mercoledì, Aprile 24, 2024
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I ragazzi abbandonati e lo Stato che non c’è

Ma chi affronta davve­ro, alle radici, il pro­blema della “devianza minorile”? Cos’è un minore “deviante” e da dove viene?Ne abbiamo parlato con un giudice del Tribunale dei Mino­ri di Catania

– A che età il minore è imputabile?

“Per quanto riguarda il penale il Tribu­nale dei Minori si occupa dei ragazzi dai 14 ai 18 anni, mentre per il Civile dalla nascita fino ai 18 anni. L’età dai 14 ai 18 anni si riferisce al periodo in cui è stato commesso il reato, per cui anche se il mi­nore verrà processato a 22 o 23 anni, del caso se ne occuperà lo stesso Tribunale dei Minori. Quando il reato viene com­messo da ragazzi che hanno meno di 14 anni inoltriamo procedimenti civili”.

I minorenni e la mafia

– Il fenomeno della criminalità mino­rile è occasionale oppure c’è l’inseri­mento dei minori in organizzazioni cri­minali?

“Dipende dai reati. Se il reato è preda­torio, cioè scippi rapine etc., i minori agi­scono in modo autonomo. Per quanto ri­guarda invece reati di droga sono giovani inseriti in organizzazioni criminali.

Il fatto di essere minorenni per alcuni reati è un vantaggio perché la pena si ri­duce di un terzo. E spesso per il minore entrare in carcere è un salto di qualità. E’ un’iniziazione, un modo per salire la loro scala sociale. Anche le ricettazioni sono da inserire nell’associazione e organizzazione criminale, ma il reato maggiore è lo spaccio di droga”.

I reati indotti dalla crisi

– Quali sono principalmente i reati commessi?

R- I reati predatori sono i più eclatanti , sono quelli che colpiscono maggiormente la popolazione e che sono più avvertiti. E’ più facile che la gente si indigni per lo scippo di una borsa piuttosto che dei mi­liardi di euro che vengono sottratti alla comunità, cioè a noi, da politici, corrotti e corruttori. Il furto, lo scippo o il borseggio si verificano maggiormente quando c’è crisi economico sociale. Quando i servizi sociali non funzionano, quando c’è meno lavoro, c’è un aumento di questi reati”.

La “messa alla prova”

– La legge prevede modalità di recupero per i minori che non hanno precedenti penali?

“Si, nel processo minorile è possibile che l’udienza non si concluda con una condanna. Se si tratta di un reato occa­sionale e di poco conto c’è “l’irrilevanza del fatto” e quindi non c’è condanna. Il processo si può concludere anche con il “perdono giudiziale”. Anche in questo caso, se è un reato irrilevante e se il ra­gazzo può fare un risarcimento, viene applicato il “perdono giudizia­le”.

Infine c’è la “messa alla prova”, che adesso si sta applicando anche ai maggio­renni. Quando il ragazzo confessa, non ha precedenti penali e si è pentito, si chiedo­no informazioni ai Servizi Sociali. Si fa un programma di intervento elaborato dai Servizi dell’Amministrazione della Giu­stizia in collaborazione con i Servizi So­ciali che preveda le modalità di coinvolgi­mento del minore nel volontariato, impe­gno scolastico, corsi di lavoro.

Viene sospeso il procedimento ed il ra­gazzo viene affidato ad un Giudice Ono­rario. L’Istituto della “messa alla pro­va” presuppone l’adesione del minore al pro­getto che consiste implicitamente in un’ammissione di responsabilità. Sull’atti­vità svolta durante la “messa alla prova” e sull’evoluzione del caso i servizi minorili informano il giudice pe­riodicamente. Se il minore non segue il programma viene ri­preso il processo pe­nale. Se i Servizi So­ciali funzionano bene abbiamo grosse possibilità di recupero del minore. Il Tri­bunale dei Minori funziona bene se fun­zionano bene gli al­tri enti: i Servizi Socia­li, USSM, Neuropsichiatria Infantile.

Spesso ci capitano casi di minori anal­fabeti. E’ assurdo, ma molte famiglie pen­sano che sia superfluo mandare il bambi­no a scuola e quindi gli permettono di as­sentarsi continuamente.

Lasciare il bambi­no a casa vuol dire destinarlo ad essere analfabeta e quindi destinarlo ad una vita di subalterno. Lo Stato non può permette­re che ci siano analfabeti e quindi in que­sto caso è più severo, arrivando a procedi­menti di adottabilità o comunità se le fa­miglie non regolarizzano la situazione dei figli”.

Strapparli a una vita subalterna

– I minori che scontano le pene nel carcere minorile svolgono attività? Hanno la possibilità di studia­re?

“Nell’Istituto Penitenziario Minorile i minori sono seguiti abbastanza bene dall’Ufficio di Servizio Sociale per i Mi­norenni, frequentano la scuola e non sono abbandonati a se stessi. Un’alternativa al carcere è il collocamento in comunità dove c’è una forma di recupero e spesso abbiamo buoni risultati”.

Le azioni di recupero

– Ci sono delle azioni correttive per recuperare il minore?

“C’è un protocollo. Il primo passo è l’affidamento ai Servizi Sociali e l’edu­cativa domiciliare. Il secondo livello d’inter­vento il collocamento in comu­nità, quando dopo il primo intervento i genitori non sono in grado di riprendere la situa­zione in mano. Il terzo livello d’intervento è la dichiarazione della de­cadenza della podestà dei genitori, il quarto è la dichia­razione dello stato di abbandono e quindi segue l’ultimo livel­lo di intervento che è lo stato di adottabi­lità.

I segnali d’allarme

– Ci sono degli allarmi che fanno ca­pire che il minore sta per deviare?

“Allarmi ambientali e familiari. Spes­so sono figli di genitori separati e vivono in quartieri degradati. La disgregazione fa­miliare, la frequentazione ambientale e vi­vere in certi ambienti devianti favorisce la devianza del minore.

Un altro elemento determinante è la cri­si economico sociale. Quando un padre è disoccupato e non ci sono soldi in casa, vedere il ragazzino accanto che spaccia, ha lo scooter, il vestito griffato etc. sono delle tentazioni. Alcuni ragazzi sono di­sponibili a farsi aiutare, altri no. Il disagio economico è molto determinante per la devianza minorile, aumenta l’indice di criminalità.

I segnali dovrebbero arrivare dalla scuola e dai Servizi Sociali. Purtrop­po spesso la scuola ha delle perplessità a fare le segnalazioni, per mantenere il buon nome dell’istituto. I Servizi Sociali, quan­do funzionano bene, ci segnalano delle si­tuazioni di disagio ed allora subito si in­terviene.

Da un lato c’è lo Stato che ha l’interesse a migliorare la vita del minore, dall’altro c’è la famiglia che ama i propri figli e ma­gari dice “i figli sono miei e faccio quello che voglio”. Da parte loro c’è l’affetto, il voler bene, ma c’è l’incapacità a crescere bene i propri figli e spesso, nonostante gli sforzi, non ci riescono”.

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