giovedì, Marzo 28, 2024
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I “Cicci pasticci” e lo sgombero degli abitanti l’ edificio di via Furnari 31 a Catania

 

Scherzo ferragostano…. o c’è dell’altro? Gli “investigatori”, alla vecchia maniera, sono sguinzagliati alla ricerca della verità. Passo dopo passo. Si cerca affannosamente anche nelle cavità più nascoste.

Il fatto è che le vicende sono maturate nel pieno della calura estiva, con un vortice sempre più crescente, teso a buttare sul nudo lastrico cittadino venti famiglie, costituite da oltre sessanta persone. Molti i bambini trucemente interessati.

Il “luogo del delitto” è un voluminoso palazzone ubicato nel semicentro cittadino, a pochi passi da una delle principali strade della città, in via Furnari 41.

L’edificio esiste da oltre cinquant’anni, dall’inizio del 1960, “consolidando” la sua presenza e quella dei tanti umani residenti per tanti decenni. Certo, il suo “inizio” di vita è stato alquanto tribolato. A seguito di un vizio d’origine, dovuto alla realizzazione di opere difformi dal progetto originario senza la presentazione di richiesta di sanatoria dalle autorità preposte fu ordinata azione di demolizione. In corso d’opera l’impresa fallisce ( 1963). Poi, “ fu come non fu”, le carte demolitorie caddero in sonno nei pubblici cassetti, sotto lo sguardo assente della statua dell’elefante, detto liotru, che silente e sbigottito guarda il Palazzo. Erano quelli, e lo furono per lungo tempo, gli anni “stoici”. La città si sviluppava fremente sotto l’impeto tumultuoso dei nuovi tracciati cittadini, dove, nelle strade larghe “ un palmo” si innalzavano i torrioni, pieni e zeppi di umane virtù bellamente ” incarcerate” negli angusti spazi urbani. Tutti, compreso i “custodi delle leggi”, avevano lo sguardo rivolto altrove….. Si cresceva, con grande gioia, a pane, cemento e bottiglioni di spumante festeggiante. Nel frattempo i pochi accumulavano laute ricchezze, in beni mobili e in specie immobili in grande quantità. A seguito del tracollo dell’impresa costruttrice dell’edificio di via Furnari 31 le redini gestionali furono assunte dai preposti alla cura fallimentare. Fin dall’inizio la schiera abitativa dell’edificio, costituita da “ possessori, conduttori e occupanti” è stata sempre molto fitta. Ieri come oggi.

All’improvviso, il 17 luglio, mentre imperversava una splendida e soleggiata giornata estiva, il “fulmine giustiziere” colpì il sito. Ai cittadini residenti fu notificata, a firma del sindaco, l’ordinanza di sgombero, a carattere d’urgenza, intimando il rilascio delle abitazioni, per “potenziale pericolo per la pubblica e/o privata incolumità”.

Un vero e proprio colpo a ciel sereno. Da qualche solerte funzionario comunale era stato improvvisamente scoperchiato “ l’armadio con le carte della vergogna” che, sordidamente, giaceva negli scantinati, ? NO, di tutto questo, per come pare!

Altresì, come raccontano le cronache, da quasi due anni roboanti ruspe si erano alacremente messe al lavoro in una grande area sita alle spalle del palazzo, proprio a ridosso, a pochi metri, effettuando conseguenti profondi scavi. L’intento costruttivo è rivolto a realizzare siti edilizi, da adibire a strutture di privati servizi. Tutto in regola, certamente.

Per dovere di narrazione è utile leggere la sequenza degli eventi come dettagliatamente esposti dall’avvocato ( Alessandro Pulvirenti ) in rappresentanza delle famiglie interessate nel ricorso urgente al TAR presentato il 20 agosto: In data 2 aprile, una relazione da parte del direttore dei lavori è stata inviata al Comune. Si evidenziava, da “esame visivo”, un “potenziale collasso strutturale”. Già, in breve precedenza – 27 marzo -, il curatore fallimentare aveva inviato (al Comune) una nota di consulenza tecnica dove si rilevavano: “ una situazione statica e strutturale delle parti comuni non idonea all’abitabilità” e il “ non rispetto di tutte le norme di sicurezza inerenti impianti nelle aree comuni”.

A seguito delle segnalazioni gli organismi del Comune si allertano prontamente, e senza ulteriori e vincolanti azioni, senza richiedere l’intervento del Genio Civile e delle strutture competenti comunali preposte alle perizie sul campo, da parte del Sindaco viene emesso l’ordine di sgombero. Nessuna richiesta di eventuale intervento viene avanzata ai cittadini interessati rivolta a correggere la situazione in essere per impedire eventuali danni. .

La “soluzione” prescelta è draconiana: si devono abbandonare i locali!

I cittadini residenti, gente semplice, “umile popolino” direbbe qualche solerte e sapiente sociologo in cattedra, di fronte all’incalzare degli eventi piovuti sulle loro teste come una mannaia, senza nessun ammanigliamento con “ chi conta”, organizzano la resistenza. Usano la sapienza e la forza della disperazione del “debole” che non vuole essere sopraffatto. In pochissimo tempo nasce e si consolida una solerte e proficua unione di gruppo. Cominciano a bussare al Comune richiedendo “ conto e ragione”. Intanto la notizia si espande. La cosa è troppo grossa. Sessanta persone, privare dalle casa, sono buttate sulla strada. Cominciano ad arrivare gli organi di informazione. Se ne parla in città. Grazie anche alla tenacia propulsiva di “qualche” giornalista che svolge il ruolo del battitore, scevro da condizionamenti. I tentativi di mediazione con il Comune, rivolti anche ad avere assicurata un’altra abitazione, falliscono.

Il 21 agosto, giorno della scadenza dell’ordinanza di sgombero, nella parte di strada di fronte all’edificio c’è gran fermento. A dar man forte nella solidarietà ai “ dannati “ che presidiano il loro tetto sono presenti anche decine di cittadini di varie organizzazioni sociali cittadine. Di fronte all’arbitrio grande è la civica e democratica indignazione. La drammatica vicenda è diventata alta. La gran parte delle strutture informative locali è presente sul luogo del misfatto. Forte è la determinazione a lottare.

La mattinata scorre, nessuno viene della controparte per eseguire gli “ordini”.

Rinasce la speranza.

Il giorno dopo piomba come un tuono la buona novella. La Giustizia c’è ancora, vede e provvede. La sentenza del TAR è lapidaria. Sospende il provvedimento comunale, firmato del Sindaco. Il giudizio recita, tra l’altro ““…….in assenza di adeguati accertamenti d’ufficio che facciano fede della sussistenza di un effettivo peggioramento delle condizioni di staticità dell’immobile, atti a supportare l’adozione del provvedimento impugnato, circostanza questa non smentita dall’organo comunale all’uopo convocato presso questo Tribunale, che si è dichiarato impossibilitato a presentarsi in data odierna, a rendere i chiarimenti del caso; – che dell’esigenza di tutela dell’interesse pubblico a garanzia della pubblica incolumità cui è ispirata l’ordinanza sindacale qui in contestazione deve necessariamente coniugarsi con gli interessi privati di cui gli istanti sono titolari, interessi che attengono al fondamentale diritto all’abitazione per sé e per le proprie famiglie;-che, pertanto, in quest’ottica, in assenza di comprovate sopraggiunte situazioni di pericolo, può essere disposta la sospensione del provvedimento contestato; il comune dovrà comunque adottare i necessari ulteriori provvedimenti che si rendessero necessari a seguito degli opportuni accertamenti finalizzati a verificare la sussistenza di sopravvenute situazioni di aggravamento, in concreto, dello stato di pericolo in cui potrebbe versare l’immobile in questione; quali accertamenti dovranno essere effettuati a cura degli organi pubblici a ciò preposti, entro ristretti tempi, e ferma ogni responsabilità in capo al comune di caso di ritardo nei conseguenziali provvedimenti d’urgenza ove necessari…”. E’ bene notare che il Comune si è dichiarato impossibilitato a presentarsi.

Questa è la positiva conclusione della prima parte. La questione rimane tutta ancora aperta. Un dato è certo. L’ingiustizia non è passata! Il giusto diritto all’abitazione è un valore democratico supremo, da garantire sempre. A Catania molte persone, non solo migranti, sono costrette ad arrangiarsi “sotto le stelle”, dormendo sui cartoni, in strade, piazze ed anfratti improvvisati. Una situazione drammatica ed indegna che nel corso del tempo si è accresciuta sempre più. Cinquemila famiglie attendono una casa popolare. In tante migliaia, indigenti, vivono in condizioni abitative di assoluta precarietà. Si violano i principi fondamentali costituenti la nostra Repubblica che innalzano a valore supremo la salvaguardia della dignità delle persone nell’essenza di vita nella propria quotidianità. C’è proprio tanto da fare per ripristinare i canoni fondamentali della convivenza civile, della giustizia e dell’equità sociale.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

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