giovedì, Aprile 18, 2024
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Mafia-padrona: tre decenni di dominio fra cosche e logge

L’attuale capo di Cosa Nostra, cresciu­to all’ombra del vecchio padrino Proven­zano, è Matteo Messina Denaro di Ca­stelvetrano, figlio d’arte: suo padre Fran­cesco è uno degli ultimi anziani boss morto nel suo letto; il corpo venne fatto ritrovare nelle campagne di Castelvetra­no vestito con un elegante completo scu­ro, la cravatta e le scarpe nere lucide, ap­poggiato ad un cancello, in modo che il primo automobilista di passaggio avver­tisse la polizia. Votato all’ubbidienza Matteo, ma con alcune manie: le donne, i bei vestiti, il lusso.

A Castelvetrano se lo ricordano ancora quando correva verso il mare di Selinun­te con la sua Porsche, vestito Versace e al polso un orologio Rolex.

Un uomo in gamba dato che nel 1991 ebbe il compito da Riina di pedinare a Roma, Falcone, Martelli e il giornalista Costanzo.

Trapani vent’anni dopo Capaci. Si dice che Falcone sia andato via da Palermo con la curiosità di non aver potuto inda­gare sul centro Scorpione della struttura Gladio.

La base “Scorpione” è una caser­ma che si trova arroccata sulle montagne di un piccolo paese del trapanesi, Maka­ri, poco distante da S. Vito Lo Capo, e che aveva anche in uso un piccola pista di at­terraggio sulla costa, in contrada Castell­uzzo.

Quando Andreotti nel 1990, il 2 ago­sto, raccontò dell’esistenza di Gla­dio per la prima volta in parlamento ven­ne fuori che dal 1987 quel centro del Si­smi, di pertinenza della VII divisione del Sismi, che appunto gestiva Gladio, era stato convertito in funzione antimafia.

Falcone morirà con quella curiosità, cosa avevano fatto i gladiatori contro la mafia ?

E poi, caso strano, nessuno degli oltre 600 gladiatori ufficiali aveva mai avuto a che fare con quella storia. Il giudice, tra­sferitosi a Roma, incrociava quella vi­cenda con altre: ad esempio con i viaggi fatti in provincia di Trapani dall’agente Nino Agostino la cui morte avvenuta nell’agosto del ’89 rimaneva densa di mi­stero, priva di movente com’era.

E ripen­sava anche a quanto gli aveva riferito Mauro Rostagno due mesi prima di mori­re su strani voli militari, strani af­fari ed affaristi trapanesi.

Ma cosa disse Rostagno al giudice Fal­cone? Gli avrebbe detto di seguire una pista già battuta dal giudice Ciaccio Montalto che partiva dalla loggia coperta scoperta dentro al circolo Scontrino per arrivare agli affari tra le cosche trapanesi, catanesi e alcuni imprenditori.

Vent’anni dopo Capaci. Una caratteri­stica di Cosa Nostra a Trapani è stata l’essere diventata stato, società e merca­to. Parlando di Trapani il procuratore ge­nerale di Caltanissetta, Roberto Scarpi­nato, cita Hegel e dice: «Il demonio si nasconde nel dettaglio», come dire «una piccola storia dove dentro c’è tutta la sto­ria», dell’arroganza mafiosa e di un terri­torio che non pensa ad affrancarsi dal fe­nomeno, che sceglie «la diserzione civi­le».

Il sostituto procuratore Andrea Taron­do spiega così come nel trapanese ci sia una generale intimidazione dell’impren­ditoria trapanese:

«Una imprenditoria che è restia a sottrarsi al controllo mafio­so, perché l’attività estorsiva è una delle componenti di un rapporto più ampio, Cosa Nostra favorisce gli imprenditori che acconsentono alle richieste secondo quella strategia che evita il più possibile l’atto eclatante, e così il soggetto sottopo­sto a estorsione è un soggetto addomesti­cato, avvicinato, consapevole di quelli sono i suoi doveri per la “messa a posto”, un imprenditore che ha coscienza del fat­to che c’è una mafia in grado di gestire l’aggiudicazione degli appalti».

Qui per­ciò non si paga il pizzo, «ma la quota as­sociativa a Cosa Nostra».

La Trapani del 2012 si presenta diversa dalla Trapani che 25 anni addietro veniva raccontata da Mauro Rostagno dagli schermi di Rtc, oggi la città è cambiata, ma dietro gli abbellimenti, dietro i tesori monumentali ed ambientali risorti susci­tando ammirazione e piacere, Cosa No­stra ci ha guadagnato per colpa di impre­se per nulla virtuose.

La nuova mafia, almeno quella di Tra­pani, raccontata dagli investigatori come il primo dirigente Giuseppe Linares, non è mica tanto sommersa, è quella che ha gli imprenditori che dal carcere continua­no a dirigere le imprese o anche a dirot­tare pacchetti di voti alle elezioni.

«Il si­stema continua ad esercitare una funzio­ne di catalizzatore sociale» ha spiegato più di una volta Linares e lo ha spiegato parlando e spiegando di come andare a catturare Matteo Messina Dena­ro, ma lui, promosso, adesso non fa più parte dell’intelligence che dovrebbe cat­turare il boss.

Anche questo succede 20 anni dopo Capaci. Matteo Messina Denaro continua a tenere bene in mano le fila di molte cose.

 

Italia o Messico?

Un giudice inseguito dai mafiosi

Poco più di un mese fa, sulla Palermo-Trapani, un’Audi a vetri oscurati con cinque uomini a bordo ha cercato di raggiungere l’auto blindata del procuratore Marcello Viola. Dopo un serrato inseguimento, il magistrato alla fine è riuscito a rompere il contatto e fuggire. Viola aveva già ricevuto varie intimidazioni.

Adesso gli è stata aumentata la scorta. Ma basta questo? O lo Stato deve porsi seriamente il problema di riappropriarsi di un territorio che non è più suo?

r.o.

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