martedì, Aprile 16, 2024
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In ricordo di “Vik”, la voce libera della pace

“La speranza sta tutta nella grande umiltà e dignità con cui questo popolo affronta da più di sessantanni il peso della sua sofferenza. Senza capitolare e consegnare all’oppressore la propria resa. Per me vivere a Gaza è una quo­tidiana lezione di vita”. Questo un pas­saggio dell’intervista che Vittorio Arri­goni, giornalista – attivista per i diritti umani ucciso a Gaza il 15 aprile scor­so, aveva rilasciato al direttore di Li­berainformazione, Roberto Morrione. Libera Informazione, un anno dopo, pubblica l’intenso editoriale che Mor­rione dedicò a “Vik” poche ore dopo la notizia della sua morte. A seguire, l’articolo integrale.

Quando nel tardo pomeriggio è arriva­ta nelle redazioni la notizia del sequestro e l’immagine di Vittorio Arrigoni legato, bendato, ferito, minacciato di morte, per ore non c’è stato TG o GR, della Rai o privato, che non abbia genericamente parlato di un “pacifista” o di un “volon­tario italiano a Gaza”.

Corto circuito del­la memoria, incapaci­tà di trarre un suono specifico dall’indi­stinto rumore di fondo che omogeneizza ormai la comunicazio­ne, l’ennesimo se­gnale del male diffuso quanto subdolo che caratterizza l’infor­mazione, anche quella solitamente moti­vata, più attenta al contesto e al valore delle notizie.

Eppure, sarebbe bastato un clic su In­ternet per aprire “il mondo di Vik”, di una vita dedicata alla causa del popolo palestinese e ai diritti civili, che a Gaza sono ancora negati dallo spietato blocco israeliano a due milioni di bambini, don­ne, uomini, stretti in più dal potere inte­gralista e autoritario di Hamas.

Con l’associazione pacifista Internatio­nal So­lidarity Movement Vittorio Arrigo­ni, “Vik per gli amici e per i tanti che ne hanno ascoltato il racconto su web radio o le cronache appassionate su “Il Manife­sto” nei giorni dei bombardamenti israe­liani nell’inverno 2008-2009, aveva più volte infranto il blocco navale israeliano, era stato ferito, arrestato, espulso, sempre pronto però a tornare a Gaza.

In questa sua seconda patria era infatti soprattutto uno “scudo umano”, che aiu­tava con la presenza fisica e le sue de­nunce i pescatori di Gaza costretti a for­zare il blocco navale per cercare il pesce di cui far vivere le proprie famiglie o i contadini a lavorare poveri orti nelle zone limitrofe ai confini, sorvegliati da truppe israeliane pronte ad aprire il fuo­co.

Durante la guerra e il tentativo di occu­pazione militare di Gaza da parte di Israele, nel dicembre 2008, Vik si era fat­to giornalista, quando gli inviati da tutto il mondo erano costretti a osservare con il binocolo quanto accadeva a Gaza dall’alto di una collina, chiamata presto “del disonore”.

Su Il Manifesto e un suo blog, ripre­so anche in voce da siti e radio pacifiste, per 22 giorni andarono le sue cronache, sin­cere e vere, fatte di testimonianze, sto­rie, drammi che sapevano di morte, pau­ra, fame, crimini di guerra come l’uso di nuovi ordigni e del devastante fosforo bianco, cifre oggettive di feriti, distruzio­ni senza senso e limiti.

Ogni suo pezzo si concludeva con un messaggio, “restiamo umani”, da cui si trasse anche un libro. Era un messaggio di speranza, ma anche la consapevolezza di quanto la disumanità, la ferocia, il ci­nismo della politica e degli interessi in­ternazionali, avessero cancellato ogni va­lore esistenziale e civile. Per questa sua missione, Vittorio era stato più volte mi­nacciato di morte, come da parte di un sito americano legato agli oltranzisti israeliani.

A Vittorio Arrigoni, nell’ambito della giuria del Premio Sasso Marconi, fonda­to da Enzo Biagi insieme a quel comune dell’Appennino bolognese, feci assegna­re un premio speciale. Vik era a Gaza e inviò un bellissimo video, in cui lo si ve­deva allegro sui pescherecci o con i con­tadini al confine con Israele, sullo sfondo i tank e le sentinelle con i cannocchiali, ben vicini gli sbuffi di sabbia dei proietti­li intimidatori sparati in mezzo a donne e uomini muniti solo di cesti destinati a re­stare vuoti.

Venne a ritirare il premio e a parlare del figlio la mamma Egidia Beretta, una donna forte e intelligente, sindaco di Bulciago in provincia di Lecco, rieletta due volte per il suo forte e limpido impe­gno amministrativo.

Capimmo quella sera da chi e sulla base di quali valori ci­vili avesse attinto Vittorio Arrigoni. Con lui ebbi poi un complesso scambio di mail, che culminò in una lunga intervista per “Cometa”, tri­mestrale di critica della comunicazione diretto da Giulietto Chie­sa.

La documentazione sugli orrori dell’operazione “piombo fuso”, sulle re­sponsabilità di Israele e internazionali, sugli errori e i soprusi autoritari di Ha­mas, ma soprattutto sulle sofferenze e le speranze di un popolo costretto a vivere un una sorta di lager, fu eccezionale e in­controvertibile.

Come la risposta che mi diede, al ter­mine dell’intervista, alla domanda se avesse ancora speranze sul futuro del po­polo palestinese: “La speranza sta tutta nella grande umiltà e dignità con cui que­sto popolo affronta da più di ses­sant’anni il peso della sua sofferenza. Senza capi­tolare e consegnare all’oppres­sore la pro­pria resa. Per me vivere a Gaza è una quotidiana lezione di vita”.

Ora non sappiamo e forse non sapremo mai in quali contesti e perché questi ter­roristi salafiti, probabilmente legati a Al Qaeda, più volte al centro di omicidi e at­tentati terroristici, abbiano preso di mira Vittorio e quale sia stato il ruolo di Ha­mas.

Sappiamo però con certezza che è stato ucciso un “giusto”, un uomo generoso e limpido, che credeva in ideali veri.

Come Enzo Baldoni, massacrato a Na­jaf nel 2004 e di cui Governo, Parlamen­to, mondo dell’informazione, si sono ben presto dimenticati, nonostante la sua te­stimonianza, breve e stroncata in breve tempo da un’inspiegabile violenza, sia una pagina alta e creativa di libertà.

Prima di partire un anno fa con la “flottilla” decisa a rompere il blocco na­vale israeliano e poi sanguinosamente re­spinta, Vik mi chiese un aiuto organizza­tivo e di aggancio con europarlamentari, che cercai di dargli e mi promise “quan­do torno, ce ne andiamo in trattoria per bere in allegria e raccontarci le nostre storie…”.

Non avremo più questa possibilità, Vik, ma almeno farò di tutto perchè la tua storia, insieme con quella di tanti tuoi compagni sulle vie della pace, della giu­stizia, dei diritti umani e dei popoli, esca dal rumore di fondo che avvolge e stra­volge chi costruisce e chi riceve le noti­zie, affinchè, almeno in questo modo, “restiamo umani”.

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