venerdì, Aprile 19, 2024
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La vita anche se “Crollasse il mondo”

L’intraprendenza di Alessandra Martinelli al Teatro Musco

“Crollasse il mondo”, regia di Massimiliano Farau, è lo spettacolo che è stato messo in scena dal 10 al 15 febbraio al Teatro Musco di Catania. E’ il terzo testo teatrale di Alessandra Martinelli, giovane talento che porta in scena l’effervescenza e il bisogno di speranza del suo tempo ma anche le contraddizioni e i disagi.

La vicenda, in un unico atto, comincia con i protagonisti che accedono al palcoscenico salendo dalla scalinata della platea come a voler sottolineare il loro essere stati “rubati” direttamente dal mondo reale.

Irrompe in scena un luccicante esserino vestito di bianco e argento con una valigia: non dice una parola, incuriosisce e scompare. Subito dopo una biondina frizzante con accento americano impreca contro non si sa chi, lanciando le sue scarpe in aria: anche lei con la sua valigia “colma di sogni” scompare dietro il sipario.

La valigia è la spia simbolica che prefigura il viaggio all’interno di sé stessi che i protagonisti, Reginaldo e Luisa, si accingono ad intraprendere casualmente in una lugubre stanza di un motel.

Reginaldo occupa la scena iniziale per un lasso di tempo che sembra infinito non solo perché rimane in silenzio ma soprattutto per la lentezza snervante dei suoi movimenti che lo spingono continuamente verso il suicidio senza tuttavia farcelo giungere mai. David Coco interpreta questo personaggio con una pazienza “sovraumana”, a tratti persino esasperante: più non dice nulla, più il suo silenzio somiglia a un urlo di disperazione che casualmente (e fortunatamente) viene soffocato dall’esuberanza di Luisa che prorompe sulla scena impadronendosene.

Luisa è l’aspirante sosia di Madonna infarcita di inquietudini, sogni e illusioni: impersona la voglia di vivere e di lottare, nonostante le correnti avverse del “fiume della vita”. Irrompe nella stanza di Reginaldo con la scusa dello shampoo prima e dell’aspirina dopo, ignara di averlo così sottratto al suicidio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alessandra Martinelli indossa i panni di Luisa con una naturalezza tale da sembrare di essere uscita davvero da uno di quei reality show “trash” dove si vende a poco prezzo persino l’anima. E’ logorroica, invadente, vanitosa, assolutamente incurante di quell’essere nella cui camera si è infiltrata: gli punta la pistola-giocattolo, lo tiene in pugno, detta ordini e lo manovra, senza accorgersi dell’essere devastato e impotente che ha di fronte.

Gli aneddoti di Luisa scorrono come delle cascate violente su quel personaggio storpio che la osserva attonito senza continuare a dire una parola. Il monologo di Luisa è talmente compulsivo che sembra diventare un dialogo dove lei chiede e lei risponde, presume, deduce.

La scena in assoluto più esilarante è quando Reginaldo cerca di lanciarsi dal balcone del motel e lei, terrorizzata, lo ammonisce: “Non farlo se no ti ammazzo!”, battuta che strappa una risata impregnata di tragicità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tragicità insita nei dissidi interiori di entrambi i protagonisti. Dissidi che sfociano in vere e proprie malattie psichiche: Luisa si imbottisce di farmaci e cocaina, Reginaldo è così disperato che non fa neanche quello ma aspira solo al suicidio.

Eppure anche lui è lì in quel motel per poter partecipare il giorno dopo al concorso dei sosia nei panni di Elton John, cui non assomiglia minimamente. Ma questo è il male minore: infatti si scopre che oltre ad essere uno “psicopatico” è anche balbuziente. Oltre ad essere balbuziente è anche un omicida, anzi è anche peggio visto che ha ucciso suo fratello gemello credendolo sé stesso come in uno specchio. Da quel momento Reginaldo vive nel terrore di rivedersi allo specchio e infatti lo copre meticolosamente con un telo bianco per non scoperchiare l’orrore di quel ricordo, e ancora di più l’orrore di sé stesso: non essersi mai amato infatti è il dolore più grande che ha trasformato la sua esistenza in un incubo. Ma il destino in cui Luisa crede, anche se “crollasse il mondo”, ha pietà di lui e lo restituisce integro alla vita.

Luisa ha rubato denaro al suo ex fidanzato che l’aveva sempre sfruttata e ora è in fuga perché il tipo vuole ucciderla: alla fine sarà ammazzata ma prima di morire strappa a Reginaldo la promessa di andare ad esibirsi in America che tradotto in termini emotivi equivale ad un invito a ritornare in vita, aggrappandosi ad essa con la stessa foga con cui Luisa cerca di sfuggire alla morte.

La lezione di amore per la vita di Luisa acquista così una preziosità che la riscatta da quella frivolezza che sembra connotare il suo personaggio in gran parte delle scene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La coreografia a cura di Mauro Leonardi è abbastanza essenziale e soprattutto statica: si gioca poco con il contrasto dei colori e gli oggetti di arredamento grigi sullo sfondo altrettanto grigio delle pareti non fa risaltare lo squallore tipico di una camera di motel da quattro soldi.

In compenso il gioco di luci psichedeliche curato da Camilla Piccioni e i visual effects a cura di Vittorio Sodano contribuiscono attivamente alla narrazione dei conflitti interiori dei personaggi e si amalgamano perfettamente con i riferimenti continui all’America che vengono fatti dai personaggi: le luci, a volte “violente”, sembrano suggerire che si deve aspirare all’America nonostante le difficoltà. L’America intesa come la Vita.

Anche le musiche, solennemente a metà tra il pop e il rock, svolgono la funzione di collante tra i personaggi e i loro stati d’animo. Unico disappunto riguardo il finale che viene banalizzato attraverso l’esibizione canora finale dei protagonisti che dà l’impressione di farsi beffa della morte di Luisa e del messaggio positivo che veicola: l’America, o la Vita.

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