venerdì, Aprile 19, 2024
Inchieste

L’acqua salata dei siciliani

E mentre a Roma la Giunta Alemanno prova a cedere ai privati il 21% di Acea (delibera bloccata dal Consiglio di Stato), giungono da Berlino, Napoli e dall’Appennino reggiano notizie in controtendenza rispetto alle attuali politiche di liberalizzazione/privatizzazione.

Dopo l’esito positivo del referendum di iniziativa pubblica del febbraio 2011, in cui i berlinesi quasi all’unanimità (98%) dissero sì alla rilevazione dei contratti della città con Rwe Aqua GmbH, la capitale tedesca sta tentando di recuperare anche la parte in mano al colosso francese Veolia, con l’obiettivo di rimunicipalizzare – dopo 13 anni di privatizzazione – il servizio e far abbassare gradualmente i prezzi dell’acqua, tra i più alti d’Europa.

Il comune partenopeo, invece, ha avviato l’iter per la trasformazione di Arin spa (precedente gestore del servizio idrico integrato) in Acqua Bene Comune Napoli. In pratica mentre la prima era una società di capitali, la seconda è un ente di diritto pubblico, smentendo così il concetto secondo cui il diritto riferito ai beni essenziali alla vita debba essere fondato sul principio della loro rilevanza economica e imprenditoriale.

Napoli si avvia così ad essere il primo comune italiano sulla strada della effettiva ripubblicizzazione del servizio idrico integrato costituendo un monito per quelle amministrazioni che invece continuano a svendere ai privati le quote di partecipazione pubblica nelle società di gestione dei servizi pubblici locali.

Nell’Appennino reggiano, infine, esistono da anni ma nessuno ne parla, gli acquedotti rurali, nati nel dopoguerra con la legge 911 che permise la loro costruzione grazie alla possibilità offerta allora dallo Stato ai cittadini di pagare la struttura in cambio di manodopera.

In tempi di multinazionali questo sistema alternativo funziona da anni a meraviglia e rappresenta una vera e propria rivoluzione della gestione dell’acqua come bene pubblico.

Gli acquedotti rurali fanno arrivare nelle case l’acqua direttamente dalle fonti e la spesa dei cittadini (in un anno 40 euro) è solo quella della manutenzione affidata a consorzi di cui sono soci i cittadini/utenti stessi. Certo riproporre questo sistema nelle grandi città è difficile, ma è una soluzione che potrebbe funzionare su piccola scala.

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