sabato, Aprile 20, 2024
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Ritorno a Montelepre: Rosi, Giuliano, Iliade della Sicilia grama

“Salvatore Giuliano fu la prima opera alla quale partecipai”, dice. “Fui scelto mentre giocavo a carte in un bar, entraro­no Francesco Rosi, l’operatore Pasquale De Santis, l’ispettore di produzione Bru­no Sassaroli e il fratello di Gaspare Pi­sciotta, che li accompagnava. Il giorno prima avevo saputo che cercavano degli attori. Mi presentai e mi dissero: vaffan­culo. Quando Rosi mise gli occhi su di me gli risposi per le rime. ‘Cosa è suc­cesso?’. Gli spiegai il fatto. ‘Non ci pen­sare, domani presentati di nuovo’. ‘Quanto mi date?’ ‘Ventimila lire al gior­no’. Quei soldi mi servivano. Vendevo stracci americani, robe vecchie, allora la gente era molto povera e comprava que­ste cose. All’inizio feci la parte del ban­dito Nunzio Badalamenti, poi siccome me la cavavo, fui promosso sul campo: Nino Terranova, uomo di spicco della banda. Il vero Nino Terranova era mio cugino, un bravissimo ragazzo, come tut­ti gli uomini di Giuliano, compreso Tu­riddu, che aveva fatto il militare con mio fratello”.

“Un giorno andammo a Palermo per girare la scena di un sequestro di perso­na. Passammo da Altofonte armati fino ai denti. Scendemmo dalla Balilla ed en­trammo in un bar. Ordinammo tre caffè. La proprietaria per la paura ruppe le taz­zine. A un certo punto ci vide un briga­diere dei carabinieri. Pensava che fossi­mo dei banditi e scappò”.

– Signor Norvese, cosa le è rimasto del film?

“Comprai la casa ed aprii un emporio fornito di tutto. Se non fossi stato analfa­beta, avrei sfondato. Un giorno mi arrivò un telegramma di Dino De Laurentiis: caro Vincenzo, vorrei sapere se conosci la lingua inglese per girare Sacco e Van­zetti in America. Dovetti rinunciare a no­vanta milioni e ad una carriera bellissi­ma”.

Nella parte alta del paese c’è la casa di Giuseppe Sapienza, 78 anni, che nel film fa il bandito: sul grande schermo si vede con il mitra in mano, intento a pagare un pastore per ottenere delle informazioni importanti, e poi nell’aula del tribunale di Viterbo per rispondere dell’accusa di aver partecipato alla strage di Portella della Ginestra

“A quel tempo lavoravo in campagna con gli animali e portavo il vino a San Martino delle Scale. Fui contattato e par­tecipai al film. Il primo della mia vita. Non pensavo che negli anni successivi avrei fatto parte del Gattopardo e che avrei fatto il padre della Cardinale in Corleone di Pasquale Squitieri”.

Fra i vicoletti del paese c’è lo studio di Totò Chiaramonte, un fotografo di ottan­tacinque anni che nell’ultimo sessanten­nio è stato testimone prezioso di molti eventi svoltisi in quella zona.

Nell’archi­vio ci sono decine di imma­gini del vero Salvatore Giuliano, e di pa­recchie foto scattate durante la lavorazio­ne del film: Francesco Rosi che parla con gli attori; Francesco Rosi che si intrattie­ne con i suoi ospiti più illustri (specie con Mar­cello Mastroianni e con lo scrit­tore Carlo Levi); Francesco Rosi che scherza con ‘u tammurinaru prima della scena in cui viene annunciato il coprifuo­co (“Sintiti sintiti sintiti, per ordine del comando mi­litari…”).

“Rosi era molto disponibile”, ricorda Chiaramonte, “vide le foto di Giuliano e restò favorevolmente impressionato, così mi fece fare il fotografo di scena”.

La­sciamo Montelepre e ci avviamo verso la Valle del Belice con i suoi vi­gneti e i suoi bagli di pietra gialla. Attra­versi i paesini che dal ’43 al ’50 furono sotto il giogo di Giuliano, arrivi a Portel­la della Ginestra inondata di luce, con l’ampio pianoro erboso dominato dalle montagne Palavet e Kumeta. Qui il pri­mo maggio del ’47 undici contadini furo­no trucidati dalla banda Giuliano e dalla mafia in oc­casione della festa del lavoro.

Qui Rosi ricostruì magistralmente le scene della strage. Pochi chilometri più in là ecco Piana degli Albanesi.

Sulla via principale c’è la Camera del Lavoro che negli anni Quaranta e Cin­quanta fu luogo di riunioni memorabili per l’organizza­zione delle rivolte conta­dine. Nel ’61 in questa sezione molte comparse furono ingaggiate per parteci­pare al film.

Francesco Tàlia, 77 anni, fu una di queste. Una di quelle persone che quat­tordici anni prima era scampato alla stra­ge vera. “A selezionarci fu una donna. Mi diede una divisa: ‘Tu fai il carabinie­re’. Mi portò a Portella dove incontrai un carabiniere vero, osservò i miei gradi e disse: ‘Sono nuovi di zecca, me li regali?”.

Francesco Guzzetta, 53 anni: “Avevo nove anni quando partecipai al film. Tut­ta Piana prese parte alla ricostruzione della strage. La gente volle essere pre­sente per esprimere la propria indigna­zione e per dare la propria testimonianza. Quelli che il primo maggio del ’47 erano stati a Portella tornarono in occasione del film, a cominciare dal segretario della Camera del lavoro che nella pellicola fa­ceva l’oratore ufficiale della manifesta­zione”.

Ultima tappa del viaggio, Castelvetra­no. Testimone d’eccezione, l’avvocato Gregorio Di Maria, personag­gio-chiave della storia e del film, per aver dato ospi­talità a Giuliano nella casa di via Manno­ne dove nella notte fra il 4 e il 5 luglio del ’50 il bandito fu ucciso nel sonno dal cugino Gaspare Pisciotta.

“Nel ‘61”, ricorda Di Maria, “vivevo ancora in quell’abitazione. Rosi venne a Castelvetrano, mi avvicinò e mi parlò del lavoro che voleva fare. Gli misi a dispo­sizione la casa e gli feci da consulente. Non ebbi alcuna diffidenza a collaborare con lui, anzi me ne sentii lusingato.

Mi ispirava fiducia, ebbi la sensazione immediata di trovarmi davanti ad una persona perbene. La casa era ottocente­sca ed apparteneva a mia madre che l’aveva ricevuta in eredità. C’è un primo piano con delle volte affrescate di bian­co, i pavimenti decorati, le ampie stanze. Io nacqui lì e lì vissi per tanti anni. Nel ’65 fui costretto a venderla”.

Il volto di Di Maria diventa improvvi­samente triste: “Dopo la cattura di Giu­liano fui portato all’Ucciardone e subii un processo che durò 14 anni. Fui co­stretto a vendere tutto. Da allora mi im­posi di non guardare al passato e di non avere rimpianti. Ci sono molti ricordi le­gati a quella casa, ma non voglio parlar­ne. La vita continua, malgrado tutto”.

Un pensiero su “Ritorno a Montelepre: Rosi, Giuliano, Iliade della Sicilia grama

  • io qualche documento sui fatti c’e l’ho!. ed anche qualche storia inedita.

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