martedì, Aprile 23, 2024
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Tre città del Sud

Un ragazzo di Napoli, uno di Palermo e uno della provincia di Mes­sina. Come si vive in questi tre posti? Che spazio hanno i giovani? Che responsabilità ha la politica? Ed ecco le loro risposte

Di dove sei?

Giovanni: sono di Nizza di Sicilia, Provincia di Messina, versante jonico.

Vincenzo: Sono di Afragola, una città che si trova nella periferia nord di Napo­li.

Giuseppe: sono nato a Roma ma cre­sciuto a Palermo.

Se dovessi pensare ai problemi più gravi che caratterizzano il posto in cui vivi, quali sarebbero i primi che ti ven­gono in mente?

Giovanni: I problemi che maggiormen­te affliggono il posto in cui vivo sono ri­conducibili alla mala gestione dello smaltimento rifiuti e all’abusivismo edili­zio che devasta intere zone collinari che rischiano di crollare al primo nubi­fragio (l’alluvione di Scaletta insegna). Le giun­te dei paesi circostanti sono co­mandate ormai da anni dagli stessi figuri (il mio paese non cambia sindaco da 15 anni) che fanno il gioco delle tre carte (sale X, poi sale il vice di X, e poi di nuovo X); se sale l’opposizione il gioco è lo stesso.

Vincenzo: Disoccupazione, criminali­tà organizzata, clientelismo e corruzione politica, mancanza di integrazione etnica e sociale, tessuto sociale sconnesso, in­sufficienza dei servizi pubblici.

Esistono intere fasce sociali che vivo­no in zone di marginalità, abbandonate dallo Stato; privi talvolta di quei diritti civili che dovrebbero essere garantiti e questo non fa altro che influenzare nega­tivamente la mentalità, l’aspetto “cultu­rale” e sociale delle persone. Il degrado lo si percepisce a livello culturale, cioè di mentalità.

Questi ritardi non sono imputabili ad una mentalità “criminale” del mezzogior­no; semmai è vero il contrario: sono i ri­tardi sociali del mezzogiorno che in­fluenzano negativamente la cultura di queste zone. Il problema numero uno al­lora è l’apatia, il disinteresse, il credere che quest’emorragia non possa essere sanata con la propria volontà.

Giuseppe: In assoluto penso che i pro­blemi più gravi di Palermo non siano quelli legati alla normale amministrazio­ne di una città perché a quelli c’è rime­dio. Il vero problema è far capire ai Pa­lermitani che loro meritano una grande città in cui vivere e di conseguenza affi­dargli delle responsabilità.

I giovani rappresentano una parte attiva all’interno della tua comunità?

Giovanni: Proviamo ad avere peso all’interno delle comunità, ma in verità non ne abbiamo.

Vincenzo: I giovani rappresentano il futuro, la speranza. Sappiamo che il no­stro Paese, governato da un’oligarchia gerontocratica (“la casta”), non investe affatto sul capitale giovanile, come ma­gari fanno altre nazioni (si pensi alla Germania o agli Stati Uniti). Anche nella realtà napoletana, i giovani non trovano spazio.

Giuseppe: I giovani a poco a poco si stanno svegliando, stanno cominciando ad indignarsi e a svolgere il loro ruolo at­tivo di cittadini. Parliamo ancora di una bassa percentuale ma sempre più ragazzi cominciano a non accettare l’idea che le cose non si possano cambiare solo per­ché non siamo abituati a vederle diversa­mente. Sono nate tante associazioni gio­vanili in questi ultimi anni, segno che il desiderio di cambiamento e di partecipa­zione a poco a poco va aumentando.

Come trascorrono le giornate i ra­gazzi? Ci sono degli spazi sociali  o strutture adeguate dove incontrarsi?

Giovanni: A spasso sul lungomare o nei bar, alcuni punti di raccolta esistono, come il PuntoGiovani a Nizza, ma l’ina­deguatezza della sede e la incostanza di parecchi componenti avvelena i pro­getti e la volontà di agire.

Vincenzo: Parecchi progetti finanziati dall’Unione Europea sono finalizzati a “togliere i ragazza dalla strada” occupan­doli in attività pomeridiane con docenti.

Indipendentemente dai risultati, o da come poi vengono effettivamente ammi­nistrati questi fondi; credo che ciò sia in­dicativo: il fatto che gran parte della gio­ventù trascorra le proprie ore, per la stra­da, aumenta il rischio di essere assoldati negli eserciti della criminalità organizza­ta; o comunque il rischio di seguire un percorso delinquenziale.

Nella mia città con gli anni quegli spa­zi di incontro e dialogo (che possono an­che essere il cinema, il teatro, il partito) vanno sempre diminuendo, lasciando la gioventù abbandonata a se stessa, offren­do spesso alternative che alla lunga non sempre hanno effetti positivi: per esem­pio i vari centri-scommessa, che negli ul­timi anni sono spuntati come funghi.

Giuseppe: Palermo è una città molto grande e sicuramente gli spazi dove in­contrarsi non mancano, tranne in qualche quartiere periferico dove si fa fatica an­che a trovare un’aiuola.

Senza voler generalizzare, nella maggio­ranza dei casi a far la differenza però è la modalità di aggregazione.

Noto sempre di più che il modo di sta­re insieme, senza distinzione di quartiere, dal più popolare a quello più residenzia­le, delle volte sia mosso più dalla paura di essere rifiutato dal gruppo che dalla voglia di farne parte. Bisogna ritornare negli oratori, negli spazi comuni, nelle strade e far vedere uno spirito di aggre­gazione differente. Partire da questo per sensibilizzare i ragazzi al rispetto delle regole, dell’altro, alla bellezza dello stare insieme consapevoli che non si tratta solo di ragazzi, ma anche di cittadini.

Che idea ti sei fatto della situazione politica del tuo paese? Sono necessari dei cambiamenti?

Giovanni: Ripeto: sono anni che abbia­mo lo stesso sindaco, che uno stinco di santo non è, ma che possiede un  alto consenso popolare grazie alla propria professione (medico generale). Siamo nell’Immobilità più nera. Ovvio che ser­vono dei cambiamenti, ma dovrebbero essere mentali e supportati da un’espe­rienza traumatica.

Vincenzo: Sciascia una volta disse che la Sicilia poteva essere considerata come una sorta di microcosmo del paese Italia. Potrei dire lo stesso: le contraddizioni, i ritardi di Napoli e provincia sono una metafora (accentuata) dei problemi italia­ni.

C’è scarsa partecipazione sociale alla vita pubblica. Questo ovviamente vale anche a livello nazionale, dove privilegi e interessi personali dettano l’agenda dei vari governi che si alternano. Credo che l’errore fondamentale di un certo modo di far politica, sia stato quello di pensare che alcuni problemi, anche nelle nostre realtà meridionali, potessero essere risol­te con la violenza; imponendo dall’alto con forza quei (presunti) diritti.

Non si risolvono problemi con l’eserci­to, quando quello stesso governo è legato talvolta a doppio filo con chi ha generato questi problemi. Bisognerebbe creare quella dimensione sociale di partecipa­zione dal basso, riuscire a garantire quei diritti che sono ormai scomparsi dall’agenda politica (si parla ancora di una questione meridionale?).

Ecco, sì i cambiamenti sono necessari: ma qui e adesso. Non cambiamenti indi­viduali: io sogno che si riesca finalmente a trovare un senso collettivo di trasfor­mazione proprio nelle zone degradate, e abbandonate dallo Stato.

Giuseppe: Palermo ha innumerevoli problemi, veniamo da una amministra­zione oggettivamente fallimentare che ha fatto scendere la qualità della vita ai gra­dini più bassi di sopportazione. E’ diffici­le vivere in una città che offre pratica­mente nulla, pochi servizi e poche oppor­tunità; una città che per molto tempo ha visto tristemente l’interesse del singolo prevalere su quello della collettività.

Credo però che per poter cambiare le cose sia necessario sporcarsi le mani, non si può sognare il cambiamento da dietro un monitor o stando fermi. Tocca sbrac­ciarsi e darsi da fare a tutti i livelli, dal politico al cittadino, ognuno deve fare il proprio dovere fino in fondo assumendo­si le proprie responsabilità. Non è neces­sario fare cose straordinarie, basta l’impegno profondo nel proprio campo di competenza.

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