sabato, Aprile 20, 2024
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Morte di un operaio

Salvatore La Fata lavorava dall’età di quindici anni. Quando ha perso il lavoro non si è rassegnato: ha messo su una bancarella e ha cercato di guadagnarsi da vivere onestamente con quella. Arrivano i vigili e gli sequestrano tutto. Lui non resiste a questa ennesima sconfitta: la sua protesta finale è darsi fuoco. Muore dopo undici giorni d’agonia

“Ce l’aveva nel sangue… Salvatore sa­peva fare bene il suo lavoro. Fin dall’età di quindici anni aveva avuto a che fare con la terra e si è messo subito a lavorare al movimento terra, con le gru e le moto­pale”.

Inizia così il racconto di Vincenzo La Fata e di Tony Poli, rispettivamente fratel­lo e cognato di Salvatore La Fata, l’uomo morto il 30 settembre, dopo undici giorni di agonia a causa delle terribili ustioni in tutto il corpo.

“Senza regolare licenza”

Salvatore La Fata si è dato fuoco il 19 settembre in Piazza Risorgimento a Cata­nia, in seguito al sequestro da parte dei vi­gili urbani della sua bancarella di frutta e verdura, che vendeva senza regolare li­cenza.

Vincenzo e Tony raccontano del passato di Salvatore come operaio edile. “Nel suo lavoro era molto richiesto e, in passato, spesso riceveva offerte che lo portavano a cambiare azienda e datore di lavoro”.

Nonostante la crisi e la perdita del lavo­ro si è dato da fare per potere trova­re “qualcosa” di dignitoso, anche svolgendo mansioni che non gli erano familiari.

“È riuscito anche a fare il muratore e l’idraulico, ma nulla che gli potesse dare una garanzia economica ed una soddisfa­zione persona­le in ambito professionale” racconta il fra­tello Vincenzo.

Ce l’aveva nel sangue. Lui era un ope­raio edile, uno che era abituato al lavoro duro, che non si era mai tirato indietro, non si era mai fatto scoraggiare dalle dif­ficoltà della vita.

Neanche quando alla fine decise di apri­re la sua attività di ven­ditore ambulante, nonostante tutto non aveva ancora rinun­ciato ai suoi progetti.

Fino al giorno prima aveva detto al fi­glio: “Appena arriva la cassa edile ti compro dei vestiti” e alla moglie “Presto imbian­cheremo la stanza dei ragazzi”. Aveva esortato il cognato Tony a cercare un garage per depositare la merce.

Una morsa che toglie il respiro

Nonostante fosse abituato a combattere nelle difficoltà era consapevole di vivere nell’ansia legata ad una precarietà oramai diffusa in tutto il Paese, ma che al Sud stringe in una morsa che toglie il respiro a chi non vuole scendere a patti con illegali­tà e lavoro nero.

La cosa che fa arrabbiare Vincenzo e Tony è la mancanza di coerenza da parte delle istituzioni nel combattere l’illegalità.

“Dov’era lo Stato quando si scoprì che l’imprenditore che licenziò Salvatore, non aveva versato i contributi per la cassa edile. È rimasto impunito. Attualmente c’è una causa in corso e chissà quanti anni si dovranno aspettare per avere giu­stizia”.

“E ora come faccio?”

La foto di Salvatore su quel tavolino del bar sembra farci compagnia.

“Non riesco ad immaginare cosa gli sia passato per la testa in quei momenti” dice Tony . “Avrà pensato – ed ora come faccio a pagare il verbale ? Come farò ad anda­re avanti ?”.

“Ma dov’è adesso la giustizia? – ag­giunge – Salvatore era in pre­da alla di­sperazione per ciò che gli stava accaden­do in quel momento, aveva urlato a gran voce che si sarebbe dato fuoco ed il vigile che stava procedendo al sequestro gli dis­se: ”Si, ma spostati più in là”.

Non so cosa gli sia passato per la testa in quel momento. In preda alla dispera­zione è stato istigato al suicidio, si è dato fuoco davanti a tutta una piazza piena di gente e di curiosi.

È davvero impressio­nante quanto sia stato insensibile il vi­gile nei confronti di Salvatore, fa venire i bri­vidi per la totale assenza di umanità che questo individuo ha dimostrato di avere”.

“Ma perché proprio lui?”

“Perché Salvatore? – dice Vincenzo ora – Perché proprio lui? Perché non andava­no a cercare e punire chi veramente nell’ille­galità ci sguazza e ci si arricchi­sce senza scrupoli?”

“Fatevi avanti e raccontate”

I poteri forti dell’illegalità la faranno sempre franca, fino a quando le Istituzioni concentreranno le loro attenzioni verso quell’illegalità spicciola, fatta di gente che cerca solo di sopravvivere.

Si combatte l’abusivismo di strada, il povero operaio edile, oramai disoccupato, divenuto ven­ditore ambulante.

Non c’è spazio per quei pochi e cono­sciuti personaggi che invece hanno tra­sformato la nostra città in una terra orien­tata al forte e diffuso concetto di stato so­ciale inesistente.

La famiglia La Fata adesso cerca solo di andare avanti. Vuole la verità, su come siano andati realmente i fatti. Vorrebbe che i cittadini, che sanno ed hanno visto, si facciano avanti e raccontino tutto. Vor­rebbe che nessun altro Salvatore La Fata muoia per colpa di istituzioni sorde e cie­che di fronte ad una città che urla ed in­fiamma la propria disperazione.

Un pensiero su “Morte di un operaio

  • sono il sindacalista che cercava di far camminare la vertenza contro l’impresa che doveva versare la cassa edile e il premio di anzianità a Salvatore, non riuscendoci , perche come già detto in una lettera a La Sicilia, la proprietà di quest’impresa avrà molti santi in paradiso. come si spiega il fatto di mie denunzie a tutti i livelli ( isp. del lav. , proc del rep. ), non hanno avuto nessun effetto ( sto parlando di denunzie fatte 8/10 anni fa , quando ero segretario della Fillea CGIL di CT). Si perchè i circa 10 mila euro che avanza Salvatore si accumulano in circa 12 anni , nei quali ha lavorato con 4 imprese edili , tutti riconducibili sempre alla stessa proprietà.

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