze) e con l’avvocato Franco Bertolone, legale della mafia barcellonese.

Quale sia il motivo che porta un magistrato ad avere rapporti con un personaggio come Chiofalo e con un penalista che difende il “gotha” della mafia locale non è dato sapere.

Quelli che appaiono chiari sono i legami esistenti all’interno del circolo paramassonico Corda fratres. Al quale risultano iscritti lo stesso Cassata, presidente per diversi anni e animatore del sodalizio; l’ex ministro Domenico Nania (oggi vice presidente del Senato); il cugino Candeloro Nania, sindaco di Barcellona; il collega messinese Giuseppe Buzzanca, in compagnia di Giuseppe Gullotti detto “l’avvocaticchio” assurto quasi ai livelli di Riina e Provenzano, e Rosario Cattafi, ritenuto “mandante esterno”, assieme a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (poi prosciolti tutti e tre), della strage di Capaci, nonché trait d’union tra l’ala militare di Cosa nostra, i servizi segreti deviati e i colletti bianchi.

Se su Cattafi il silenzio dei soci della Corda fratres è tombale, su Gullotti si accampano le giustificazioni più pittoresche.

“Tutte coincidenze. Gullotti era iscritto prima che diventasse boss. Quando è stato coinvolto nell’omicidio Alfano lo abbiamo espulso”. Cioè da latitante.

Ma una “informativa riservata” parla della sua pericolosità come esponente di spicco di Cosa nostra ancora prima del delitto Alfano.

Ma già alla fine degli anni Ottanta, “l’avvocaticchio” (con testimone Saro Cattafi) aveva sposato la figlia di don Ciccio Rugolo, boss storico di Barcellona, ucciso dalle bande rivali un paio di anni prima dell’omicidio Alfano.

A prenderne il posto è proprio Gullotti, che si allea con Santapaola ed ordina omicidi, estorsioni e attentati. Con lui la cosca locale fa il salto di qualità. A Barcellona lo sanno tutti.

Solo alla “Corda fratres” non ne sanno niente. Non sa niente il neo laureato iscrittosi “per sistemarsi”, non sa niente il politico, non sa niente Cassata, che di quella zona conosce uomini e cose perché da una vita è alla Procura di Messina, distretto giudiziario dal quale dipende proprio Barcellona, dove lui risiede da quando è nato.

“Veniva al circolo, giocava a carte e veniva preso pure per il culo, un fessacchiotto, mica sapevamo che era mafioso. Una spiacevole sorpresa”.

Già, un fessacchiotto, una spiacevole sorpresa. Del resto, come si possono prendere le distanze da un personaggio del genere se poco tempo prima il partito del senatore Nania (il Movimento sociale italiano) lo aveva candidato in Consiglio comunale espellendo proprio Alfano, che nel frattempo denunciava i misfatti di Barcellona su “La Sicilia”?

E arriviamo alla strage di Capaci. Un periodo strano, sia prima che dopo.

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