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Sciopero globale delle donne

Anche a Catania “Non una di meno”

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Pieno giorno. Catania, nei pressi da fera ‘o luni. Un brusio di grida, rumori, colori. Ad un tratto un uomo e una donna si ritrovano tra la folla “È da mezz’ura chi ti stai ciccannu!” dice lei. Lui non risponde, si sente solo tuonare uno schiaffo. La scena attira l’attenzione di tutti ma nessuno si avvicina. “Ma unni ha statu?” grida l’uomo, e continua a picchiarla. Ma che fa?  “È mia moglie” dice, come se questo lo autorizzasse a disporne come vuole. Sua moglie: una signora coi capelli rossi, gli occhi sgranati di paura o vergogna, vestita in modo semplice, segue il suo aguzzino. Terrorizzata ma lo segue, fedele rientra nella sua gabbia. Lui ha il viso ossuto, sembra più vecchio di quanto in realtà non sia. I suoi occhi verdi sembrano incapaci di scorgere qualsiasi cosa che possa andare oltre la sua rabbia.

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8 marzo 2017: anche Catania – come altre città italiane e nel mondo – ha aderito allo sciopero promosso dal movimento femminista “Non una di meno”. Alle 18.30 da piazza Dante è partito il corteo diretto a piazza Università. “Se sei obiettore non fare il dottore!” uno degli slogan che davanti all’ospedale pediatrico Santo Bambino è stato urlato più forte. Tante le donne e gli uomini, i movimenti e le associazioni che hanno aderito. In prima fila le donne del centro antiviolenza Thamaia che in questo giorno hanno chiuso simbolicamente la loro sede. “A Catania abbiamo circa duecento donne all’anno che si rivolgono a noi per maltrattamenti e violenze, e circa centocinquanta contatti da parte di parenti o amici che chiedono informazioni sul nostro centro”. Quello della violenza sulle donne “è un fenomeno costante, trasversale, che riguarda le fasce sociali medio-alte. Va sfatato il mito che riguarda le fasce basse! Ormai il target delle donne si è alzato: sono quasi tutte diplomate o laureate” ci dice una delle volontarie.

Maria ha la terza media, un figlio che ha sviluppato un ritardo mentale “forse perché vede il padre comportarsi così” dice a occhi bassi “Ormai non mi considera più. Mi dice sempre che non servo a nulla. Mai una parola dolce che a me a volte farebbe piacere. Pensa che ha smesso persino di pranzare con me. Esce la mattina presto e rientra la sera tardi. E se mi permetto di uscire di casa più del necessario me le dà. Non mi dà nemmeno i soldi per fare la spesa. Solo due euro per comprare il panino al bambino la mattina quando lo accompagno a scuola. Il mio compito è solo pulire la casa, cucinare e badare ai figli. E se provo a sfogarmi con mia madre lei dice che la colpa è mia perché sono un’incapace…”. Maria ma hai provato a farti aiutare da qualcuno?, le chiedo. “Sì, sono andata dallo psicologo una volta, poi non ci sono tornata più”.

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Non è che avendo meno strumenti, rimangono più nell’ombra, in silenzio? “Sì, potrebbero non avere consapevolezza del nostro servizio. Infatti noi abbiamo anche aperto uno sportello d’ascolto all’ospedale Vittorio Emanuele, in un quartiere a rischio. E devo dire che lì abbiamo pochissima utenza perché è molto più difficile coinvolgere le donne sino al punto da arrivare a un vero e proprio percorso”. Lo sportello è attivo solo il lunedì dalle nove all’una perché “non abbiamo una sufficiente copertura finanziaria” conclude la volontaria del centro antiviolenza.

Il corteo continua. Colorato di nero e fucsia, giunge sino a piazza Università. Tra gli interventi finali quello della madre di Laura Russo, dodicenne uccisa dal padre tre anni fa a San Giovanni La Punta “Lui lo sapeva che uccidendo le mie figlie, mi avrebbe ferita a morte…” ma poi passa al dunque “E voglio concludere invitando le istituzioni a fare il loro dovere: basta prometterci protezione e sostegno quando poi ci lasciate sole”.

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