giovedì, Aprile 25, 2024
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Egregio Signor Presidente, Le scrivono i liceali di Bologna…

Ecco la lettera dei ra­gazzi bolognesi che, nel pieno del terremo­to, hanno trovato il tempo di mobilitarsi per la tv antimafia Te­lejato. Conserviamola. E’ un esempio da non dimenticare

* * *

Egregio Signor Presidente,

ragazzi di tutt’Italia si rivolgono diret­tamente a Lei, quale massimo rappresen­tante dello Stato, per trovare una voce all’onda di rancore che sta seppellendo la nostra generazione.

Per l’importanza del documento che Le sottoponiamo, ci auguriamo caldamente che riterrà di renderne note alla Nazione le parole più significative.

Il cuore della presente lettera consiste senza dubbio di un proposito di natura pratica. D’altro canto, la sua causa pro­fonda sta nell’impotenza in cui siamo co­stretti dalle attuali democrazie rappresen­tative, sta nell’angoscia di agire, e nella consapevolezza di vivere, proprio per quei principi di progresso che, sebbene continuamente negati da squallore e ottu­sità, trainano la civiltà europea da che si aprì la ricerca per un criterio di giustizia. E, in verità, il cuore amaro della nostra lettera sta proprio nel valore dell’educazione, della scuola, modello di vita e di politica.

In principio vorremmo tuttavia parlar­Le dell’episodio che è stato l’innesco del nostro movimento, e degli interventi che ci siamo auspicati sarebbero seguiti all’appello. Nel corso di un viaggio d’istruzione in Sicilia, all’interno di un itinerario organizzato dall’associazione “Addiopizzo”, alcuni di noi, tra cui i re­dattori della presente, hanno conosciuto la piccola realtà di Telejato, una rete tele­visiva comunitaria totalmente dedita all’erosione del potere mafioso. Attraver­so lo scherno dei miti e dei bassi modelli dell’illegalità, Telejato ci ha stupiti per determinazione, costanza, per la volontà ferma di migliorare il territorio, e di esse­re efficace. Valore, l’efficacia, che stiamo lentamente dimenticando, essendo ormai i cittadini italiani abituati a delegare le responsabilità, a lasciare il proprio dove­re civico in eredità ad anonime reti am­ministrative.

Il confronto con Pino Maniaci, proprie­tario di Telejato, curiosamente, anzichè vertere su temi riguardanti la Mafia in modo specifico, si è concentrato proprio su questo, cioè sulla possibilità dell’indi­viduo di partecipare al bene comune.

Certamente non tutti possono gestire televisioni antimafia, ma l’antimafia vera e propria è forse quella che si crea a par­tire dall’onestà e dall’interesse per il terri­torio dei singoli: questa la conclusione cui eravamo insieme giunti, e che, in parte, aveva placato l’insoddisfazione di vederci come al solito disincantati spettatori degli equilibri di potere.

Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati. La conoscenza degli istinti meschini che sembrano dirigere la storia oramai non può più rassicurarci. Quello che le generazioni che ci hanno preceduto ignorano, è che il nostro di­simpegno non è stato dovuto a stupidità o leggerezza, ma piuttosto al cinismo nato dalla lucida osservazione della realtà, e dall’abitudine alla sconfitta. Tuttavia, per l’improvvisa incombenza di un disastro sul nostro futuro, quello della crisi, quel­lo di un’inadeguatezza di tutte le istitu­zioni vigenti – da quelle ideali a quelle concrete – a fronteggiare un passaggio di epoca, guardarvi serenamente non ci è più possibile.

Quando al termine dell’incontro siamo venuti a sapere che Telejato avrebbe chiuso il 30 giugno, al momento dell’entrata in vigore del digitale terrestre in Sicilia, nuovamente siamo rimasti a bocca aperta: nuovamente, le maglie del­la burocrazia, addirittura le leggi dello Stato sembravano soffocare l’impegno ci­vile da cui esse stesse erano nate.

Proprio allora la figlia di Maniaci, Le­tizia, corag­giosa, rinomata giornalista, è sgattaiolata tra di noi per uscire dallo stu­dio televisi­vo, a capo chino, come cer­cando di non farsi notare. Proprio lei che, così giova­ne, riprende gli scoop e rende possibile il servizio di informazione di Telejato, in­curante del rischio.

Per quell’esempio di mo­destia e di abnegazione in quel momento siamo esplosi in un applauso, ritenendo d’altra parte che null’altro avremmo potu­to fare, che le nostre azioni corrette non sarebbe­ro bastate, che Telejato avrebbe chiuso, qualunque cosa ne pensassimo: che il fat­to sia giusto o che non lo sia.

Ora, la riflessione che vogliamo pro­porre alla Nazione è in merito al signifi­cato della parola “politica”. In fondo, l’antimafia è politica. Poichè, se si consi­dera la Mafia come quel fenomeno socia­le di affidamento del territorio a interessi esclusivamente patrimoniali, l’antimafia è quel dovere di amore per il territorio, per la Nazione, per la propria comunità, che va ben oltre gli egoismi di parte. E se un certo amore per il bene comune è un dovere civico, allora certamente l’antima­fia è politica: perchè non dimentichiamo che “politica” non significa insieme di partiti, lotta di classi o di capitali, ma “questioni della vita cittadina”, e che un tempo aveva traduzione “Res Publica”, e che ora, estesisi i nostri Stati da città a popoli interi, trova significato come “vita comunitaria”. Questa la nostra convin­zione.

Quale comunità giovanile avremmo potuto chiederLe in merito a giustizia, meritocrazia, rottura delle briglie della fi­nanza, Unione Europea, e a tante delle idee che animano i nostri dibattiti. Inve­ce, La preghiamo di garantire una qual­che forma di sopravvivenza a Telejato.

Da atti concreti, mirati vorremo riparti­re, e fatti significativi. Riteniamo che dare vita a Telejato, come emittente di diverso genere oppure riservando una percentuale di frequenze alle reti comunitarie, sia oggi, proprio oggi, una priorità. Riteniamo sia questo il momento giusto – il momento di scarse risorse – per investire sullo spirito comunitario, e che solo in questo modo avremo un’occasione per salvare l’Italia, armonizzare l’Europa e governarla.

Infine, per lo meno, La preghiamo di tutelare la famiglia che di Telejato costi­tuisce l’esistenza.

Noi siamo nati da quella famiglia. Se l’Italia ha come nucleo fondamentale la famiglia, allora è in una famiglia che co­struisce i valori civici dell’Italia che la Nazione trova le proprie radici. Siamo cresciuti in un sistema di principi tipica­mente familiari, nonchè nella nozione di lavoro come riscatto dell’uomo dall’assoggettamento alla sua fame, e alla sua voracità, per i simili che ama. Pur­troppo, questi capisaldi della nostra so­cietà civile, abbandonati da molte fami­glie, li hanno raccolti soltanto le scuole, realtà che sono state volutamente avulse dal potere ma che, lo si voglia o meno, hanno formato i nostri ideali. E noi rite­niamo sia maturato il tempo per cui que­gli ideali, dalle famiglie che resistono all’istruzione che li alimenta, passino fi­nalmente al potere effettivo, al potere po­litico.

Se verrà salvata Telejato e la sua fami­glia, si darà un significato alla nostra educazione politica, unica fonte della Nazione stessa. E vedremo fin dove le istituzioni che politiche sono dette, nate per unirci, siano voci della Nazione, e dunque avverse alla Mafia.

 

1. Liceo Galvani, BO
2. Liceo Minghetti, BO
3. Liceo Fermi, BO
4. Liceo Righi, BO
5. Liceo Copernico, BO
6. Liceo Sabin, BO
7. Istituto Laura Bassi, BO
8. Liceo Manzoni, BO
9. I.I.S. Bartolomeo Scappi, Castel San Pietro Terme (BO)
10. Liceo da Vinci, Casalecchio di Reno (BO)
11. Istituto Giordano Bruno, Budrio (BO)
12. Liceo Mattei, San Lazzaro di Save­na (BO)
13. Liceo Tassoni, MO
14. Liceo Parini, MI
15. Liceo Marco Polo, VE
16. Liceo Gioberti, TO
17. Istituto Baldessano-Roccati, Car­magnola (TO)
18. Liceo Cascino, Piazza Armerina (EN)
19. I.I.S. Marzoli, Palazzolo sull’Oglio (BS)
20. Consulta Provinciale Studenti di Brescia

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