mercoledì, Aprile 24, 2024
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Il muro e il silenzio hanno ucciso la democrazia

Quello di Berlino non c’è più. Ma ne restano altri…

Il muro di Berlino era confine tra due mondi che ci hanno detto essere tanto diversi uno dall’altro: quello occidentale, luogo di tutte le libertà e della felicità e quello orientale, luogo della dittatura comunista e della disperazione.
Noi siamo finiti nel mondo bello delle libertà, di tutte le libertà tranne una: quella di scegliere davvero in tutta libertà i nostri governanti. In verità, qui in Sicilia, c’è stata una volta, l’unica, in cui i nostri padri o nonni sono andati a votare liberi e allora vinse il Blocco del popolo, cioè le sinistre unite. Era il 20 aprile 1947 e si eleggeva l’Assemblea Regionale Siciliana, ma gli esiti del voto furono vanificati da un blocco di forze reazionarie, clericali, massoniche, mafiose, americane e spazzati via brutalmente appena dieci giorni dopo con la strage di Portella delle Ginestre.
Non era possibile che un pezzo d’Italia, che la Sicilia, lì in mezzo al Mediterraneo, porta dell’Italia e dell’Europa con l’Africa ed il Medio Oriente fosse governata dai socialisti e dai comunisti perché l’Italia, collocata al di qua del muro, non poteva non essere anticomunista.
Negli anni immediatamente successivi si consumò una sistematica persecuzione ed eliminazione di contadini, di sindacalisti, di militanti socialisti e comunisti impegnati nell’attuazione della riforma agraria contro il padronato mafioso dei gabelloti e dei latifondisti, protetti, questi ultimi, dal nostro siciliano democristiano Mario Scelba, assurto financo alla carica di Ministro dell’Interno e di Capo del Governo.
La mafia agraria fu la feroce protagonista della devastante repressione del proletariato contadino nell’ormai moribondo latifondo della Sicilia occidentale e si accingeva ad occupare e a saccheggiare piccoli e grandi centri e a trasformarsi, essa stessa, in borghesia urbana parassitaria.
Si associò al potere amministrativo in una rete clientelare, intimamente corrotta e divenne sempre più potente e prepotente nei luoghi del potere e sul territorio.
E di tutto ciò non si volle mai parlare perché, si diceva, che la mafia non esisteva, che era un’invenzione dei comunisti atei. E la mafia, invece, nel silenzio osceno e colpevole di tutti i potenti, si rafforzava e penetrava nei gangli della Regione e poi dello Stato.
Solo nel 1962 si riuscì, avendo vinto le resistenze democristiane, ad istituire una Commissione d’inchiesta sulla mafia. La Commissione lavorò e produsse, con Cattanei Presidente, un’enorme quantità di dati, significativi, certo, dell’esistenza della mafia.
Ma i contenuti della Relazione Cattanei rimasero nei cassetti del Parlamento: non un dibattito parlamentare, non un’inchiesta attraverso i mass media. L’opinione pubblica rimase senza sapere nulla del pericolo che le istituzioni pubbliche e la stessa democrazia già stavano correndo e la mafia, così, rimase, nell’immaginario collettivo, un fenomeno di criminalità comune.
Le “mattanze” mafiose si interpretavano con sufficienza: “si ammazzano tra di loro” e non si voleva capire che le centinaia di morti ammazzati erano dovuti all’impressionante, incredibile volume di capitali ricavati dal traffico internazionale della droga da gestire attraverso le attività di riciclaggio e d’investimento negli appalti pubblici.
L’osceno e colpevole silenzio sulla mafia e sul suo assalto allo Stato fu la causa della solitudine in cui si ritrovarono Costa e Chinnici, La Torre e dalla Chiesa, omicidi eccellenti di coraggiosi e solitari servitori dello Stato che della mafia avevano scoperto la grande pericolosità.
E i nodi cominciarono a venire al pettine: Buscetta ed i “pentiti”, il maxi processo e la risposta mafiosa dei corleonesi a Capaci e in via d’Amelio.
Il muro di Berlino era caduto da tre anni ed anche la “prima Repubblica”, travolta da Tangentopoli.
Adesso la paura del comunismo non c’era più, perché il comunismo era crollato in Russia e in quelli che erano i suoi stati satelliti. Il fatto è che i comunisti in Italia si erano ridotti a ben poca cosa ed avevano anche tolto la parola “comunista” dal loro biglietto da visita.
Lo Stato, o quanto meno certi pezzi dello Stato, avviò con Cosa Nostra, o quanto meno con la componente “trattativista”, una sorta di patto, una trattativa appunto, della quale il “papello” fu il documento ufficiale.
Mi sono venuti i brividi, leggendo “La convergenza” di Nando dalla Chiesa, nello scoprire che quanto legiferato nel corso di tutti gli anni novanta altro non era se non quanto richiesto da Cosa Nostra e riportato nel “papello”.
Di tutto ciò, della trattativa, cioè, tra lo Stato e la mafia non ne abbiamo saputo nulla per quasi vent’anni e ciò non è da riferire a motivi di strategici di politica internazionale; adesso il pericolo comunista on esiste più, ma la mafia è diventata lo stesso un ingrediente ormai strutturale del   sistema, del potere, delle istituzioni dello Stato.
Adesso il muro, quello di Berlino, non c’è più, ma ce n’è un altro ancora lì, ben saldo ed incrollabile: il muro del silenzio.

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